Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, edizione straordinaria: la Francia in marcia o la Francia al fronte?

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1-Il dibattito di mercoledì ha visto Marine Le Pen molto aggressiva, forse troppo. Analizziamo la strategia della candidata del Front National;

2-I sondaggi confermano che Emmanuel Macron è favorito.

1-Il dibattito

Come sapete, mercoledì i due candidati hanno animato il grande dibattito che tradizionalmente viene organizzato tra primo e secondo turno. È stato il settimo dibattito televisivo della V Repubblica, il primo si tenne nel 1974 tra Valéry Giscard d’Estaing e François Mitterrandm e solo una volta, nel 2002, il confronto non ebbe luogo per il famoso rifiuto di Jacques Chirac di dare cittadinanza alle idee del Front National e del suo candidato Jean Marie Le Pen.

Non serve che io vi faccia il riassunto di quanto è stato detto nelle 2 ore e 40 di confronto, ma potete leggere l’analisi del Monde e il riepilogo del Post. Ci sono però alcune cose che è interessante notare. Per quale motivo Macron ha accettato di dibattere con Le Pen? L’opzione contraria, e cioè rifiutare il confronto, era politicamente impraticabile: i due si erano già affrontati due volte, sia nel dibattito a 5 che in quello a 11, e un rifiuto a questo punto della campagna elettorale sarebbe stato inspiegabile. In più, come ha spiegato lo stesso Macron la mattina successiva, era suo interesse ribattere punto su punto alle insinuazioni e agli insulti di Marine Le Pen. Il Front National è ormai all’interno del paesaggio politico, che piaccia o meno; Macron ne ha semplicemente tratto le conseguenze.

La seconda e più importante riflessione riguarda la strategia che ha tenuto Marine Le Pen durante il dibattito. Della dédiabolisation, la normalizzazione del Front National, abbiamo parlato più volte e l’atteggiamento tenuto da Macron durante il dibattito ne è stata l’ennesima conferma. Solo una volta Macron ha posto l’accento sulla storia del partito lepenista, solo una volta ha usato l’espressione “estrema destra” per definirlo, persino in un contesto molto teso e molto aggressivo. Il nuovo clivage, il nuovo bipolarismo progressisti/conservatori, apertura/chiusura è rivendicato anche dal leader di En Marche!, quindi uno scontro del genere è persino funzionale perché giustifica e rafforza le sue posizioni politiche.
Sicché se il punto di partenza era la dédiabolisation, Marine Le Pen ci ha sorpreso tutti. Da quando è stata eletta, la leader del Front National ha dedicato tutti i suoi sforzi alla normalizzazione del partito: ha mandato in televisione persone rispettabili come Florian Philippot, Nicolas Bay e la nipote, Marion Maréchal Le Pen; ha “ucciso il padre” Jean Marie, con cui persino i rapporti personali sembrano compromessi, escludendolo dal partito e dichiarando più volte che le sue prese di posizione, i suoi toni e i suoi modi non hanno più cittadinanza nel Front National. Ha trasformato il partito lepenista nel partito marinista. Sul plateau di TF1 questa strategia è andata completamente in pezzi. Marine Le Pen non ha quasi mai lasciato parlare il suo avversario, l’ha insultato, deriso, accusato di nefandezze non meglio identificate, ha insinuato che Macron potrebbe avere un conto segreto alle Bahamas o essere complice del fondamentalismo islamista. La candidata del Front National ha rotto tutte le regole dei dibattiti televisivi disturbando persino l’appello finale del suo avversario e rendendo l’esercizio molto faticoso da seguire per chi era a casa.

Il dibattito doveva servire a trasformare Marine Le Pen da un candidato di protesta radicale in un candidato di potere, doveva rassicurare chi ancora vede la sua candidatura solo come un modo di esprimere la propria collera. Marine Le Pen rappresentava quest’aspirazione rispetto al padre: esercitare il potere riuscendo a conquistare la massima magistratura dello Stato. E invece non ha mai assunto questa postura e non ha mai dato l’impressione nemmeno di volerlo fare. Le 2 ore e 40 passate di fronte ad Emmanuel Macron hanno visto un cambio di rotta talmente brusco da apparire cacofonico e per molti incomprensibile.

 

 

 

Chi di voi è appassionato di politica americana può paragonare questo atteggiamento a quello tenuto da Donald Trump. Ma credo che in questo caso non sia molto calzante: Trump era quel tipo di candidato, una persona che ha rivendicato più volte la necessità di rompere tutti gli schemi, che aveva costruito un personaggio in tal senso. Trump faceva Trump. Marine Le Pen al contrario aveva costruito un profilo diverso, aveva speso anni per rendere la sua immagine più accettabile e far dimenticare il cognome pesante che porta (sparito da tutti i manifesti elettorali da quasi un anno ormai).

Per questo comportamento ci sono due possibili spiegazioni. La prima è che Marine Le Pen abbia ritenuto che fosse necessario adottare una tattica à la Trump come dicevamo: insultare il sistema, smascherarlo, “cantargliene quattro”. Insomma rompere tutte le regole del gioco, un gioco finora fasullo tra “due candidati del sistema che erano d’accordo su tutto o quasi”. Portare la contrapposizione fino all’esasperazione, delegittimare chi le era seduto di fronte, ridere di continuo, mostrarsi contraria persino quando Emmanuel Macron ha evocato una maggiore attenzione da parte dello Stato alle persone portatrici di handicap. Questa prima spiegazione è stata data direttamente da Marine Le Pen, interrogata da Jean Jacques Bourdin la mattina dopo proprio sulla sua inattesa aggressività.

Una seconda spiegazione è invece più sottile: Marine le Pen ha interiorizzato che perderà, che i più di 20 punti di distacco registrati dai sondaggi non possono essere colmati. Ha capito che non può sovvertire il pronostico visto che nemmeno dopo una prima settimana di campagna elettorale entusiasmante è riuscita a invertire la tendenza in maniera decisiva. Il suo dibattito è stato quindi un preludio, in più di 2 ore, di come verrà impostata l’opposizione ai prossimi cinque anni di presidenza Macron: un attacco violento e continuo senza esclusioni di colpi.

L’obiettivo privilegiato di questo atteggiamento, che a guidarlo sia stata la prima o la seconda strategia, è chiaramente una parte degli elettori che al primo turno ha votato per Mélenchon. Mi riferisco a chi ha scelto il candidato della France Insoumise per le istanze protestatarie e radicali che incarnava e che quindi non ha alcun motivo per votare per Emmanuel Macron. Il problema è che, come spiegano i sondaggi pubblicati da Elabe subito dopo il dibattito, il 66 per cento di chi l’ha guardato e ha votato Mélenchon al primo turno ha giudicato molto più convincente Macron rispetto a Marine Le Pen. Questo non vuol dire che queste persone automaticamente voteranno per l’ex ministro dell’economia ma vi dà l’idea dei risultati della strategia di Marine Le Pen, che tra l’altro ha deluso una parte non indifferente dei suoi simpatizzanti visto che il 12 per cento ritiene che Emmanuel Macron sia stato più convincente (guardate il dato eguale e contrario).

Sondaggio 1

Ah, vi ricordate di Nicolas Dupont-Aignan, il primo ministro già designato in caso di vittoria di Marine Le Pen? Onnipresente in tv fino al dibattito, da mercoledì notte è letteralmente introvabile.

2-Cosa dicono i sondaggi?

Sondaggio 2.png

Il sondaggio è stato realizzato dall’istituto Ipsos

Come vedete la buona prestazione nel dibattito di Emmanuel Macron si traduce in un netto miglioramento nelle intenzioni di voto; la partita sembra scontata tanto che, come ha titolato il Figaro, “i macronisti si vedono già all’Eliseo”, e Macron ha detto stamattina di aver scelto il suo primo ministro, che sarà comunicato subito dopo la cerimonia del passaggio dei poteri. La cerimonia si terrà entro la mezzanotte del 14 maggio, cioè una settimana dopo il risultato del secondo turno.

Inutile che vi ricordi le incognite che pesano sull’esito delle elezioni, l’astensione, il comportamento di chi non ha votato per Macron al primo turno, la collera che si percepisce nel paese. Di certo, se la settimana scorsa Marine Le Pen era stata protagonista di un’ottima campagna, in questi ultimi giorni è stata molto meno efficace.

Torniamo però al voto del 23 aprile. Come avevamo già analizzato, il primo turno ha dimostrato quanta distanza ci sia tra il voto della campagna e il voto delle città. Questo grafico indica quanto, all’allontanarsi dai centri urbani, il voto per Macron crolli, e come accada invece il contrario per Marine Le Pen. La cosa interessante è che Macron resta molto forte anche nella cosiddetta “cintura esterna” cioè nelle periferie e nei comuni confinanti con le grandi città.

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In questo altro grafico potete notare invece la grandissima progressione del Front National guidato da Marine rispetto al padre nelle zone rurali. Quello che impressiona però è il dato stabile nelle grandi città, mai cambiato (avevamo già notato che a Parigi addirittura Le Pen perde voti rispetto al 2012).

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In questo altro grafico potete notare invece la grandissima progressione del Front National guidato da Marine rispetto al padre nelle zone rurali. Quello che impressiona però è il dato stabile nelle grandi città, mai cambiato (avevamo già notato che a Parigi addirittura Le Pen perde voti rispetto al 2012).

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Questa mappa invece è secondo me molto interessante: indica com’è cambiata la percezione del ritardo economico della loro regione da parte dei francesi; è confrontata la loro opinione del 2015 rispetto al 1963.

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I due grafici e questa mappa sono stati elaborati dall’istituto Ifop

Adesso confrontate questa mappa che avete appena visto con i risultati elettorali del 23 aprile. È abbastanza impressionante.

mappa 2

Un po’ di informazioni per la giornata di domenica. Io seguirò i risultati al comitato di Macron, sarò spesso in collegamento con rainews24 e commenterò con voi quello che sta succedendo su twitter con l’hashtag #maratonamaselli. Alle 23.20 sarò poi ospite allo speciale del tg1 per commentare i risultati.

Infine, da oggi mi trovate in edicola su Pagina 99. Con Gabriele Carrer e Alberto Bellotto abbiamo indagato la crisi di iscritti dei partiti europei in Francia, Italia e Regno Unito. Qui l’editoriale di Gabriella Colarusso che spiega il nostro lavoro e il contenuto dello speciale.

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Per oggi è tutto, noi ci sentiamo lunedì mattina, per commentare i risultati!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, trentaduesima settimana: la presidenziale passa da Amiens

Trentaduesima edizione della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

1-La presidenziale passa da Amiens

Una campagna elettorale vive anche di simboli. La regione Nord-Pas-de-Calais-Normandie è uno di questi, ricca com’è di contraddizioni, dati, statistiche e storie che ne fanno un teatro perfetto per un ballottaggio tra due candidati che condividono solo la lingua e l’ambizione di guidare il proprio paese. Regione tra le più toccate dalla disoccupazione (12,8 per cento contro il 10,2 per cento della media nazionale), ha visto, oltre al transito di decine di migliaia di migranti per cui Calais è diventata tristemente famosa, numerose fabbriche chiudere una dopo l’altra. Come riporta l’Obs, dalla regione sono sparite moltissime aziende negli ultimi 5 anni: Goodyear ha licenziato 1000 persone, Continental 700, Sapsa-Bedding 156.

La regione si trova in quel nord est che ha votato ampiamente per Marine Le Pen, in testa con il 31,03 per cento, e per Mélenchon, al 19,59 per cento, la Francia più colpita dalle delocalizzazioni, quella ormai famosa per voi e per me, che ha perso la sfida della globalizzazione. Ad Amiens, una delle principali città, ha sede uno stabilimento da mesi al centro delle cronache e dei dibattiti televisivi: la fabbrica della multinazionale americana Whirlpool che da anni sta cercando di ridurre la propria presenza in Francia. L’azienda dava lavoro a 1300 persone nel 2002, oggi ha solo 290 dipendenti e ha comunicato l’intenzione di chiudere lo stabilimento e portare la produzione in Polonia dove il costo del lavoro è infinitamente più basso. Nel comunicato si legge che la decisione è presa per adattarsi “ad un contesto di mercato sempre più concorrenziale”.

Nella consueta agenda che Emmanuel Macron invia alla stampa ad inizio della settimana era prevista una sua visita allo stabilimento per incontrare i delegati sindacali ed occuparsi del problema. Si tratta tra l’altro di una promessa fatta durante un dibattito televisivo a François Ruffin, un giornalista molto impegnato politicamente, direttore del sito satirico Fakir, autore del documentario di successo “Merci Patron” con cui ha vinto il premio César (e dal palco ha invitato Hollande a “muovere il culo” per salvare lo stabilimento) e candidato alle legislative con il movimento di Jean-Luc Mélenchon.

La visita era quindi abbastanza attesa visto che per Macron il nord-est è una “terra di conquista”, una delle regioni dove deve evitare un exploit di Marine Le Pen, una delle parti della Francia in cui il suo messaggio non ha raccolto entusiasmo o curiosità. Il leader di En Marche! ha però scoperto che in un ballottaggio la campagna elettorale non è un esercizio solitario, di fronte ha un avversario molto aggressivo che sta preparando da mesi un duello del genere. Mentre Macron era alla camera di commercio di Amiens, ricevuto dai sindacati, di sorpresa, davanti ai cancelli dell’azienda, è apparsa Marine Le Pen.

 

 

 

Risultato? Un trionfo immortalato dalle telecamere, con la leader frontista acclamata e applaudita dagli operai, qualche grido “Marine présidente”, molti selfie, abbracci e ringraziamenti per il suo impegno. Impegno che è costante da mesi, visto che il Front National organizza quasi quotidianamente volantinaggio davanti alla fabbrica e ha utilizzato più volte il caso Whirlpool come emblema della globalizzazione selvaggia che distrugge l’industria e i posti di lavoro francesi. L’azienda è spesso citata nei comizi e persino nel primo dibattito televisivo, a dimostrazione di come il colpo di comunicazione è stato in qualche modo studiato e voluto.

Avvicinatasi poi ai giornalisti, a quel punto precipitatisi sul posto, Marine Le Pen non ha perso occasione per marcare la sua differenza con Macron e ribadire il vero clivage, il vero bipolarismo: “sono qui al fianco dei lavoratori, davanti alla fabbrica, non in un ristorante di Amiens”. Ha poi promesso che se dovesse essere eletta l’azienda non chiuderebbe perché, come ha poi spiegato in un comunicato abbastanza vago, “sarà messa sotto protezione temporanea, con una partecipazione dello Stato, se necessario.” Mezz’ora per costringere l’avversario a scoprirsi ed entrare nel vivo della campagna.

Emmanuel Macron, visibilmente preso in contropiede, ha improvvisato una conferenza stampa per ribattere alla “strumentalizzazione” fatta da Marine Le Pen e per annunciare che nel pomeriggio avrebbe incontrato i lavoratori dell’azienda proprio come il suo avversario. Una volta arrivato alla Whirlpool ha trovato un ambiente particolarmente ostile: fischi, ululati, qualche “Marine présidente” e un dialogo inizialmente impossibile. Dopo un po’ ha quindi fatto allontanare i giornalisti e le telecamere, per parlare in maniera più raccolta con i lavoratori e François Ruffin, presente sul posto, ripreso solo dai membri della sua équipe, che ha trasmesso lo scambio in diretta Facebook (seguitissima, tra l’altro).

 

 

Il leader di En Marche! è riuscito a rendere una situazione potenzialmente catastrofica in un piccolo spot: si è mostrato combattivo e coraggioso, ed è stato capace di rispondere punto su punto alle domande o alle critiche di chi gli stava di fronte e difficilmente lo voterà. Gli animi si sono lentamente calmati e Macron ha persino ricevuto i complimenti da parte di Ruffin per aver affrontato con prontezza la situazione e soprattutto evitato di tenere promesse impossibili o fare marcia indietro sulle sue convinzioni, altro grande rischio per un candidato accusato più volte di voler piacere a tutti.

2-La dinamica di Marine Le Pen

L’episodio è abbastanza emblematico di questa prima settimana di campagna elettorale per il secondo turno. Marine Le Pen non è stata protagonista di una cavalcata entusiasmante fino al 23 aprile, e infatti il suo risultato è stato sì storico, ma al di sotto delle aspettative. Ha trovato avversari popolari sul suo stesso terreno (Mélenchon) o in grado di portare avanti un discorso di rinnovamento molto popolare nell’elettorato francese (Macron).  Da domenica sera però, il campo da gioco è cambiato, così come le strategie; lo abbiamo già detto, al ballottaggio si elimina, e in genere si elimina il Front National. La sua unica possibilità è cambiare il soggetto da eliminare, far dimenticare chi è, qual è il suo cognome, cosa rappresenta la storia del suo partito.

L’unico modo che ha per essere competitiva è trasformare il voto del 7 maggio in un’eliminatoria contro “l’oligarchia” termine evocativo poco utilizzato sinora da Marine Le Pen, ma marchio di fabbrica di Mélenchon. Nulla è casuale. La leader frontista ci sta riuscendo, ha fatto passare il messaggio, paradossale, che sia necessario fare “barrage” contro Macron, candidato del sistema e della globalizzazione. Tutto ciò scegliendo i temi al centro del dibattito, e costringendo Macron all’inseguimento, come accaduto ad Amiens; trovando dei simboli da impugnare, riuscendo a rompere dei tabù.

Ed infatti ecco l’altro simbolo, l’altro tabù: venerdì il candidato della destra sovranista, il sedicente gollista Nicolas Dupont-Aignan è invitato come ospite al tg della sera di France 2 dove annuncia il suo accordo di governo con il Front National. Il Front Républicain non esiste più, la normalizzazione procede spedita e assume forza ogni giorno di più. Nessun partito aveva mai stretto alleanza con il Front National, nessun politico aveva mai considerato Marine Le Pen come presentabile. I due tengono una conferenza stampa ieri mattina, visi sereni, sorrisi e strette di mano. Il 23 aprile, come già sapete, non è stato solo Macron a scrivere la storia.

La contropartita è l’Hotel de Matignon, la residenza del primo ministro. In caso di vittoria di Marine Le Pen sarà Dupont-Aignan a guidare il “governo dei patrioti e degli uomini e delle donne che amano la Francia”. La strategia è chiara, ricostituire il fronte del no al referendum sulla costituzione europea del 2005. In quella campagna elettorale si costituì uno strano fronte anti europeista composto dal Front National e da qualche esponente minoritario della destra e della sinistra. In particolare, votarono no in contrasto con il proprio partito Nicolas Dupont-Aignan, allora nel movimento gollista UMP e Jean-Luc Mélenchon, allora ancora tesserato nel Partito Socialista. Ma soprattutto votarono no il 54,68 per cento dei francesi, ignorando le consegne dei partiti che avrebbero poi votato alle presidenziali di due anni dopo.

La scommessa è difficile, quasi impossibile da vincere, e i sondaggi confermano che lo scarto è ancora molto ampio. Ma la dinamica, per ora, è dalla parte di Marine Le Pen e mercoledì c’è il dibattito.

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3-Chiunque vinca avrà una Francia spaccata in due

Nelle scorse settimane abbiamo spesso analizzato il voto dal punto di vista sociologico, utilizzando gli indicatori di fasce di reddito, livello di istruzione e tipo di impiego. In questo senso il voto è molto polarizzato, i più istruiti, con un lavoro migliore e con un reddito alto votano, tendenzialmente, per Emmanuel Macron e François Fillon; i meno istruiti, con un reddito più basso e un impiego precario o alienante votano per Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon. Una sintesi molto interessante la forniva un indicatore in particolare perché tiene insieme il dato oggettivo sul reddito con quello soggettivo delle percezione della propria condizione: il modo in cui si arriva alla fine del mese. Chi ha più difficoltà vota per Le Pen, chi ne ha meno vota per Macron.

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Insomma la società è liquida, indecisa, molto diversa da quella che ha visto il trionfo della democrazia nel secondo dopoguerra. Eppure questo primo turno dimostra che esistono ancora i blocchi sociali, e questi blocchi sociali votano in maniera abbastanza omogenea.  L’altra frattura che vorrei mostrarvi è conseguente, ed è importante visualizzare lo spazio geografico in cui si produce. L’analisi l’ha scritta Guillaume Tabard, editorialista del Figaro.

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Come vedete, i voti per Marine Le Pen sono piuttosto omogenei in tutta la nazione, con delle concentrazioni particolari al nord est, al centro, e al sud est. All’interno delle grandi aree viola però si notano dei punti gialli, che sono le città dove è invece in testa Macron. Se si leggono da vicino i risultati si scopre che la differenza città/campagna è generale. Prendiamo per esempio un dipartimento dove Marine Le Pen arriva in testa, quello dei Pirenei Orientali, con il 30,05 per cento. A Perpignan, suo capoluogo, è nettamente al di sotto, con il 25,86 per cento. La disparità centro-periferia è uguale  e contraria per Emmanuel Macron, che anche nei dipartimenti dove raggiunge i suoi migliori risultati, in Gironda, arriva al 26,1 per cento mentre nel capoluogo fa nettamente meglio, con il 31,26 per cento a Bordeaux.

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Mappa 3

Quest’altro grafico vi aiuta a capire ancora meglio la differenza tra le varie città e le campagne o periferie per ogni candidato. La frattura ricorda sicuramente Brexit (a Londra il remain ha nettamente prevalso) o il fenomeno Trump-Clinton (a Manhattan Hillary Clinton ha raggiunto l’86 per cento). Ciò vuol dire che il paese ha bisogno di una presidenza che cerchi di riconciliare le varie anime che non si parlano, non si conoscono. So che questo può apparire banale, che sono stati scritti centinaia di reportage sulla lontananza tra centro e periferia, eppure è bene avere in testa queste mappe per capire, visivamente, che la spaccatura non è solo astratta ma reale, si vede e si tocca anche se non siete mai stati in Francia. Se poi applichiamo questi risultati elettorali ai 577 collegi in cui viene divisa la nazione per le elezioni legislative di giugno, capite che il nuovo presidente avrà di fronte mesi piuttosto complicati.

Il personaggio della settimana

Florian Philippot è il vero regista dell’alleanza tra Marine Le Pen e Nicolas Dupont-Aignan. Teorico della dédiabolisation, Philippot ha più volte ripetuto durante la campagna elettorale che il leader di Debout la France è un alleato naturale del Front National, e l’accordo è senza dubbio un successo della sua linea politica e della sua strategia di normalizzazione.

Domenica prossima si vota. Quindi vi arriveranno due newsletter, una venerdì, per fare il punto della situazione e una lunedì, per commentare il risultato.

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