Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, trentasettesima settimana: è Macron il nuovo leader dell’Occidente?

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Macron ha terminato il suo primo giro di incontri internazionali. L’esercizio è riuscito molto bene al nuovo presidente francese, che dopo la decisione di Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo sul clima si sta ponendo come nuovo leader dell’Occidente. Ma è stato soprattutto l’incontro con Vladimir Putin a far capire che tipo di atteggiamento terrà Macron nelle relazioni diplomatiche con gli altri paesi.

Emmanuel Macron è un presidente che intende utilizzare la storia del suo paese per legittimare le sue azioni. È una questione di comunicazione, certo, ma è soprattutto un modo di “riempire” le sue posizioni politiche e, in un certo senso, spersonalizzarle: Macron parla per la Francia ed è il garante di un percorso molto più grande di lui e finora questa attitudine è stata molto apprezzata sia dalla stampa interna che da quella internazionale. Dopo aver utilizzato il Louvre per inaugurare la sua presidenza, Macron ha subito utilizzato la reggia di Versailles per sottolineare una nuova fase nelle relazioni diplomatiche franco-russe. Lunedì scorso infatti, Vladimir Putin è stato ricevuto nel palazzo immaginato da Luigi XIV per il primo incontro con il nuovo presidente francese, che ha così terminato la sua settimana internazionale dopo la visita di Donald Trump, il summit della NATO a Bruxelles e il G7 di Taormina.

Nel maggio del 1717 lo Zar Pietro il Grande visitò per la prima volta Parigi accolto dall’ancora bambino Luigi XV e dal suo reggente, il duca d’Orleans. Pietro il Grande, che aveva già visitato l’Europa una ventina d’anni prima ma non era riuscito ad ottenere un’udienza da Luigi XIV, cercava appoggi politici e logistici per ammodernare il suo impero e cercare di importare il modello culturale europeo, e in particolare francese, in Russia. Dopo la visita francese lo zar creò l’Accademia delle scienze di Russia, sul modello dell’Académie Française e si ispirò a Versailles per completare la costruzione della reggia di Peterhof. La visita di Pietro fu l’inizio della “finestra aperta sull’Europa” e l’ingresso della Russia nel concerto delle grandi potenze europee.

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Da quel momento le relazioni franco-russe sono state segnate da alti e bassi, tra l’invasione di Napoleone e l’alleanza militare tra il 1892 e il 1917 (simboleggiata dal ponte Alexandre III a Parigi), ma è evidente il fascino che i paesi esercitano reciprocamente. I due modelli politici sono molto più simili di quanto si pensi: il peso dello Stato centrale, la grande rivoluzione, l’impero, la presidenza reale, per non parlare della grandissima influenza francese nella letteratura russa e viceversa. Emmanuel Macron ha ripreso tutte queste suggestioni e ha fatto capire che con lui i rapporti saranno franchi, ma distesi.

L’occasione, l’inaugurazione della mostra sul primo viaggio dello zar, proprio a Versailles, ha aiutato Emmanuel Macron a ricordare implicitamente le posizioni politiche difese da Putin nei primi anni al Cremlino, quando la politica estera russa era guidata dalla volontà di avvicinarsi all’Unione Europea e alla Nato. Non solo, è un fatto noto che Pietro è il sovrano che Putin preferisce, come ha spiegato al Figaro Francine-Dominique Liechtenhan biografa della dinastia Romanov: “Putin è nato a San Pietroburgo, la città fondata da Pietro il Grande nel 1708. Riceve regolarmente alla reggia di Peterhof e venera questo autocrate riformatore perché è colui che ha fatto entrare la Russia nella modernità”. Il presidente russo ha infatti molto apprezzato la visita, ricordando che le relazioni tra i due paesi sono persino più antiche della visita dello zar e che ha apprezzato molto il tentativo di riavvicinamento di Macron.

Con questo atteggiamento il presidente francese ha, ancora una volta, deciso di seguire le orme di Charles de Gaulle, che invitò Nikita Chruščёv proprio a Versailles nel 1960. La visita fu organizzata in un momento molto teso delle trattative della divisione di Berlino (all’epoca ancora sotto le zone di influenza francese, inglese, americana e, naturalmente, sovietica) e consentì al generale di porre le basi per i futuri rapporti con i sovietici, rapporti che furono mantenuti da tutti i presidenti successivi, in particolare da Jacques Chirac, che consegnò a Putin la legione d’onore nel 2006 (la più alta onorificenza francese) dopo averlo invitato alla commemorazione del sessantesimo anniversario dello sbarco in Normandia nel 2004.

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Chruščёv e de Gaulle a Versailles nel 1960

Il riferimento a de Gaulle non è casuale, Macron riceve Putin subito dopo aver incontrato tutti i leader della Nato, ponendosi in questo modo come portavoce delle potenze occidentali. Macron, dopo una presidenza molto ostile alla Russia e insolitamente vicina agli Stati Uniti, ha voluto ristabilire la tradizionale posizione francese in politica estera: sì alleati degli americani ma autonomi e indipendenti, capaci di avere un rapporto costruttivo con la Russia a prescindere da cosa pensa Washington. D’altronde, secondo de Gaulle, l’Europa era compresa tra l’Atlantico e gli Urali, e l’evocazione di Pietro il grande implica San Pietroburgo e non Mosca: in un momento in cui la Russia sta cercando un interlocutore in Occidente, vista la tradizionale freddezza britannica, la posizione molto dura di Angela Merkel e l’inaffidabilità di Donald Trump, la mano tesa di Macron è benvenuta.

La Francia torna quindi a discutere con la Russia dopo che Hollande aveva chiuso tutti i canali diplomatici con Putin, una relazione mai decollata che aveva trovato il suo punto più basso a novembre, quando Putin decise di non partecipare all’inaugurazione del centro culturale e spirituale ortodosso di Parigi lo scorso novembre. Molte analisi dei giorni successivi hanno sottolineato come Macron abbia capito perfettamente qual è il modo in cui ragiona Putin: il presidente russo comprende i rapporti di forza, e ha capito che con il presidente francese potrà avere un rapporto franco e diretto.

Diretto al punto da tracciare una nuova linea rossa: l’uso delle armi chimiche in Siria non sarà tollerato, la Francia è pronta ad intervenire militarmente per sanzionarne un nuovo utilizzo; i diritti della comunità LGBT in Cecenia e delle ONG in Russia vanno salvaguardati, e la Francia veglierà affinché non vengano violati in continuazione come negli ultimi mesi. Infine, uno dei momenti più tesi: l’evocazione dell’ influenza russa durante la campagna elettorale. Macron ha esplicitamente criticato le due agenzie di stampa RT e Sputnik che “non fanno giornalismo e quindi non hanno potuto avere accesso al Quartier Generale di En Marche!”, un passaggio che è stato molto ripreso dai telegiornali e dalle televisioni di tutto il mondo

Infine, giovedì sera è arrivata la decisione ufficiale di Donald Trump: gli Stati Uniti non onoreranno l’impegno preso dall’amministrazione Obama con il trattato Cop21, l’accordo mondiale sul contrasto ai cambiamenti climatici. Appena il presidente americano ha terminato il suo discorso alla Casa Bianca, l’Eliseo ha annunciato che il presidente Macron avrebbe reagito con un messaggio alla nazione. Macron ha prima parlato in francese, criticando la decisione degli Stati Uniti, giudicandola incomprensibile, poi in inglese, rivolgendosi direttamente agli americani e invitando tutti gli scienziati che vogliono continuare a impegnarsi per il pianeta a venire in Francia, dove avranno la possibilità di farlo (cosa che aveva già fatto, sempre in inglese, durante la campagna elettorale). La conclusione “make our planet great again” è stata un attacco diretto e quasi personale a Donald Trump, che non avrà gradito l’ennesima provocazione del giovane presidente francese.

 

È chiaro che Macron, in questo momento di campagna elettorale, stia sfruttando la scena internazionale per consolidare il proprio vantaggio nei sondaggi, che lo danno già tranquillo vincitore delle elezioni legislative in programma la settimana prossima. Ma c’è qualcosa di più: il presidente ha deciso di raccogliere il testimone di Barack Obama e accreditarsi come nuovo leader mondiale, un ruolo che ha sempre rivendicato di voler esercitare, per se stesso e per il suo paese. Per ora l’obiettivo sembra riuscito, ma le sfide più grandi sono ancora davanti a lui.

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Il sondaggio è stato effettuato dall’istituto Ipsos

Il personaggio della settimana

 

Nathalie Kosciusko-Morizet è una delle figure politiche di primo piano più a rischio in queste elezioni legislative. È candidata nella seconda circoscrizione di Parigi, un collegio considerato blindato dalla destra gollista ed ex circoscrizione di François Fillon. Si dice che questo sia uno dei motivi per cui non ha mai abbandonato la campagna presidenziale nemmeno nei momenti più critici, nonostante avesse poco in comune con toni e programma. NKM, come viene spesso abbreviato il suo nome, ha infatti difeso una posizione liberale-libertaria durante le primarie della destra di novembre, e ha sostenuto Alain Juppé al secondo turno. Nonostante la posizione conciliante nei confronti di Emmanuel Macron deve affrontare un candidato di En Marche! oltre a due candidati vicini ai repubblicani (tra cui Henri Guaino, ex consigliere di Sarkozy). I sondaggi dicono che perderà le elezioni (al ballottaggio il candidato di En Marche!, Gilles Le Gendre, la batterebbe 68 per cento a 32 per cento): se dovesse accadere il collegio sarebbe uno dei simboli della “caduta del vecchio mondo”. Peccato che a farne le spese sia uno dei volti più interessanti della destra repubblicana.

Consigli di lettura

-Ne ho già scritto la settimana scorsa, ma qui trovate un utilissimo riassunto dell’affaire Ferrand, lo scandalo che sta mettendo in discussione la posizione del ministro per la coesione territoriale;

Secondo il New Statesman il discorso con cui Emmanuel Macron ha reagito all’annuncio di Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dalla Cop21 è quello che tutti noi attendevamo da un giovane leader progressista. Però potrebbe non essere il miglior modo di trattare con Trump, e quindi essere controproducente;

La lunga intervista concessa da Vladimir Putin al Figaro, il giorno dopo l’incontro di Versailles. Vale l’abbonamento, così come vale l’abbonamento il racconto di come si prepara un’intervista del genere;

-La cronaca della visita di Pietro il Grande a Parigi nel 1917, in un bellissimo articolo scritto dal Monde Diplomatique nel 1959, alla vigilia della visita di Chruščёv.

Per oggi è tutto, noi ci sentiamo venerdì mattina per fare il punto prima del voto di domenica!

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Présidentielle 2017, trentaseiesima settimana: i primi problemi per Macron

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1-Richard Ferrand, ministro della coesione territoriale e uno degli uomini più vicini a Emmanuel Macron, è coinvolto in un piccolo scandalo che potrebbe danneggiare il presidente. Di che si tratta?

2-Le legislative si avvicinano, mancano due settimane e En Marche! sembra essere in grado di raggiungere la maggioranza assoluta.

1-C’è un FerrandGate?

La prima grande legge della presidenza Macron sarà una “legge sulla moralizzazione della vita pubblica”. Il testo, che è frutto dell’alleanza elettorale che ha concluso il nuovo presidente con François Bayrou, prevede una serie di misure molto restrittive per i parlamentari come l’obbligo di non avere processi in corso, un limite  di tre mandati consecutivi, il divieto di assumere i familiari come assistenti parlamentari e il divieto o la forte restrizione dell’attività di consulenza durante il mandato. La legge, che mira a evitare il ripetersi di scandali come quello di François Fillon, mette d’accordo un po’ tutti, cittadini e partiti politici, e serve a Emmanuel Macron anche per mostrare concretamente che i privilegi utilizzati dai vecchi partiti non saranno più tollerati.

Fin qui tutto bene, se non fosse che mercoledì scorso il Canard enchaîné, il settimanale satirico che ha rivelato il Penelope Gate, ha accusato Richard Ferrand, ministro della coesione territoriale, segretario di En Marche! e uno degli uomini più vicini al presidente,  di essere protagonista di una “saga di affitti familiari”. Il giornale si riferisce a dei fatti del 2011 quando Ferrand era direttore generale delle Mutuelles de Bretagne (ruolo che ha occupato dal 1993 al 2012, quando è stato eletto deputato), un organo che raggruppa tutte le mutuelles del dipartimento Finistère. La mutuelle è una società senza scopo di lucro che consente ai soci di avere dei vantaggi in termini di prezzi o prestazioni nell’ambito in cui la società è attiva, in questo caso nella sanità.

A gennaio 2011 la società decide di aprire una nuova sede per un centro di ricovero a Brest e pubblica quindi una gara per decidere da chi affittare il locale da utilizzare. Tra le tre offerte ricevute viene scelta all’unanimità quella di una società civile immobiliare chiamata SACA, che propone un affitto di 42000 euro l’anno. Il motivo della scelta è che la proposta è la più conveniente dal punto di vista economico. Nulla di male se non fosse che la stessa società, che fa capo alla moglie del direttore generale, Richard Ferrand, al momento dell’accordo non esista ancora legalmente e non abbia nemmeno acquistato i locali che propone in locazione. Secondo il Canard enchaîné è proprio grazie a questo accordo che Sandrine Doucen (la moglie di Ferrand), riesce ad aprire la società immobiliare e comprare la sede di Brest: i 402000 euro di mutuo concessi dal Credit Agricole sono pari al 100 per cento della somma necessaria all’acquisto del locale che poi verrà affittato alla mutuelle: “un trattamento riservato solo a chi ha un affittuario il cui reddito è garantito”, come spiega il settimanale.

Inoltre il locale comprato dalla moglie di Ferrand è stato rinnovato con dei lavori pari a 184000 euro totalmente a carico della mutuelle senza alcuna contropartita che ha consentito un aumento di valore della società civile immobiliare di 3000 volte, sempre secondo il settimanale. Infine il ministro della coesione territoriale ha assunto suo figlio come assistente parlamentare per quattro mesi, durante l’estate del 2013, per la gestione dei suoi profili social media e per la manutenzione del suo sito web, pratica ormai stigmatizzata, ma assolutamente legale (non sembra ci siano sospetti sull’effettiva realizzazione del lavoro).

I due “affaires” non sono tali dal punto di vista legale; nel caso dell’impiego del figlio non sembrano esserci problemi, nel caso delle mutuelles non si tratta di denaro pubblico e quindi il Parquet National Financier, la procura istituita da François Hollande per trattare gli scandali che riguardano l’utilizzo a fini personali delle finanze dello Stato, ha dichiarato di non essere competente a riguardo, così come la procura di Brest. Ciò detto, è innegabile che la storia ponga un problema: François Bayrou, durante la conferenza stampa in cui ha annunciato la sua alleanza con Macron, a febbraio, ha dichiarato che una legge sulla “moralizzazione della vita pubblica” era stata una delle contropartite da lui richieste. Le parole contano, non è una legge che intende solo regolamentare la vita pubblica, ma intende “moralizzarla”: il suo obiettivo è più ampio, morale vuol dire etica, dei concetti astratti e simbolici per un potere che si pretende nuovo e vuole rompere con le pratiche del passato. In questo senso la posizione di Ferrand è delicata, Emmanuel Macron non si è espresso e l’Eliseo ha fatto capire che non lo farà, il primo ministro Édouard Philippe ha chiarito che la sorte di Ferrand sarà decisa dagli elettori, visto che il ministro è candidato nella sesta circoscrizione di Finistère, e Christophe Castaner, il portavoce del governo ha ammesso che la situazione è spiacevole perché “aggiunge sospetto in una situazione generale di sospetto”.

La questione non è di facile gestione per l’Eliseo anche perché Ferrand è uno degli uomini più vicini al presidente: è stato il primo deputato a lasciare il PS per En Marche! ed è il segretario del movimento. Se l’affaire dovesse montare con altre rivelazioni o dovesse iniziare a creare divisioni all’interno del Governo (François Bayrou, che è il ministro della giustizia, non ha ancora commentato) le legislative potrebbero essere l’occasione per risolvere il problema: storicamente il governo viene “aggiustato” a seguito delle elezioni, tenuto conto dei nuovi equilibri che si creano in Assemblea, e tenuto conto di qualche ministro candidato che, come abbiamo chiarito la settimana scorsa, se dovesse perdere il collegio dovrebbe automaticamente dimettersi. Il 18 giugno potrebbe quindi essere chiesto a Ferrand di fare un passo indietro.

2-Le legislative si avvicinano

È ancora presto per avere dei sondaggi accurati, anche perché oltre un terzo dei deputati uscenti non si ricandida (ed è un record storico) e quindi nelle circoscrizioni ci sono moltissimi volti nuovi. Chiaramente i sondaggi che contano davvero non sono quelli che valutano le intenzioni di voto a livello nazionale (che pure indicano le tendenze) ma quelli che vengono effettuati nelle singole circoscrizioni; di per sé non è un esercizio semplice per i sondaggisti e stavolta è ulteriormente complicato dalla confusa situazione politica. Innanzitutto il progetto centrale di Emmanuel Macron incoraggia la grande liquidità dell’elettorato francese sottolineata più volte durante la campagna presidenziale. In 50 circoscrizioni su 577 non sono presenti i candidati di En Marche! ma dei candidati considerati macron-compatibili; alcuni di questi hanno sul proprio manifesto l’indicazione “maggioranza presidenziale” (è il caso di Bruno Le Maire, ex repubblicano, ministro dell’economia di Macron non investito ufficialmente da En Marche!), altri no, pur non avendo nessun candidato di Macron nel proprio collegio (è il caso di Stéphane Le Folle, ex ministro dell’agricoltura con Hollande rimasto nel Partito socialista).

A complicare ancora il quadro sono le divisioni interne ai partiti tradizionali: alcuni candidati con il simbolo dei repubblicani hanno un atteggiamento conciliante nei confronti di Macron (ad esempio l’ex primo ministro Jean Pierre Raffarin) e si dicono disposti a collaborare con il suo governo una volta eletti, altri candidati con lo stesso simbolo vogliono invece una politica intransigente nei confronti del presidente (i deputati vicini a Laurent Wauquiez). Insomma, votare repubblicano in un collegio non è la stessa cosa che votare repubblicano in un altro.

A questa situazione di per sé confusa si aggiunge l’imbroglio dei manifesti elettorali. In molte circoscrizioni alcuni candidati che hanno, appunto, posizioni concilianti nei confronti di Macron, ma che hanno allo stesso tempo un candidato En Marche! come avversario, hanno ritoccato i loro manifesti in maniera molto ambigua, con l’indicazione di “maggioranza presidenziale” e senza simboli di partito. Erwann Binet è un candidato del Partito socialista che ha come avversaria une candidata de la République en marche, Caroline Abadie. Ecco il suo manifesto, notate qualcosa di strano?

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O ancora Anthony Pitalier, investito dai socialisti e con un candidato di En Marche! a contendergli il collegio, gioca la carta della “maggioranza presidenziale” senza essere stato invitato a farlo.

Capite che in queste condizioni chi non segue moltissimo le dinamiche può essere abbastanza confuso.

Come detto, le intenzioni di voto a livello nazionale non aiutano moltissimo nel capire quanti seggi possono essere attribuiti, ma possiamo registrare una dinamica favorevole al presidente: dato intorno al 22 per cento subito dopo la vittoria alle presidenziali (quindi più o meno in linea con il suo risultato al primo turno) in un sondaggio condotto da Opinion Way per Les Echos è stimato al 28 per cento, mentre i repubblicani, che sono al momento il suo avversario più temibile al 20 per cento.

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Il sondaggio più interessante è però il seguente, che indica quanti francesi gradirebbero una maggioranza solida per Emmanuel Macron. La percentuale è piuttosto alta perché va molto al di là delle intenzioni di voto per En Marche! registrate dallo stesso sondaggio. Ciò vuol dire che non solo il partito del presidente è in questo momento in grado di mobilitare i propri elettori, ma che ci sono elettori di altri partiti che in fondo potrebbero pensare di “dare una chance” a En Marche!, essendo quindi meno motivati ad andare a votare contro i candidati della maggioranza presidenziale. Le elezioni legislative in Francia si giocano su entrambe le attitudini, e Emmanuel Macron ha lanciato tutti i messaggi possibili pur di “smobilitare” il centro-destra: il primo ministro repubblicano, l’economia ad una figura di spicco della destra, la postura di capo dell’esercito molto apprezzata dai gollisti storici.

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Il personaggio della settimana

Mounir Mahjoubi è uno dei volti nuovissimi portati da Emmanuel Macron al governo. È stato nominato sottosegretario di Stato al digitale, ha 33 anni, è figlio di immigrati marocchini ed è stato a capo del Conseil national du numérique, la commissione creata da François Hollande per valutare l’efficacia delle politiche pubbliche in materia di innovazione e tecnologia digitale. Ha raggiunto En Marche! occupandosi della campagna dal punto di vista digitale a gennaio 2017, e ha contribuito a sventare l’attacco informatico di cui è stato vittima il comitato elettorale alla vigilia delle elezioni. È inoltre candidato in una circoscrizione molto simbolica, la sedicesima di Parigi, che comprende il 19éme e il 20éme arrondissement ed è una storica roccaforte della sinistra. Al primo turno Jean-Luc Mélenchon è arrivato in testa con il 30 per cento dei voti, di poco avanti Emmanuel Macron, ma è soprattutto la circoscrizione dove è candidato il segretario del partito socialista, Jean Christophe Cambadélis. Venerdì sono andato ad un evento organizzato in un bar del quartiere e nel suo discorso il sottosegretario ha più volte sottolineato l’importanza simbolica di voltare pagina eleggendo lui al posto di Cambadélis, deputato del collegio, sempre rieletto dal 1997.

Consigli di lettura

-Se vi divertono tutti i manifesti elettorali ambigui c’è un articolo divertente pubblicato dall’Obs che vi consiglio (e che ho ampiamente utilizzato per la seconda parte);

-Il filosofo Guillaume Perrault analizza il cambiamento delle campagne elettorali dai tempi dei romani fino ad oggi, passando per la rivoluzione del 1789;

-Una lunga intervista alla filosofa Sandra Laugier, che ha partecipato attivamente alla campagna elettorale di Benoît Hamon e spiega le ragioni delle sconfitta.

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, trentatreesima settimana: Emmanuel Macron, il nuovo monarca repubblicano

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Chi è il Presidente della Repubblica francese? Cosa rappresenta la funzione immaginata da Charles de Gaulle nel 1958? Ma soprattutto, chi diventerà Emmanuel Macron, da ieri sera il più giovane Capo di Stato francese dalla creazione della funzione, nel 1848?

La risposta non può che essere affidata alle sue parole, pronunciate l’8 giugno del 2015:

“Nel processo democratico e nel suo funzionamento c’è un assente. Nella politica francese assente è la figura del re, che credo il popolo francese non abbia voluto vedere morto. Il Terrore ha scavato un vuoto emozionale, immaginario, collettivo: il re non è più lì! Abbiamo cercato di riempire questo vuoto mettendoci altre figure ma ci siamo riusciti davvero solo nel periodo napoleonico e in quello gollista; a parte questi due periodi, la democrazia francese non è riuscita a riempire. La dimostrazione è la continua messa in discussione della figura presidenziale, costante da quando il generale de Gaulle è morto. Dopo il generale, la normalizzazione della figura presidenziale ha inserito una poltrona vuota nel cuore della vita politica: pretendiamo che il presidente della Repubblica occupi questa funzione ma chi è eletto non riesce più a farlo. Tutto è fondato su questo malinteso.”
Come fare, dunque, a re-incoronare il monarca repubblicano? La lunga cavalcata è necessaria, la storia fuori dal comune imprescindibile. I tanti traguardi della vita di Emmanuel Macron sembrano quasi preparati in anticipo: il percorso straordinario all’ENA, la fucina dei funzionari pubblici francesi; l’ingresso all’ispettorato delle finanze, uno dei migliori dipartimenti della funzione pubblica; la nomina nella Commissione Attali, con i suoi potentissimi 42 membri scelti nel 2007 per riformare lo Stato francese; la brillante carriera alla banca Rotschild, con un accordo di 8 miliardi di dollari gestito da protagonista; l’arrivo all’Eliseo, da segretario generale del Presidente; l’investitura da ministro dell’Economia come figura di punta della nuova politica liberale del quinquennat di Hollande; infine l’abbandono del governo, la campagna elettorale più facile del previsto grazie agli errori infiniti degli avversari (colti e sfruttati appieno); la vittoria al primo turno, la vittoria delle elezioni.

Tutto straordinario, bello da raccontare, ma non sufficiente. Per fare il re c’è bisogno di un’immagine potente, che resti, come Napoleone che s’incorona il 2 dicembre del 1804, immortalato da Jacques-Louis David.

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In assenza di corone il mezzo può essere un grande discorso, come per Abramo Lincoln fu il discorso di Gettysburg. Ma Macron non è uno straordinario oratore. E allora serve un simbolo, un contorno capace di sostenere e far risaltare il momento storico oltre l’uomo che lo rappresenta. Ecco il perché di una camminata di tre minuti carica di evocazioni. Un’immagine che spiega da sola qual è il programma politico di Macron per i prossimi cinque anni, un programma che non c’entra nulla con le fredde liste di cose da fare, ma è più ambizioso. L’ambizione di Emmanuel Macron non è governare, è presiedere, è rendere di nuovo la carica per cui è stato eletto sacra, al di sopra delle parti, potente e intoccabile.

 

 

Il simbolo è quindi la marche: la musica di Beethoven in sottofondo, simbolo dell’Europa e della rinascita dopo la guerra; la Pyramide e il museo con le sue migliaia di opere d’arte, dal rinascimento italiano all’antichità romana, dall’Egitto alla Grecia con la Nike di Samotracia, la vittoria, simbolo dell’audacia e della fortuna che il giovane presidente ha preso per le corna quando ogni ragione sembrava sconsigliare una scommessa impossibile da vincere; il palazzo del Louvre, la residenza dei re che abbraccia la piazza venuta a festeggiare il nuovo Capo di Stato, simbolo di una carica unica al mondo per l’investitura diretta e universale dal popolo. Infine l’uomo, da solo, visibilmente emozionato e austero nel lungo cappotto scuro à la Kennedy che incontra il popolo che l’ha incoronato.

I tre minuti che separano Macron dagli archi del Louvre al palco servono a questo, a rilanciare l’ambizione della Francia in Europa e nel mondo. Un mondo che, dopo lo sbandierato ritiro nei propri confini degli Stati Uniti di Trump, ha bisogno di una nuova guida, necessita di esempi e di scelte politiche coraggiose. È quasi un secolo che la Francia sogna di poter tornare ad essere esempio per tutti, e quei tre minuti simboleggiano l’incrocio del destino personale di un uomo con quello della sua patria.

È megalomania e vanagloria oppure senso e coscienza della storia? La domanda è legittima, anche perché caricando così tanto la sua figura, a tratti al limite del narcisismo, il racconto di Macron rischia di andare in pezzi al primo scontro con la realtà, ad esempio quando i sindacati di sinistra andranno in piazza a protestare contro la sua riforma del mercato del lavoro. Ho deciso di raccontarvi questa marche così carica di simboli perché è stato un momento molto evocativo ma, come ci ha abituato il nuovo presidente, una tale mise en scène è l’ennesima grande scommessa.

E se tra un anno scoprissimo che Emmanuel Macron, così giovane e inesperto, non è quell’uomo politico salvifico che stamattina tutti i giornali internazionali celebrano?

2-Chi ha votato e come

Venerdì avevo sottolineato come una delle domande più interessanti che rivolgono i sondaggisti agli elettori è “come ve la passate con il vostro stipendio alla fine del mese”, perché contiene sia l’indicatore oggettivo del reddito che la percezione soggettiva della propria condizione. La spaccatura tra i due elettorati è evidente e rende l’idea, qualora ce ne fosse ancora bisogno, di quanto sono distanti i francesi che votano per Macron dai francesi che scelgono Marine Le Pen.

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Il sondaggio è stato realizzato da Ipsos

Un altro indicatore molto interessante e peculiare a questa strana elezione è l’alto numero di schede bianche che, come vedete dal prossimo grafico, raggiunge una percentuale e un numero assoluto da record: 4.066.802 di francesi hanno inserito una scheda bianca, pari al 11,49 per cento dell’elettorato.

Grafico 1

Il grafico è del Parisien

Questi numeri sono sintomo di un popolo che, al di là delle evocazioni ricordate prima, è tutt’altro che rapito dalla retorica di Emmanuel Macron. E infatti il 51 per cento di chi ha scelto scheda bianca l’ha fatto perché rigetta entrambi i candidati, mettendoli implicitamente sullo stesso piano (e questo è un grande problema per Macron); e il 39 per cento non rigetta i candidati ma pensa, laicamente, che nessuno dei due rappresenta delle idee “votabili”. Se poi guardate la motivazione per gli elettorati dei candidati eliminati al primo turno vi rendete conto che in questa scelta ha pesato molto la posizione “né l’uno né l’altro” di Jean-Luc Mélenchon.

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I problemi per Macron però non sono finiti: come sapete tra un mese esatto si vota per le elezioni legislative che eleggeranno la futura Assemblea Nazionale, la camera che dà la fiducia al governo. Solo il 39 per cento degli elettori desidera che il nuovo presidente riesca ad ottenere una maggioranza assoluta per governare, segno che l’elezione del Parlamento sarà tutt’altro che una passeggiata per Macron.

Grafico 3

D’altronde, che questa fosse un’elezione per difetto appariva chiaro anche alla vigilia: la maggioranza degli elettori degli altri candidati ha scelto Macron solo in opposizione alla sua avversaria, e alle legislative difficilmente voterà per un candidato con l’etichetta En Marche!. Di sicuro però, Macron può essere felice del 43 per cento degli elettori di François Fillon che l’ha scelto per una delle tre qualità indicate dal sondaggio che leggete di seguito: il rinnovamento politico, il suo programma e la sua personalità.

 

Grafico 4.png

Gli ultimi tre sondaggi sono realizzati sempre da Ispsos ma li trovate in un altro archivio

È necessario guardare agli elettori di Fillon perché è a quell’area politica che in questo momento il nuovo presidente deve rivolgersi, dato per assodato che gran parte degli elettori tradizionali del Partito socialista e del centrismo vota per lui. Se dovesse nominare un primo ministro gradito al centro destra moderato, potrebbe esercitare una pressione notevole sia sugli elettori naturali dei repubblicani sia sui dirigenti che si sono detti disponibili a lavorare insieme al nuovo presidente in caso non riuscisse ad avere la maggioranza. Di questo parleremo meglio domenica prossima ma è uno scenario che bisogna iniziare a tener presente.

Il personaggio della settimana

Richard Ferrand è stato uno dei primi deputati del Partito socialista  ad appoggiare il movimento e la candidatura di Emmanuel Macron. È il segretario di En Marche!, cioè il personaggio che ha tenuto le redini del movimento in tutti questi mesi. La vittoria di ieri è dovuta senza dubbio anche a uomini come lui che hanno ben consigliato Macron, e hanno lavorato, soprattutto all’inizio, con l’ostilità del proprio partito di appartenenza.

Bonus!
A proposito di camminate tra monumenti con l’inno alla gioia di sottofondo, guardate qui, dal minuto 4.30 (e grazie a Marc per la segnalazione del video).

 

 

 

Consigli di lettura

-Per una lettura più tecnica del voto di ieri vi consiglio l’analisi di Matteo Cavallaro su Agi;

-Una troupe ha seguito tutta la campagna elettorale di Emmanuel Macron potendo filmare il dietro le quinte della cavalcata presidenziale. Il documentario completo è stato trasmesso su TF1, qui un racconto dell’idea su Slate;

Secondo Gilles Kepel, esperto di jihadismo, il progetto dello Stato Islamico e dei gruppi terroristici è aiutare l’ascesa di partiti come il Front National per favorire un clima da guerra civile. Grazie a Lorenzo per la segnalazione!

In ogni caso Qui trovate il calendario della prossime settimane, per farvi un’idea di cosa ci aspetta.

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