Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, edizione straordinaria: il terrorismo a tre giorni dal voto

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Di cosa parliamo oggi?

1-Ieri sera un poliziotto è stato ucciso in un attentato terroristico a Parigi. Cos’è successo e che impatto ha sulla campagna presidenziale?

2-“La Francia si è spostato a destra” è una frase ricorrente nelle conversazioni parigine. Eppure dai sondaggi non sembra, dove sono finiti gli elettori di destra francesi?

1-L’attentato di Parigi

I fatti

Ieri sera alle 21.00 un uomo armato con un fucile automatico è sceso dalla sua auto in Avenue des Champs-Élysées e ha aperto il fuoco verso una camionetta della polizia, uccidendo un agente e ferendone un altro. L’uomo ha provato a continuare l’attacco dirigendosi verso gli altri agenti presenti sul posto ma è stato abbattuto prima che potesse uccidere ancora. Il bilancio totale dell’attacco è di un poliziotto morto, due altri agenti in gravi condizioni oltre ad una turista lievemente ferita. Il procuratore di Parigi François Molins ha confermato che l’identità dell’attentatore è stata verificata ma non l’ha rivelata alla stampa, visto che sono in corso delle indagini per capire se l’attentatore avesse dei complici. Era stato emanato un mandato d’arresto per un presunto complice che però si è immediatamente presentato al commissariato di Anversa in Belgio. Non è chiaro se per costituirsi o per spiegare di essere totalmente estraneo all’attentato.

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L’infografica è stata realizzata da Sud-Ouest

Lo Stato Islamico ha subito rivendicato l’attacco che avviene in un momento di fortissima tensione e allerta terroristica. Il week end scorso i candidati erano stati avvertiti dal ministero dell’interno su una minaccia precisa verso la loro persona e la loro campagna, e le misure di sicurezza erano state aumentate (Fillon ha dodici agenti di scorta e il livello del protocollo della sua protezione è 2, in una scala da 1 a 4, dove 1 è il livello massimo). Martedì sono stati arrestati due sospetti terroristi a Marsiglia, e nel loro appartamento sono state trovate delle foto dei vari candidati, dei comunicati inneggianti alla “legge del taglione” in riferimento ai bombardamenti occidentali in Siria e 3 kg di esplosivo.

Il Figaro riporta che il sospetto sarebbe Karim C. un uomo francese di 39 anni residente nel dipartimento di Senna e Marna già conosciuto sia ai servizi segreti che alla polizia. Nel 2001 ha ferito due agenti a seguito di un inseguimento a bordo di un’auto rubata, una volta in commissariato ha attirato un terzo agente nella sua cella, l’ha disarmato e gli ha sparato ferendolo gravemente, prima di essere bloccato e neutralizzato. L’uomo era considerato “estremamente pericoloso e violento” dai servizi ed aveva un lungo passato giudiziario: condannato nel 2005 a 15 anni di carcere per tentato omicidio, era in libertà dal 2015, ma controllato dai servizi antiterrorismo dal dicembre scorso per alcune minacce alla polizia.  Secondo le informazioni del Monde Karim C. non sarebbe però un “fiché S” la schedatura del ministero dell’interno riservata agli individui particolarmente pericolosi per la sicurezza pubblica (che, nel caso in cui non fossero francesi o binazionali Marine Le Pen vorrebbe immediatamente espellere dal territorio francese).

La polizia come bersaglio

Il luogo dov’è avvenuto l’attacco è uno dei più turistici della città, ed uno dei più controllati dalla polizia. Nelle immediate vicinanze della grande avenue si trovano l’Eliseo, il ministero dell’interno e il commissariato del quartiere; in più è un luogo dove le misure di ordine pubblico sono rinforzate a causa della presenza di musei e negozi a grande afflusso di persone. Se l’attentatore avesse voluto compiere una strage come quella del novembre 2015 avrebbe potuto direttamente puntare verso una delle tante code che si formano ai negozi o uno degli affollati bistrot che si trovano lungo la strada. La scelta di attaccare la polizia è quindi deliberata, l’uomo si è semplicemente diretto in uno dei posti dove poteva trovare più bersagli di questo tipo.

Questo atteggiamento diverso era già stato sottolineato in occasione degli attacchi al Louvre, dov’era stato ferito un poliziotto, e ad Orly, dove una poliziotta era stata quasi disarmata da un attentatore prima che questi venisse neutralizzato dai colleghi della pattuglia. Le forze dell’ordine francesi devono non solo proteggere le persone ma anche proteggere sé stessi: è un tipo di terrorismo diverso da quello a cui siamo tristemente abituati in Francia e rende il lavoro delle forze dell’ordine più difficile e più stressante. Va tra l’altro sottolineata la professionalità degli agenti di polizia costretti ad aprire il fuoco verso l’attentatore in un ambiente molto frequentato.

A chi giova?

Non lo sappiamo, e chi scrive o sostiene il contrario mente. Quello che è certo è che la lotta al terrorismo non è stata al centro del dibattito di queste presidenziali, nemmeno in occasione delle due aggressioni citate prima. I candidati si sono concentrati sul rapporto con l’Europa, la disoccupazione, la politica estera, oltre che, come sapete bene, sui vari scandali che hanno segnato la campagna elettorale. Il terrorismo è stato oggetto di discussione molto più durante le primarie della destra che durante questi ultimi due mesi di colpi di scena, ologrammi e dibattiti televisivi inediti.

Possiamo però essere certi che il terrorismo segnerà le due settimane che ci separano dal secondo turno, essendo tornato prepotentemente al centro delle preoccupazioni dei francesi e dei candidati. Per ora ha già avuto un impatto notevole sulla logistica della campagna: François Fillon, Marine Le Pen e Emmanuel Macron hanno annullato i loro impegni pubblici previsti per oggi e hanno organizzato una conferenza stampa sull’argomento ai loro rispettivi comitati elettorali.

2-L’elettorato di destra esiste, è maggioritario e esita

Torniamo alla politica, per quanto sia complicato parlarne dopo quello che è successo. La situazione di incertezza è cosa abbastanza nota, ma è utile tenerla ben presente. Come potete vedere dal prossimo grafico sono quattro i candidati in grado di accedere al secondo turno, per quanto Emmanuel Macron conservi un relativo vantaggio e pare abbia consolidato il suo elettorato.

Sondaggio 1

 

Guardate invece i soliti dati sull’indecisione

Sondaggio 2

Ragioniamo però sull’elettorato di destra. In una puntata recente mi ero chiesto dove fosse finito l’elettorato che aveva scelto Nicolas Sarkozy nel 2012, sottolineando come François Fillon convinceva troppo poco il suo elettorato naturale per poter sperare di arrivare al secondo turno. Sono state scritte moltissime analisi su quanto la società francese si sia spostata a destra negli ultimi anni. Questa chiave di lettura non è solo data da intellettuali e editorialisti dei principali media francesi, ma anche dai politici stessi che impostano le loro campagne elettorali di conseguenza.

Nicolas Sarkozy nel 2012 ha recuperato uno svantaggio di quasi dieci punti nei confronti del suo avversario in poco meno di un mese perdendo le elezioni di poco più di un punto percentuale, proprio spostando molto a destra la sua campagna; per affrontare le primarie François Fillon è partito dalla stessa analisi della società per proporre un programma molto liberale in economia ma soprattutto durissimo sulle questioni di società e sicurezza. Il suo libro “vincere il totalitarismo islamista” è stato uno dei tasselli che gli hanno permesso di vincere la competizione interna al suo partito, e il fatto che in questa fase della campagna elettorale il terrorismo sia finito in secondo piano l’ha sicuramente penalizzato.

Il ragionamento è coerente anche e soprattutto se consideriamo i risultati delle elezioni “intermedie” che si sono svolte durante la presidenza Hollande. Se si sommano i voti dell’UMP poi LR (la destra gollista) a quelli del Front national ci si accorge che la Francia era molto più a destra di quanto sembri trasparire dagli ultimi sondaggi. Alle europee del 2014 l’UMP raccolse il 20,8 per cento e il FN il 24,8 per cento. In quel caso il centro, oggi in gran parte alleato della destra, si presentò da solo, raccogliendo il 9,9 per cento; alle dipartimentali del marzo 2015 l’unione della destra e dei centristi prese il 36 per cento, il Front national il 25 per cento; alle regionali del dicembre 2015 la destra gollista alleata con l’UDI (la coalizione attuale) e Modem arrivò al 31 per cento e il Front national al 27 per cento. In tutti questi casi la percentuale dei voti espressi al primo turno è  stata superiore al 50 per cento, nel 2015 addirittura intorno al 60 per cento.

Alla destra mancano quindi milioni di elettori che non si sono semplicemente volatilizzati ma sono dispersi. Alcuni hanno scelto senza dubbio Emmanuel Macron, ma altri sono con ogni probabilità tentati dall’astensione o non hanno ancora definito la propria scelta. Non possiamo escludere che Fillon riesca a convincerli, e che il popolo di destra scelga per il suo candidato naturale: non lo amano, li ha delusi, ha condotto una campagna sopra le righe e lontana dall’immagine proba che aveva costruito, ma resta il candidato più solido in un momento di grande sbandamento del paese.

François Fillon ha perso il suo più grande e gradito avversario: François Hollande. In genere le campagne presidenziali si costruiscono intorno al bilancio del presidente uscente, perché è su questo che si misurano il progetto di continuità e quello di rottura. Il candidato dei repubblicani non ha potuto strutturare la sua campagna in questo senso, ha avuto difficoltà a trovare un avversario privilegiato (anzi è stato schiacciato dal dualismo globalizzazione/chiusura rappresentato da Macron e Le Pen) e ha passato mesi a difendersi in maniera scomposta dagli scandali e dagli attacchi della stampa.
Nei momenti più difficili però François Fillon ha mostrato una resistenza e una caparbietà fuori dal comune, prima pretendendo e ottenendo che la sua candidatura venisse mantenuta e poi riuscendo a restare a galla nei sondaggi. Il repubblicano non è mai sceso al di sotto del 17 per cento, e ciò indica che il cuore del suo elettorato è rimasto fedele, tanta è la voglia di riprendere il potere dopo cinque anni di odiato hollandismo. Resta da capire quanto questa voglia di rivalsa spinga le persone ai seggi domenica. Fillon ha dimostrato di aver capito cosa sta succedendo, visto il tono di uno dei suoi ultimi appelli: “non chiedo di essere amato ma di essere sostenuto. Non si elegge un presidente per amarlo, ma perché risponda ai problemi dei francesi. All’elezione si sceglie un capo di Stato, un comandante dell’esercito, un presidente che mantenga i suoi impegni, non si sceglie un amico”. Insomma gli elettori esistono, bisogna capire se il candidato è, nonostante tutto, quello giusto. E se poi la vera destra apparisse quella di Marine Le Pen?

Momento pubblicità: in settimana sono in Italia per un piccolo tour, mercoledì a Torino al circolo dei lettori con Lorenzo Pregliasco di Youtrend, giovedì a Milano alle 18.30 alla libreria Temporibus Illis con Lia Quartapelle e Giuliano da Empoli, venerdì a Roma alle 17 al LOFT della Luiss con Simone Massi. Infine il sito “Il caffè geopolitico” mi ha intervistato sulle presidenziali francesi.

Il personaggio della settimana

Dominique de Villepin è stato ministro degli esteri, dell’interno e primo ministro durante la seconda presidenza di Jacques Chirac dal 2005 al 2007. È molto famoso in Francia anche per aver tenuto il discorso alle Nazioni Unite con cui ha annunciato la decisione del suo paese di non partecipare alla guerra in Iraq. Ieri sera ha annunciato il suo sostegno ad Emmanuel Macron che, a più riprese, aveva dichiarato alla stampa la sua stima e la sua considerazione per l’ex primo ministro.

Consigli di lettura

Una lunga e dettagliata analisi di Youtrend per agi.it su cosa dicono i sondaggi e come vanno interpretati, anche alla luce della demografia;

-Il programma di Macron analizzato da Andrea Goldstein per Lavoce.info

-Marine Le Pen ha avuto un relativo crollo nelle intenzioni di voto, e secondo il politologo e sondaggista Brice Teinturier (che ormai chi è iscritto alla mia newsletter conosce bene) bisogna smetterla di dire che “tutto è possibile” perché “Marine Le Pen non sarà presidente”;

Settimana scorsa ho scritto che Lille è una piccola città del nord-ovest, ma è al nord-est. Scusate la distrazione!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, diciottesima settimana: Hamon è in testa al primo turno

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 Dunque: ieri i socialisti hanno votato al primo turno delle primarie per scegliere il loro candidato alle presidenziali.

Cos’è successo?

I due qualificati al secondo turno sono Benoît Hamon e Manuel Valls. Alcuni giornali italiani hanno scritto di “risultato a sorpresa” ma, come analizzato nella newsletter di sabato e nelle settimane precedenti, un secondo turno del genere era piuttosto probabile. Il fatto che questo risultato fosse impossibile da pronosticare solo a dicembre conferma un dato forse banale, di cui va tenuto conto quando si criticano i sondaggi e i giornalisti incapaci di raccontare quello che sta succedendo: le campagne elettorali spostano voti. È stato così per François Fillon alle primarie dei repubblicani, sarà così anche per le elezioni di maggio. 

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Come vedete Benoît Hamon è in testa con il 36% dei consensi, mentre Valls si è fermato al 31%. Lo scarto non è molto largo, ma Arnaud Montebourg, arrivato terzo, ha dichiarato che voterà per Hamon, vista la vicinanza dei loro progetti e le tante battaglie comuni condotte in passato. Dopotutto i due fondarono una corrente per rinnovare il partito (il nuovo PS) e insieme lasciarono il Governo per contrasti con il primo ministro Valls nel 2014, meritandosi l’appellativo di “frondisti” per quasi tutta la presidenza Hollande.

 

1-La partecipazione

Una delle incognite più importanti riguardava il numero dei votanti. Sabato avevamo spiegato che la soglia minima per considerare la partecipazione “onorevole” era due milioni di votanti. Non abbiamo ancora dati certi (e infatti ci sono già le prime polemiche) ma sul 90% dei seggi scrutinati la cifra è piuttosto bassa: al momento si contano 1,56 milioni di persone, e dall’organizzazione spiegano che probabilmente la cifra totale sarà di 1,65 milioni. Se è forse esagerato parlare di “catastrofe”, l’affluenza è di certo deludente: senza azzardare un impietoso paragone con le primarie della destra, a cui hanno partecipato 4,2 milioni di elettori, nel 2011 alle primarie socialiste votarono in 2,7 milioni al primo turno. Più di un milione di differenza.

Questo, oltre al problema politico evidente di un candidato che non potrà sfruttare una vera e propria dinamica, vista la poca legittimazione popolare, è una pessima notizia per le casse del partito. I socialisti con una partecipazione del genere riusciranno a stento a finanziare il voto di ieri, mentre come abbiamo visto i repubblicani non solo hanno coperto le spese, ma addirittura finanziato l’intera campagna per le presidenziali.

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Come potete notare, Hamon ha preso poco più della metà dei voti di Sarkozy in novembre

2-Per cosa hanno votato gli elettori socialisti?

Questa la domanda chiave delle primarie di ieri, due le risposte possibili. La prima: mobilitarsi per il candidato con più possibilità di arrivare al secondo turno delle elezioni presidenziali, scegliendo il profilo più vicino alla figura di uomo di Stato, Manuel Valls. La seconda: scegliere il candidato capace di rappresentare al meglio i valori di sinistra e dare un forte segnale di discontinuità con la politica della presidenza Hollande, votando per Benoît Hamon o Arnaud Montebourg. Sommando i voti dei due candidati della sinistra PS arriviamo al 54%: un messaggio piuttosto chiaro.

D’altronde un sondaggio condotto dall’istituto Elabe sulle motivazioni degli elettori lascia pochi dubbi rispetto a questa interpretazione.

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Un voto del genere, accompagnato da motivazioni così nette, significa che la svolta liberale di Hollande, messa in opera da Jean-Marc Ayrault (primo ministro dal 2012 al 2014) e Manuel Valls (primo ministro dal 2014 sino a dicembre scorso), è stata sonoramente bocciata dagli elettori socialisti. Con ogni probabilità chi è andato a votare ieri non vedeva l’ora di esprimere il proprio dissenso rispetto ad una presidenza giudicata deludente e molto lontana dalle roboanti promesse della campagna elettorale. Per capirci François Hollande iniziò la sua corsa all’Eliseo con un discorso quasi di sinistra radicale, dichiarando che l’avversario della sua presidenza sarebbe stato “il mondo della finanza”. Cinque anni dopo, di quel discorso non è rimasto nulla.

 

La “révolte” rispetto alla politica di Hollande e Valls è d’altronde la chiave di lettura fornita da Arnaud Montebourg, che sosterrà Hamon al secondo turno per chiudere definitivamente con l’esperienza rappresentata da Valls e Hollande. Chi ha votato domenica, ha detto commentando i risultati, ha condannato questi cinque anni di governo, rifiutando di apportare il proprio sostegno a coloro che hanno messo in opera le politiche “di austerità e di deriva liberale”. Al di là dei toni da tribuno per cui è famoso Montebourg, possiamo dire che l’analisi è sostanzialmente corretta. Aggiungerei che la forte polarizzazione prodotta da queste primarie ha come conseguenza un forte rigetto della famosa “sintesi” tra le due anime dei socialisti immaginata da Mitterrand nel 1971, portata avanti da Lionel Jospin negli anni ’90 e raccolta da Hollande nel 2011, quando l’allora segretario del partito vinse le primarie proprio con questa piattaforma. Ora ci troviamo di fronte a due progetti di società completamente diversi: entrambi i candidati hanno fatto i complimenti all’avversario auspicando un dibattito di alto livello tra due visioni “della società” opposte. “Della società” non “della sinistra”. I candidati avevano accuratamente evitato di assumere le profondissime divisioni politiche che fratturano il Partito Socialista, gli elettori li hanno costretti a farsene carico.

 

3-I meriti di Hamon

Se Hamon dovesse vincere domenica prossima, com’è probabile, sarà un candidato alle presidenziali abbastanza debole. Di questo parleremo, nel caso, lunedì prossimo. Per ora, è utile capire perché la sua proposta ha convinto la maggioranza relativa dell’elettorato socialista.

Nelle ultime settimane abbiamo raccontato come il profilo dell’ex ministro dell’istruzione stesse acquisendo solidità, per una serie di ragioni. (Se volete approfondire potete leggere le puntate dall’8 gennaio in poi, quando abbiamo cominciato a osservare la dinamica favorevole di Hamon)

È stato molto bravo a marcare una differenza con Arnaud Montebourg, l’altro candidato della sinistra PS che sino a dicembre doveva essere lo sfidante principale prima di Hollande, quando sembrava certa la sua candidatura, e poi di Valls. Mentre Montebourg ha presentato un programma di sinistra classica, individuando – semplifico – in grandi investimenti pubblici la chiave per far ripartire l’occupazione, Hamon ha avuto il coraggio di proporre un’alternativa reale e molto forte: il reddito universale. La sua diagnosi è che l’economia digitale distruggerà più posti di lavoro di quanti ne creerà anche sul lungo periodo, va quindi totalmente ripensato il welfare, senza temere di ammettere che l’idea del lavoro al centro della vita degli esseri umani potrebbe diventare un concetto superato. Questa proposta, costosissima e stando così le cose inapplicabile senza un innalzamento deciso della tassazione, ha avuto due meriti.

Il primo, come visto, è stato identificare il candidato con un messaggio nuovo, facile da comunicare, quasi rivoluzionario – per quanto la sinistra francese abbia un rapporto particolare con il lavoro, e di questo parleremo senz’altro sabato, alla vigilia del voto. Il secondo è stato dare una speranza e un’utopia a un popolo che stentava a riconoscersi nel partito che ha governato la Francia negli ultimi cinque anni. Avevo sottolineato come il successo delle primarie è in genere determinato dall’entusiasmo, dalla capacità che ha questo strumento di accelerare un processo di cambiamento politico già in atto. Se è vero che ciò non si può dire per questa consultazione in sé, visti i problemi ampiamente affrontati nelle scorse settimane, certamente la candidatura e la vittoria di Hamon un minimo di entusiasmo l’hanno suscitato. Ieri sera, dopo la vittoria, il suo comitato elettorale è stato trasformato in una discoteca: sembrava di essere ad una festa organizzata dai Socialisti Gaudenti più che al quartier generale di un partito.

Benoît Hamon ha poi capito perfettamente per cosa sarebbero andati a votare gli elettori: non per un eventuale presidente della repubblica, ma per un personaggio in grado di difendere i valori di sinistra. Non ha mai cercato di assumere posizioni a lui poco congeniali, è stato autentico e coerente con le sue proposte e con la sua storia. Avere un profilo poco presidenziale era un suo limite, ma alla fine questo non ha contato.

 

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Come vedete, le qualità necessarie per essere presidente non sono nemmeno citate

4-Valls può ancora vincere?

La posizione di Manuel Valls è molto difficile. Lo è numericamente, perché come visto, stando così le cose, la linea antigovernativa Hamon-Montebourg è maggioritaria. Ma ci sono almeno tre motivi politici per cui la strada verso una sua rimonta è piuttosto impervia.

Il primo sta nella dinamica: dalla sua entrata in campagna Manuel Valls ha costantemente perso consensi. Abbiamo assistito e raccontato l’erosione del consenso dell’ex primo ministro che si faceva più forte dopo ogni dibattito e dopo ogni comizio contestato, interrotto o poco partecipato. Recuperare uno svantaggio partendo da sfavorito è molto più semplice che partire da favorito e vedere il proprio consenso sgretolarsi passo dopo passo. 

Il secondo è rappresentato dalle sue posizioni storiche. L’abbiamo ripetuto più volte, Manuel Valls è un esponente dell’ala destra del Partito Socialista, è tendenzialmente liberale in economia e molto duro sulle questioni di immigrazione, sicurezza e laicità. Alle ultime primarie, quelle del 2011, la sua candidatura raccolse solo il 5,6% dei consensi. Dovendo per forza di cose porsi come candidato in grado di unire tutto il partito, ha dovuto assumere una postura a lui poco congeniale: gli estimatori di Valls hanno sempre apprezzato la sua capacità di prendere posizioni eterodosse (schierarsi contro le 35 ore lavorative settimanali), radicali (proporre e difendere a spada tratta il progetto sulla déchéance de nationalité, cioè la possibilità di privare della cittadinanza francese i condannati per terrorismo) decisioniste (utilizzare l’articolo 49.3 della Costituzione, l’equivalente della nostra questione di fiducia, per approvare delle riforme anche senza il consenso della minoranza del suo partito). Appena entrato in campagna Valls ha invece rinnegato tutte queste posizioni (tranne quella sulla déchéance de nationalité), dichiarando più volte di essere cambiato. Poi, resosi conto che la strategia non pagava, ha ricominciato a “fare il Valls”, probabilmente peggiorando la situazione. 

L’ultimo motivo è che la campagna elettorale è stata condizionata, con grande merito, dal suo avversario principale, bravissimo a dettare l’agenda su temi e proposte a lui poco congeniali. Specularmente si può notare una sostanziale indifferenza degli elettori rispetto ai temi dove Valls è più credibile e suo agio: la sicurezza, l’Europa, la gestione del fenomeno migratorio. Questo grafico, sempre dal sondaggio Elabe citato prima, è piuttosto eloquente.

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Per recuperare Valls ha solo una speranza: attirare molte persone che non sono andate a votare ieri, puntando sul suo profilo presidenziale e sulla sua (presunta) capacità di ottenere un miglior risultato alle elezioni di aprile. Il suo messaggio sarà piuttosto chiaro: domenica prossima i socialisti sceglieranno, definitivamente, tra la sinistra di governo e “la sinistra dalle proposte irrealizzabili”. Il problema è che, a corpo elettorale immutato, gli elettori hanno già scelto per la seconda sinistra.

5-Emmanuel Macron incassa l’ennesima ottima notizia

Abbiamo analizzato più volte il fenomeno di Emmanuel Macron in questi mesi. Tra le varie ragioni del suo successo c’era quella della mancanza di un candidato del Partito Socialista. Fino ad oggi il leader di En Marche! ha avuto gioco facile a occupare lo spazio politico che va dalla destra del partito socialista ai repubblicani. Per tutta l’ultima parte del 2016 i socialisti sono rimasti sospesi aspettando l’annuncio di François Hollande, che alla fine ha deciso di non ripresentarsi; poi si sono gettati in una campagna per le primarie frenetica e poco chiara dal punto di vista politico (ancora, per cosa avrebbero votato gli elettori? Ce lo siamo chiesti per settimane).

È chiaro che dal risultato di ieri Emmanuel Macron esce piuttosto rafforzato. Innanzitutto per la partecipazione: con poco più di 1,5 milioni di elettori queste primarie non consegneranno alcuna dinamica favorevole al vincitore, chiunque egli sia. Avere alla sua sinistra un candidato legittimato da una forte investitura popolare avrebbe rappresentato un problema; dopotutto Macron si è candidato da indipendente alla testa di un movimento nato pochi mesi fa, e non può rivendicare alcun “popolo” in grado di mobilitarsi concretamente per sostenerlo. In secondo luogo, dal punto di vista politico un candidato come Hamon è l’ideale: le loro due proposte sono incompatibili, la visione liberale-libertaria della società e la sensibilità per il mondo delle imprese e dell’economia digitale rappresentata da Macron è lontanissima da quella del favorito alle primarie del PS. Un candidato come Valls, magari distante su alcuni temi (lotta al terrorismo, laicità) ma molto simile su economia e lavoro, sarebbe stato più competitivo nei suoi confronti, e avrebbe suscitato una domanda spontanea: “se non siete poi così lontani, perché non riuscite a mettervi d’accordo”?

Di tutto questo continueremo a parlare nella puntata speciale di sabato prossimo. Come per questo week end ci sentiamo prima del voto per fare un punto della situazione e lunedì mattina, per commentarlo.

Per oggi è tutto, a sabato prossimo!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, diciassettesima settimana: le primarie dei socialisti, domenica prossima

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Le notizie sono moltissime, ed è complicato riuscire a spiegare tutto senza rendere la newsletter lunghissima e forse ad un certo punto anche noiosa. Per cui oggi affronteremo solo i socialisti, rimandando le notizie sugli altri candidati. Com’è accaduto per le primarie dei repubblicani, la settimana prossima riceverete due newsletter, una sabato e una lunedì, avremo quindi modo di affrontare per bene anche il resto.

1-Manca una settimana al primo turno delle primarie

Giovedì i socialisti hanno tenuto il loro primo dibattito. L’audience è stata di 3,8 milioni di telespettatori, 18% di share; sono due milioni in meno rispetto al primo dibattito dei repubblicani, visto da 5,6 milioni di persone con il 26,3% di share. Il dibattito è stato meno seguito anche rispetto al 2011, durante le primarie che incoronarono François Hollande. In quel caso si registrarono quasi 5 milioni di telespettatori.

Il confronto è stato molto lungo e francamente un po’ artificiale. Come analizzato in precedenza, i programmi sono molto diversi, eppure i candidati hanno accuratamente evitato di attaccare gli altri, tendendo più a recitare una serie di piccoli monologhi che a dialogare con chi avevano di fianco. Per farvi capire il clima, alla prima domanda Manuel Valls ha iniziato a rispondere chiarendo subito di “non avere nemici né avversari stasera”, immediatamente seguito dai vari appelli all’unità di tutti gli altri. Il momento più polemico è stato forse quando Benoit Hamon ha criticato il progetto di décheance de nationalité (la possibilità di privare della cittadinanza francese i condannati per terrorismo), facendo reagire in modo molto sorpreso Manuel Valls (che però si è limitato a qualche smorfia, senza replicare direttamente).

Il paragone con le primarie e i dibattiti dei repubblicani è naturale, ed è difficile da sostenere. I candidati della destra erano politici di peso: oltre ai due ex primi ministri (Fillon e Juppé) e un ex Presidente della Repubblica (Sarkozy), anche i cosiddetti candidati minori avevano ricoperto ruoli di estrema rilevanza, tutti ministri più volte tranne Jean-Frédéric Poisson. I quattro candidati socialisti vengono dalle varie minoranze, nessuno ha mai rappresentato la parte più importante del PS: non è facile operare la famosa “sintesi” se hai costruito tutto il tuo percorso politico su posizioni di minoranza. Nelle scorse settimane ci si chiedeva quanto questa postura avesse danneggiato l’inizio della campagna elettorale di Manuel Valls, che aveva parlato molto di unità e preso posizioni poco coerenti rispetto ai suoi punti di forza, rinnegando alcune scelte prese quando era primo ministro (l’utilizzo della fiducia, che in Francia è uno strumento molto controverso, su tutte), e faticava a far valere il suo ruolo di primo ministro. Allo stesso modo le posizioni del passato e la storia personale danneggiano Montebourg e Hamon, entrambi incapaci di rappresentare un candidato maggioritario.

La mancanza di François Hollande, tra l’altro, si è fatta sentire. Senza un candidato molto controverso e che suo malgrado calamitasse l’attenzione dei media e degli altri candidati il dibattito è stato meno dinamico e interessante; mentre gli elettori di centrodestra potevano farla finita con Sarkozy, ai simpatizzanti della gauche non è data la possibilità di voltare veramente pagina rispetto ad una stagione politica. Certo, Valls rappresenta in parte il bilancio di Hollande, ma nel sistema francese il presidente è una sorta di “monarca repubblicano” e attaccare il suo primo ministro non è la stessa cosa: per un elettore poco interessato l’idea di andare a votare in una consultazione per eliminare politicamente Hollande può avere un senso, non si può fare lo stesso ragionamento per Valls.

Che dire poi dell’entusiasmo? La riuscita delle primarie si basa sull’entusiasmo, sulla promessa di cambiamento (come fu per Hollande nel 2011 e com’è stato per Fillon a novembre). In questo caso nessuno è entusiasta, perché queste primarie, pensate per François Hollande, sono diventate un congresso del PS per designare un candidato in grado di evitare l’implosione della storica gauche de gouvernment. Il messaggio filtrato sinora è abbastanza chiaro, e lo hanno integrato persino i vari candidati: difficilmente da queste elezioni interne verrà fuori il probabile prossimo presidente; la partita, come visto, è un’altra. Infine, da non sottovalutare, non è in gioco il destino politico di nessuno, non ci troviamo di fronte all’ultima chance com’è stato per Juppé, Fillon e Sarkozy. I tre repubblicani erano obbligati a vincere le primarie; la sconfitta significava il ritiro dalla vita politica. Per i candidati socialisti, tutti intorno ai cinquant’anni, è molto più difficile parlare di carriera finita a prescindere dal risultato. È dunque chiaro che l’approccio è diverso, in questo caso.

Ma forse il più grande problema del dibattito è stato la mancanza di chiarezza nelle prospettive. Nessuno ha avuto la capacità di porre con forza il tema di cos’è oggi il Partito Socialista, dove vuole andare e perché solo il suo progetto è in grado di riportare la sinistra all’Eliseo; nessuno ha osato affrontare le profondissime divisioni ideologiche in campo. Se è vero che le fratture nella destra erano più di natura personale che politica, visti i trascorsi difficili e le varie incomprensioni, la sinistra è segnata da visioni del mondo del lavoro, delle questioni di sicurezza e dell’Europa difficilmente conciliabili. Ciononostante non si sono visti attacchi duri anche quando ce ne sarebbe stata l’occasione, specialmente su alcune scelte di Manuel Valls o su alcune proposte degli altri candidati. Nessuno ha avuto il coraggio di discutere con franchezza: esattamente l’atteggiamento che ha fatto naufragare il quinquennio di Hollande, ostaggio delle incomprensioni e ambiguità ideologiche della sua maggioranza.

La scelta di evitare il confronto su questi temi viene probabilmente dalla necessità di non mostrare un partito socialista a sua volta diviso in una sinistra già spaccata in tre, vista la presenza ed il relativo successo di Mélenchon e Macron. La strategia rischia però di disinteressare ancor di più un elettorato che ha ormai interiorizzato la sconfitta.  Su Mediapart Hubert Huertas pone bene la questione: “il partito socialista è pronto ad affrontare le contraddizioni che lo fratturano oppure le nasconderà sotto il tappeto?”

2-Cosa dicono i Sondaggi?

Ne commentiamo due, il primo è stato effettuato subito dopo il dibattito,  il secondo invece è di ieri ed è stato realizzato tra l’11 e il 13 gennaio, quindi prima e dopo il dibattito.

A-Montebourg è stato il più convincente

 

Come vedete Arnaud Montebourg è considerato il candidato più convincente dall’insieme dei telespettatori. Questo è un dato importante, siccome finora la sua campagna elettorale non è stata molto entusiasmante, come vedremo a breve. L’altro dato molto interessante è quello tra i simpatizzanti di sinistra, più motivati ad andare a votare domenica prossima: Benoit Hamon è il candidato più convincente, nonostante una prestazione non particolarmente entusiasmante, come ha lui stesso ammesso il giorno dopo.

Perché dico che il dato è interessante? Perché nelle ultime settimane abbiamo osservato una dinamica favorevole alle sue idee e alla sua candidatura; questo sondaggio la conferma. Allo stesso modo Montebourg in terza posizione tra i simpatizzanti conferma la difficoltà che incontra l’ex ministro dell’economia rispetto alla piattaforma del suo rivale, evidentemente più credibile per gli elettori della sinistra PS che sicuramente non voteranno Manuel Valls.

B-Le intenzioni di voto

La prima cosa da notare è che l’interesse verso le primarie è cresciuto, anche se di poco, rispetto alle rilevazioni effettuate prima del dibattito.

 

Per quanto riguarda le intenzioni di voto, Valls si conferma favorito (ma un altro sondaggio lo dava perdente al secondo turno), e Hamon conferma la sua popolarità tra i simpatizzanti di sinistra, arrivando molto vicino a Montebourg tra i simpatizzanti del PS. Insomma, i giochi sono apertissimi.

3-Un po’ di considerazioni sui tre principali candidati

A-Valls si è comportato bene

Il grande rischio di Manuel Valls era diventare il bersaglio delle critiche di tutti gli altri candidati: unico ad aver partecipato fino in fondo al bilancio di Hollande, bilancio contro cui si sono candidati Hamon e Montebourg, che all’inizio speravano di affrontare il Presidente uscente con una campagna molto aggressiva. Invece, come visto prima, nessuno ha basato la propria strategia sul “tutto tranne Valls”:  l’ex primo ministro è uscito indenne da questo punto di vista, e anzi ha utilizzato la domanda sul “come considera la presidenza Hollande in una sola parola” rispondendo in maniera decisa e più efficace degli altri: “fierezza. Sono fiero di aver servito il paese durante un periodo difficilissimo: la lotta al terrorismo. Non dimentichiamolo mai.

Questa risposta ha consentito poi a Valls di battere forte sui suoi temi storici, cioè sicurezza e identità, dove è riuscito a ritagliarsi uno spazio preminente vista anche la sua responsabilità di governo passata. È andato relativamente in difficoltà sui soggetti economici, specialmente sulla contestata legge del lavoro che Hamon e Montebourg hanno detto di voler abrogare, ma tutto sommato poteva andargli molto peggio. Possiamo dire di aver visto l’ex primo ministro più a suo agio rispetto a quanto era apparso nelle uscite mediatiche precedenti  e deciso nell’imporre la propria statura istituzionale, certamente più strutturata di quella dei suoi concorrenti. Certo, non è stato brillante o particolarmente trascinante, ma d’altronde non lo è stato nessuno.

B-C’è spazio per un paragone Hamon-Fillon?

Dal punto di vista della dinamica il paragone può esserci. Se andiamo a vedere la progressione nei sondaggi, lo spazio che viene dato alle sue idee, alla sua coerenza, e alla sua capacità di parlare alla sinistra del partito allora sì, effettivamente ci sono delle somiglianze. Come visto la sua apparizione televisiva è stata apprezzata; i sondaggi post-dibattito contano relativamente in termini elettorali, possono però darci un’indicazione abbastanza precisa sulla dinamica, sul sentimento che Hamon riesce a suscitare. L’ex ministro dell’istruzione ha però un problema, che si è visto nella sua partecipazione al programma Émission Politique dell’autunno scorso e che è riapparso nel dibattito di giovedì: non ha statura presidenziale, come conferma una delle domande del sondaggio analizzato prima, posta a chi aveva appena guardato il dibattito.

E qui sta forse il paradosso: se queste primarie fossero pensate per scegliere un potenziale presidente della repubblica, allora una mancanza del genere conterebbe molto. Ma ad un’eventualità del genere non credono nemmeno i socialisti (poi può cambiare tutto, ma al momento è davvero molto difficile vedere un altro socialista all’Eliseo in primavera). Se invece è un buon capo dell’opposizione che in queste due domeniche gli elettori del partito andranno a scegliere, allora il difetto potrebbe contare molto meno. La sua sfida è rendere in qualche modo credibile la sua proposta faro, quella del reddito universale, che per ora lo ha caratterizzato e ha anche catalizzato le critiche durante il dibattito. Ha poco tempo per farlo, e il format dei dibattiti non lo aiuta: una campagna così corta potrebbe penalizzarlo.

 

C-I problemi di Montebourg

Arnaud Montebourg sembrava essere lo sfidante più accreditato. Nei sondaggi che circolavano quando si credeva che Hollande avrebbe partecipato alla competizione era molto alto, in alcune rilevazioni era addirittura vincente. La sua campagna però stenta a decollare: le proposte sono di sinistra classica, cioè alzare la spesa pubblica e fare “piena occupazione” con investimenti. A ciò aggiunge la retorica sul patriottismo economico e contro le banche, oltre alla critica alle politiche di austerità vere “responsabili della perdita di potere d’acquisto e della disoccupazione”. Su questi temi, ancora più di Benoit Hamon, Montebourg è coperto da Mélénchon, che in questi mesi ha monopolizzato l’attenzione dei media per quanto riguarda la sinistra radicale. Infine sta soffrendo la dinamica di Hamon, che pur venendo da un’area politica molto simile, ha avuto il merito di mettere in piedi una proposta davvero innovativa. La rilevazione Elabe effettuata subito dopo il dibattito è quindi un’ottima notizia, nei prossimi dibattiti sarà con ogni probabilità molto più aggressivo.

Per oggi è tutto, a sabato prossimo!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, sedicesima settimana: Marine Le Pen è in campagna elettorale

Sedicesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Di cosa parliamo oggi?

1-Marine Le Pen ha quasi cominciato la campagna elettorale. Anche se l’apertura ufficiale ci sarà a febbraio, la leader del Front National è tornata in televisione e ha iniziato a girare la Francia.

2-Manuel Valls è in testa a un sondaggio pubblicato dall’istituto Harris Interactive, ma oltre ai dubbi sulla qualità del sondaggio la sua campagna ha moltissimi problemi.

3-Emmanuel Macron per la prima volta è stimato al secondo turno delle presidenziali. Mancano quattro mesi alle elezioni, è quindi ancora presto, però la sua dinamica si sta consolidando. La domanda è se durerà, soprattutto dopo le primarie dei socialisti.

1-Marine Le Pen è in campagna elettorale

Marine Le Pen è quasi in compagna elettorale. La leader del Front National aprirà ufficialmente la sua campagna il 4 e 5 febbraio a Lione, alle “assises présidentielles” (una convention di due giorni in cui sarà presentato gran parte del programma ), ma ha messo fine alla sua “dieta mediatica”, la strategia pre-elettorale messa in atto all’inizio del 2016 a seguito della sconfitta alle regionali. Noi ne avevamo parlato più volte ed era uno dei temi centrali del ritratto che avevo scritto a settembre.

Martedì mattina è stata ospite in una delle trasmissioni politiche mattutine più seguite del paese, Bourdin Directe, e ha rilasciato una lunga intervista alla rivista Causeur. Ha avuto quindi l’occasione di parlare di alcuni temi del suo programma, ma soprattutto di attaccare François Fillon, l’avversario più pericoloso per il Front National, vista la capacità dell’ex primo ministro di attrarre l’elettorato più sensibile ai temi indentitari e di sicurezza, come ha tra l’altro ammesso Marion Meréchal-Le Pen, l’esponente del partito più impegnata su questi argomenti. In particolare Marine Le Pen ha criticato il programma sulla sanità di Fillon, che avvantaggerebbe solo “i ricchi e i clandestini” e ha ironizzato sul suo metodo di campagna elettorale, dicendo che “il candidato repubblicano è immobile; se Sarkozy avesse vinto le primarie avrebbe tenuto già cinque comizi e ci avrebbe regalato almeno diciotto polemiche”.

Ci sono poi due notizie, una buona e l’altra molto meno. Marine Le Pen, dopo aver avuto tantissima difficoltà a finanziare la campagna elettorale (tradizionalmente le banche francesi non fanno credito al Front National), ha infine ottenuto un prestito dal piccolo partito del padre. Questo era un problema strategico non da poco e averlo risolto prima di cominciare la vera campagna è un’ottima notizia. Quella cattiva è che secondo Mediapart la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta sul Front National, accusato di aver impiegato fittiziamente collaboratori con i fondi del Parlamento Europeo. Al posto di lavorare tra Bruxelles e Strasburgo i falsi assistenti sarebbero stati utilizzati esclusivamente per l’attività politica del partito. Di questo avevamo già parlato, visto che il caso circola da tempo, adesso bisogna capire se e quanto danneggerà il partito.

2-Manuel Valls è in testa ai sondaggi

Secondo un sondaggio realizzato dall’istituto Harris Interactive, Manuel Valls è il favorito di questa competizione. Come potete vedere, Valls arriverebbe in testa al primo turno e vincerebbe in maniera piuttosto agevole il ballottaggio, non riuscendo l’ala sinistra del partito a batterlo nemmeno unendo le forze (ciò che al quartier generale dell’ex primo ministro temono di più).

Questo sondaggio va preso però con moltissima cautela. Oltre alle solite precauzioni sui sondaggi che vi risparmio, deve essere ricordato il contesto, che ormai conoscete abbastanza bene. I candidati hanno dei programmi molto vaghi, a parte Valls e Montebourg sono relativamente poco noti e durante queste feste nessuno ha fatto seriamente campagna elettorale. Un sondaggio che non tenga conto dei dibattiti televisivi, che come già spiegato saranno con ogni probabilità decisivi, e che venga commissionato prima di conoscere dove saranno montati i gazebo (lo sapremo lunedì) è abbastanza inutile. Tanto che sinora è il primo che stiamo commentando (mentre se ricordate durante le primarie della destra si pubblicavano più sondaggi a cadenza settimanale).


In più finora il percorso di Valls è stato tutt’altro che entusiasmante, vediamo perché.
A-I problemi della campagna di Manuel Valls

Nelle scorse settimane avevamo detto che Valls avrebbe avuto difficoltà ad incarnare il candidato della sintesi, avendo costruito tutto il suo percorso politico su posizioni minoritarie e a loro modo innovative sulla sicurezza, l’economia e il lavoro. Le grandi linee del suo programma, che per evidenti ragioni di tempo non è approfondito, sono invece un insieme di posizioni poco coraggiose e molto più a sinistra rispetto al solito. Il risultato, riassunto efficacemente dalla giornalista Nathalie Saint-Cricq, è che se qualcuno stimava Valls per le sue tradizionali posizioni adesso ne è deluso, chi invece lo detestava adesso non può far altro che sorridere, trovando poco credibili queste nuove posizioni.

Tra le varie posizioni su cui ha cambiato completamente linea ce ne sono due in particolare: ha dichiarato di voler abolire l’articolo 49.3 della Costituzione dopo averlo utilizzato due volte. L’articolo in questione è assimilabile alla nostra questione di fiducia: il governo chiede la fiducia del parlamento su una legge, ritenendola fondamentale per la continuazione della propria azione politica. Dall’approvazione della legge dipende la permanenza in carica dell’esecutivo, motivo per cui tutti gli emendamenti presentati cadono. A France 2 Valls si è giustificato dicendo che l’utilizzo del 49.3 gli è stato imposto dalla minoranza del partito, e che non dovrebbe essere mai utilizzato. Ha poi proposto di defiscalizzare gli straordinari, misura che era stata introdotta da Sarkozy nel 2007, emblematica del suo slogan “lavorare di più per guadagnare di più”, subito soppressa da Hollande nell’autunno del 2012, e duramente criticata dallo stesso Valls durante le primarie del 2011 perché troppo costosa. Il punto controverso della proposta, sempre sottolineato dalla sinistra, è che le imprese preferiscono far fare gli straordinari ai dipendenti piuttosto che assumere, e questo in un momento di grande disoccupazione pone ovviamente un problema.

In generale, durante tutta la trasmissione, si è visto un Valls abbastanza a disagio nel doppio ruolo di dover difendere un bilancio governativo che non è completamente suo, e allo stesso tempo dover proporre novità e proposte originali pur avendo occupato la poltrona di primo ministro negli ultimi due anni e mezzo. Valls è dunque lontano dal risolvere il più grande problema politico della sua candidatura: la sua forza è sempre stata la capacità di prendere delle posizioni scomode e di mantenerle con coerenza, la sua debolezza è sempre stata l’incapacità di fare sintesi tra le diverse anime del partito. Ora ha bisogno di farlo, ma cercando di piacere a tutti corre il rischio di snaturare il suo profilo, di “hollandizzarlo”. Questa contraddizione potrebbe emergere con forza durante i dibattiti, che si annunciano molto complicati.

B-Il dibattito interessante sul lavoro

C’è un tema a mio parere interessante, di cui si stanno lentamente occupando i giornali e che con ogni probabilità avrà un ruolo importante durante i dibattiti: la differenza di visione che i vari candidati hanno del mondo del lavoro. Benoït Hamon ha posto con forza il tema proponendo l’istituzione di un reddito universale per tutti i francesi, misura che costerebbe intorno ai 300 miliardi. Ora, senza entrare nel merito del progetto, che difficilmente potrebbe essere applicato a breve in queste dimensioni, forse è uno dei pochi argomenti interessanti introdotti in queste primarie un po’ spente.
La diagnosi di Hamon è che l’economia digitale distruggerà più posti di lavoro di quanti ne creerà anche sul lungo periodo, va quindi totalmente ripensato il welfare, senza temere di ammettere che l’idea del lavoro al centro della vita degli esseri umani potrebbe diventare un concetto superato. Non sono sulla stessa linea gli altri candidati, Valls ad esempio propone un reddito “decente”, legato in ogni caso al posto di lavoro, Montebourg ha delle posizioni da sinistra classica, alzare le tasse sui redditi più alti (in particolare intervenendo sul settore bancario) per finanziare un piano di investimenti pubblici, perché “lo stato normale di un’economia è la piena occupazione”; sulla stessa lunghezza d’onda Vincent Peillon, che propone di portare il piano di investimenti europei di Juncker da 300 a 1000 miliardi di euro.

Sarà molto interessante vedere come questa proposta sarà spiegata e difesa/attaccata durante il dibattito, vista la grande crisi in cui versa il partito socialista una proposta del genere potrebbe rivitalizzare il dibattito. In questo senso c’è grande distanza con Macron, che invece sottolinea spesso di essere il candidato del lavoro, e che la rivoluzione digitale va compresa e sfruttata proprio per le possibilità occupazionali che offre.

3- La candidatura di Macron è sempre più solida 
Continuano le ottime notizie per Emmanuel Macron. Secondo un sondaggio pubblicato dall’istituto Elabe giovedì, il leader di En Marche! sarebbe qualificato al secondo turno davanti a Marine Le Pen nel caso in cui il candidato socialista fosse Montebourg e François Bayrou decidesse di non presentarsi. Ma, come potete notare, in tutti gli altri casi le sue percentuali sono comunque molto alte, per la prima volta sopra il 20%.

Pur tenendo conto di tutte le incognite affrontate nelle scorse settimane, questo sondaggio conferma la tendenza: parlare di bolla mediatica ormai è fuori luogo, il fenomeno Macron acquista solidità settimana dopo settimana. In più questo consente all’ex ministro dell’economia di avere un gran spazio mediatico nonostante le imminenti primarie del PS, come dimostrano le varie copertine che le riviste continuano a dedicargli (Macron fa vendere copie, altro ottimo segnale). Se durante le primarie della destra l’escamotage per non scomparire dal dibattito era stato dichiarare ufficialmente che si sarebbe candidato proprio a ridosso dell’elezione, in questo momento il leader di En Marche! è in una posizione di forza tale da non dover nemmeno rischiare nulla.

Macron sta infine tentando di lavorare sui suoi punti deboli, primo tra tutti la credibilità internazionale. Il suo staff sta organizzando una serie di incontri internazionali per mostrare il candidato a suo agio nei contesti di politica internazionale: il primo si terrà a Berlino settimana prossima, dove Macron dovrebbe pronunciare un grande discorso sull’Europa, tema su cui il leader di En Marche! si è speso molto ed è uno dei suoi tratti distintivi.

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, quindicesima settimana: le primarie del PS non decollano

Quattordicesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Questa settimana ci sono poche notizie, ed è comprensibile: la pausa natalizia è stata usata dai candidati per ricaricare le pile. È da settimana prossima che comincerà la maratona, per tutti i candidati e anche un po’ per me.

Di cosa parliamo oggi?

1-Emmanuel Macron ha inviato agli iscritti del suo movimento una prima bozza del programma. Le proposte però sono vaghe.

2-Le primarie del Partito Socialista non decollano: secondo un ultimo sondaggio solo il 10% dei francesi è convinto che l’elezione migliorerà l’immagine del partito.

3-François Fillon dovrà a breve scegliere i candidati alle elezioni legislative. La scelta sarà complicata e difficilmente indolore, vediamo perché.

1-Il programma di Emmanuel Macron

Poco prima di Natale Emmanuel Macron ha inviato a tutti gli aderenti di En Marche!, il suo movimento (sono circa 120.000) un piccolo libretto con i primi orientamenti sulla politica economica e sociale che porterà avanti in caso di elezione. Non è ancora il programma, e le proposte sono quindi piuttosto vaghe e poco innovative, come ad esempio quella sulle 35 ore, che verranno mantenute ma sarà possibile trovare degli accordi a livello aziendale o per categoria. Nulla di nuovo o di diverso rispetto a quanto affermato dal candidato nelle sue interviste. Sono ormai mesi che Macron rinvia la pubblicazione di un programma dettagliato, anche perché non ha dovuto partecipare a delle primarie, e se finora c’erano state poche critiche a riguardo, adesso la situazione potrebbe cambiare.

Le Figaro ha criticato l’atteggiamento del leader di En Marche!, accusandolo di adottare la stessa politica che porta avanti la Apple ogni volta che vende un nuovo iPhone: far circolare pochissime notizie per aumentare l’attesa e riservarsi qualche colpo di scena per la presentazione del nuovo prodotto. Insensibile alle critiche (dal suo entourage ripetono che la campagna elettorale comincia davvero a febbraio), Macron continua a preoccupare parecchio i socialisti, che hanno ufficialmente avvertito che i parlamentari uscenti che sosterranno Macron non avranno l’appoggio del partito nel loro collegio di appartenenza alle elezioni legislative.

I Socialisti e le primarie che non decollano

I socialisti sono ormai rassegnati all’impossibilità di dialogo con Jean Luc Mélenchon, stabilmente tra il 10 e il 15% nei sondaggi e confortevolmente abbigliato da “unica vera alternativa di sinistra al ballottaggio Le Pen-Fillon”, ma non sembrano esserlo nei confronti di Emmanuel Macron, che  cercano in tutti i modi di coinvolgere. Dopo che Jean Cristophe Cambadelis negli ultimi mesi ha più volte chiarito che per l’ex ministro dell’economia ci sarebbe posto nella competizione anche all’ultimo minuto, ogni giorno un deputato socialista va in televisione o alla radio e rivolge un appello al “cher Emmanuel” per trovare un accordo ed evitare di consegnare il paese alla destra. La risposta è sempre la stessa “il problema può essere senz’altro risolto se il vincitore delle primarie deciderà di votare per Macron”, come ha spiegato a RTL Richard Ferrand, delegato generale di En Marche!.

I timori di un flop delle elezioni primarie, di cui abbiamo abbondantemente parlato settimana scorsa, sono aumentati anche a seguito di un sondaggio Ifop appena pubblicato. Secondo il sondaggio, i francesi sono molto interessati alle primarie del Partito Socialista, anche più di quanto lo erano dalle primarie della destra (il che conferma però solo la passione politica dei francesi, ma non che andranno a votare). E questa, se vogliamo, è una buona notizia.

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La cattiva notizia è che solo il 10% dei francesi crede che queste primarie possano migliorare l’immagine del Partito Socialista, cifra che migliora di pochissimo (20%) se la domanda viene posta ai soli simpatizzanti del PS. Questo conferma l’impressione che le primarie siano più una resa di conti interna tra differenti ego che un vero confronto tra diversi progetti di sinistra per la Francia. In questo senso trovate un bellissimo e lungo articolo di Mediapart sui quattro favoriti di queste primarie: Hamon, Montebourg, Valls e Peillon. Il pezzo è in abbonamento, ma ne vale la pena.

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Tra le varie particolarità di queste primarie, che abbiamo ampiamente analizzato, ne va ritenuta una, di cui abbiamo già parlato ma è meglio aver chiara: erano pensate per Hollande. La tempistica così a ridosso delle presidenziali, il candidato della destra già noto da mesi, gran parte della campagna elettorale che va avanti durante il periodo natalizio; tutti punti di debolezza di un’elezione vera (come stiamo notando) ma perfetti per un presidente uscente. Queste primarie dovevano essere il modo per François Hollande di entrare “dolcemente” in campagna elettorale, magari con qualche buona notizia sul fronte economico, avendo anche tempo per preparare il suo programma conoscendo il profilo del suo avversario. Un vestito su misura sta bene a chi lo ha ordinato, non necessariamente al fratello o addirittura al cugino di secondo grado.

3-Fillon e le legislative

Come visto settimana scorsa (se avete perso l’ultima newsletter vi consiglio di riguardarla, se non avete ben presente il meccanismo delle elezioni legislative), Fillon è alle prese con la necessità di mettere insieme le diverse personalità del suo partito. E questo potrebbe portare a ben due “marce indietro” su questioni piuttosto rilevanti, dopo quella fatta registrare sul suo programma in materia di sanità. A  breve dovrà presentare la lista dei candidati alle prossime elezioni legislative (la data prevista per le “investiture” è il 14 gennaio, al Consiglio Nazionale). La questione è meno scontata di quello che sembra, perché oltre alle alleanze necessarie in alcuni collegi, Fillon deve selezionare, nei limiti del possibile, un gruppo di parlamentari coeso e leale. La difficilissima vita parlamentare di Hollande, eletto presidente con un gruppo socialista avverso praticamente sin dal primo giorno, fa da esempio. E quindi Fillon dovrà capire cosa fare con alcuni parlamentari che gli sono esplicitamente ostili, saranno candidati o meno? (caso emblematico in questo senso è Henri Guaino, deputato di Yveline e vicino a Sarkozy che ha battezzato il programma di Fillon “un naufragio”).

In più c’è la questione del cumulo dei mandati. Tradizionalmente la maggioranza dei parlamentari francesi esercita più di un mandato elettivo. Nel 2012 476 deputati su 577 (82%) si trovava in questa situazione, in gran parte cumulando la carica di parlamentare con quella di capo di un esecutivo locale: 261 deputati (45%) e 166 senatori (48%).  Con una nuova legge, approvata dai socialisti in questa legislatura, non sarà più possibile cumulare un mandato locale con quello di parlamentare, e quindi moltissimi eletti repubblicani dovranno scegliere quale dei due seggi mantenere. Anche se dichiaratamente ostile alla legge come tutto il suo partito, Fillon non si è mai impegnato ad abrogarla, anche perché dovrebbe essere uno dei suoi primi atti, visto che le elezioni legislative si tengono un mese dopo le presidenziali: “il mio mandato avrà altre priorità” ha chiarito più volte. Potrebbe però ricevere moltissime pressioni nei prossimi giorni, e la riunione con i parlamentari uscenti, prevista per il 10 gennaio, si preannuncia molto tesa: vista la quantità di parlamentari repubblicani in questa situazione (su 199 deputati più di un centinaio cumula diversi mandati), sarà difficile resistere.

Infine, la squadra di governo. Nel suo progetto per le primarie François Fillon si era impegnato a “designare i principali ministri chiamati a condurre le riforme subito dopo le primarie, cioè quattro mesi prima delle elezioni presidenziali”, ma la lista non è stata ancora resa nota. E un primo cambio di rotta in effetti si è visto, siccome alla domanda di Bruno Jeudy, giornalista di Paris Match, su chi potrebbe essere il suo primo ministro, Fillon ha risposto che il nome del capo del governo e gli altri ministri saranno progressivamente resi noti qualche settimana prima del primo turno. Che Fillon stia temporeggiando per allargare il più possibile i suoi sostenitori? I più maligni hanno ipotizzato che ci sia un accordo segreto tra Bayrou e il candidato repubblicano non per un ministero, ma per dei candidati alle legislative. In un caso del genere è però evidente che in quanto alleato Bayrou avrebbe anche un potere contrattuale rispetto all’esecutivo, cui dovrà poi votare la fiducia. L’accordo è stato smentito dal diretto interessato, ma senza una lista ipotesi del genere potrebbero moltiplicarsi.

Per oggi è tutto, ci sentiamo domenica!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017 quattordicesima settimana: Macron è la personalità politica dell’anno

Quattordicesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Spero abbiate tutti passato un ottimo Natale! Prima di cominciare (ancora) una comunicazione organizzativa. Domenica prossima è il primo dell’anno e difficilmente potrò inviare la newsletter. Rimandiamo a lunedì 2, e poi torneremo alla normalità visto che non mi sembra ci siano altre festività in vista.

Di cosa parliamo oggi?

1-Dopo la dettagliata guida della settimana scorsa, che chi vuole può trovare qui, ragioniamo su cos’è in gioco alle primarie del Partito Socialista: gli elettori sceglieranno un potenziale Presidente della Repubblica o in gioco c’è la leadership del partito per i prossimi 5 anni, vista la sconfitta annunciata?

2-La dinamica di Emmanuel Macron continua, secondo un sondaggio è la personalità politica più apprezzata dai francesi. Il suo successo ha una serie di “ma” che analizzeremo.

3-Perché nelle ultime settimane Fillon è apparso un po’ sulle sue?

1-Le primarie del partito socialista

Ecco le date importanti da ricordare per le primarie dei partito socialista: i tre dibattiti con tutti i candidati si terranno il 12, il 15 e il 19 gennaio, il 22 si voterà per il primo turno, il 25 ci sarà il dibattito tra i due candidati qualificati al ballottaggio ed il 29 si voterà per il secondo turno. Come potete notare il calendario è serratissimo, e per quanto i francesi amino la politica e seguano con piacere le competizioni elettorali, un susseguirsi di eventi del genere potrebbe essere troppo persino per loro (e infatti i candidati in queste vacanze hanno limitato le apparizioni pubbliche).

In più queste primarie si tengono in un clima abbastanza freddo e molto diverso da quelle che hanno incoronato Fillon un mese fa. In pochi credono che dalle primarie uscirà il prossimo Presidente della Repubblica, anzi stando così le cose il candidato socialista non riuscirà nemmeno ad arrivare al secondo turno. È chiaro che in questo contesto la competizione perde di interesse, almeno per chi non è un elettore tradizionale del Partito Socialista.

Il rischio principale è quello della partecipazione: le primarie della destra hanno avuto ben 4 milioni di partecipanti, quelle del partito socialista che incoronarono Hollande nel 2011 videro 2,6 milioni di francesi in fila ai gazebo. Una cifra molto al di sotto dei due milioni fissati come risultato soddisfacente dagli organizzatori sarebbe molto problematica per due principali motivi. Il primo è politico, ed è abbastanza intuitivo: avere un candidato scelto da pochi partecipanti è un gran segno di debolezza, ciò vuol dire che gli elettori che si riconoscono a sinistra hanno  già un loro candidato (quindi Emmanuel Macron e Jean Luc Mélenchon) o non credono che queste primarie possano servire a designare un potenziale Presidente della Repubblica. In molti potrebbero vedere le primarie come un pre-congresso del Partito Socialista e quindi semplicemente disinteressarsene.

Il secondo motivo è più burocratico: organizzare delle primarie costa un sacco di soldi. È vero che gli 8000 gazebo e gli uffici elettorali sono gestiti da volontari (ne servono quasi 40.000) ma in ogni caso l’esercizio è molto costoso, tanto che normalmente ai votanti viene chiesto un contributo minimo. Alle primarie della destra per votare servivano 2 euro, i socialisti hanno deciso di abbassare la cifra e chiedere solo 1 euro. In caso di bassa affluenza quindi gli organizzatori potrebbero addirittura rimettervi, quando invece un evento del genere è pensato anche per raccogliere un minimo di fondi per la campagna elettorale.

L’altro rischio concreto è quello della scissione del partito. Come abbiamo già spiegato settimana scorsa, i programmi dei candidati, per quanto ancora piuttosto vaghi, sono difficilmente sovrapponibili; inoltre sappiamo che le personalità in campo sono molto lontane dal punto di vista ideologico. Cosa succederà in caso di vittoria di Manuel Valls? Vedremo Arnaud Montebourg fare campagna per lui? E il contrario? Apparentemente la risposta è sì, chi partecipa alle primarie sottoscrive l’impegno a rispettarne i risultati, ma nulla appare scontato al momento. La competizione potrebbe essere l’occasione per una ricomposizione della sinistra francese, con una parte del partito che si allinea alle posizioni di Jean Luc Mélenchon e un’altra che raggiunge Emmanuel Macron. Per ora è uno scenario lontano, ma se a fine gennaio le primarie dovessero essere un fiasco in termini di partecipazione qualcuno potrebbe cogliere l’occasione e dichiarare finita l’esperienza del Partito Socialista così come lo conosciamo.

Tornando alle primarie, è ragionevole affermare che la vaghezza dei programmi e il calendario serrato renderà molto importanti i dibattiti televisivi, momento in cui i candidati saranno costretti ad approfondire i loro progetti. In più, vista la poca notorietà di gran parte dei partecipanti (solo Manuel Valls e Arnaud Montebourg sono personaggi pubblici a tutti gli effetti, gli altri candidati sono molto meno conosciuti), una buona performance televisiva da parte degli outsider potrebbe spostare gli equilibri. Questo rende l’esito, già difficile da prevedere come sempre, molto incerto: se è vero che nel caso di François Fillon abbiamo osservato che i dibattiti hanno giocato un ruolo rilevante nella rimonta, guidata però anche da moltissime scelte azzeccate del candidato oltre che da errori dei suoi avversari, in questo caso una buona impressione televisiva può essere davvero decisiva.

C’è in tutto questo una buona notizia per Manuel Valls, la disoccupazione è scesa per il terzo mese consecutivo, cosa che sicuramente potrà far valere nelle prossime settimane di campagna.

2-La dinamica di Macron prosegue

L’anno di Emmanuel Macron si è chiuso con ottime notizie. Dopo la dimostrazione di forza con il suo meeting con più di 13.000 persone (ne avevamo parlato qui), secondo un sondaggio Elabe per BFMTV il leader di En Marche! è la personalità politica dell’anno davanti a François Fillon, Marine Le Pen e Manuel Valls. Come abbiamo detto più volte Macron ha bisogno di una dinamica favorevole sia nei sondaggi che in termini di attenzione dell’opinione, queste sono quindi notizie molto positive per lui.

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Va anche detto però che la democrazia di opinione e la democrazia elettorale sono due cose molto diverse. Se andate a vedere dei sondaggi di qualche mese fa potete notare per esempio che Christine Lagarde, ex ministro dell’economia con Sarkozy e attuale direttore del Fondo Monetario Internazionale, era molto alta nel gradimento dei francesi. Ciò vuol dire che automaticamente sarebbe molto votata? Con ogni probabilità no, perché prendere voti è cosa molto diversa da essere apprezzati. Macron è in un momento favorevole,  aiutato in particolare da due dinamiche che non vanno sottovalutate: la prima è che la sinistra di governo non ha ancora un candidato. Manca quindi un personaggio di peso soprattutto a sinistra, dove al momento l’ex ministro dell’economia gioca una partita abbastanza facile e solitaria.  L’altro vuoto che Macron ha riempito è quello del  centro: il candidato naturale dei centristi, François Bayrou (che chi è iscritto da tempo conosce ormai abbastanza bene) non ha ancora chiarito le sue intenzioni, e sta vedendo sgretolarsi una serie di possibili sostegni. A inizio mese 200 tra iscritti ed eletti al movimento UDI, il partito di centro che ufficialmente si alleerà con François Fillon, hanno dichiarato ufficialmente che voteranno per Macron.

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Bisogna quindi capire come continuerà la progressione di Macron quando sicuramente uno dei due spazi sarà colmato dal candidato dei socialisti. In questo senso Macron deve sperare che le primarie le vinca uno tra Benoit Hamon e Arnaud Montebourg: il ragionamento è che con un candidato molto di sinistra i moderati potrebbero andare verso di lui vista anche l’estrema debolezza di un profilo simile al primo turno delle presidenziali. Montebourg nei sondaggi è dato tra il 6 e l’8%, un disastro.

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A ciò si deve aggiungere che finora il fondatore di En Marche! ha convinto una parte della popolazione francese molto influente nell’opinione pubblica, ma non abbastanza larga dal punto di vista elettorale. Essere il candidato della globalizzazione felice, dell’Europa come orizzonte e della rivoluzione economica digitale va benissimo, però in Francia alle presidenziali votano mediamente 36 milioni di persone. Ciò vuol dire convincere gli agricoltori, affrontare la collera delle regioni de-industrializzate, offrire una visione ai giovani che vivono nelle periferie diventate ormai “zone di non-diritto”. Infine, dare l’impressione di essere un capo in grado di prendere delle decisioni difficili: partecipare o meno a missioni militari all’estero, reagire con fermezza ad un attentato, dare risposte credibili alla probabile crisi migratoria che l’Europa dovrà affrontare durante la prossima estate.

Su tutti questi temi Macron è molto vulnerabile, e lo è da tutti i fronti. Se Valls dovesse vincere le primarie è su questi argomenti che incalzerà l’ex ministro dell’economia, Fillon ha un profilo solidissimo da questo punto di vista, e Marine Le Pen batte da anni su questi argomenti. Insomma, da gennaio per Macron comincia la parte più difficile: misurarsi davvero con il consenso. Per non parlare poi della strategia per le successive elezioni legislative, di cui senz’altro parleremo nelle prossime settimane.

3-Cosa fa François Fillon?

A parte la polemica sull’assicurazione sanitaria che abbiamo raccontato settimana scorsa, Fillon è stato abbastanza ai margini del dibattito politico dopo la grande vittoria alle primarie. Oltre a un motivo di poco spazio mediatico, visto l’inizio della campagna elettorale per le primarie del Partito Socialista, le polemiche interne al Front National e i vari successi di Emmanuel Macron, Fillon ha dovuto curare affari molto importanti ma poco visibili.

Ha presentato il suo organigramma per la campagna elettorale, cercando di rappresentare il più possibile le diverse anime del suo partito, scegliendo persone vicine ai suoi avversari alle primarie. Ha poi cominciato a mettere mano alle alleanze che definiranno le varie candidature nei collegi alle legislative. Per chi arriva ora può essere utile ricordarlo: un mese dopo le presidenziali si vota per l’Assemblea Nazionale, la camera bassa del parlamento francese che dà la fiducia al Governo. I membri vengono eletti in un sistema di doppio turno di collegio uninominale: il territorio nazionale è diviso in piccoli collegi e ognuno assegna un solo seggio;  l’uninominale francese è “a doppio turno” nel senso che se nessuno dei candidati raggiunge il 50% dei voti al primo turno, i candidati con almeno il 12,5% dei voti si scontrano al secondo. A questo punto chi prende più voti è eletto. È chiaro che in questo contesto accordarsi con i partiti alleati per evitare di disperdere i voti su più candidati è fondamentale, da qui le trattative con i partiti di centro che si alleeranno ai repubblicani.

Dopo un piccolo viaggio in Mali dove la Francia è fortemente impegnata in un’operazione di contrasto al terrorismo attivo nella regione, Fillon ha passato le vacanze tra Parigi e la sua casa nella Sarthe. Dal tre gennaio la sua campagna prenderà un’accelerazione, sarà ospite per un’intervista su TF1, parteciperà al salone dell’innovazione tecnologica a Las Vegas per strutturare le sue proposte sull’economia digitale e aprirà il consiglio nazionale dei repubblicani previsto per il 14 gennaio. Intanto dai conti delle primarie arriva un’ottima notizia: grazie alla grandissima partecipazione fatta registrare dalla consultazione elettorale i repubblicani hanno praticamente già finanziato la loro campagna elettorale. A fronte di un costo di 6 milioni di euro (ora capite perché il Partito Socialista è molto preoccupato da una possibile bassa affluenza)  gli elettori hanno versato 17,4 milioni di euro, ciò vuol dire più di 11 milioni nelle tasche del candidato. Visto che per la legge francese sul finanziamento delle presidenziali il 47,5% delle spese per la campagna elettorale dei candidati che superano il 5% dei voti sono rimborsate dallo Stato (il limite totale delle spese è fissato in 22,5 milioni di euro), Fillon non ha più bisogno di raccogliere fondi.

Per oggi è tutto, ci sentiamo lunedì e tanti auguri di nuovo!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017 tredicesima settimana: i candidati alle primarie del Partito Socialista

Dodicesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Prima di cominciare, una comunicazione di servizio. Domenica prossima è Natale, sono quindi convinto che tutti voi avrete di meglio da fare che leggere la mia newsletter, così come a Santo Stefano. Ci sentiamo, dunque, eccezionalmente martedì pomeriggio.

Ieri, alle 12, l’Alta Autorità che organizza le primarie del Partito Socialista ha ufficializzato le sette candidature che si contenderanno la leadership dei socialisti nell’elezione di gennaio. Vediamo quindi chi sono, alcuni più noti, come i quattro candidati socialisti, altri un po’ meno, come i tre candidati dei partiti satelliti. Si vota il 22 e il 29 gennaio; andranno in onda tre dibattiti prima del 22 gennaio e uno tra primo e secondo turno.

Purtroppo in questa newsletter non ci sarà spazio per ragionamenti più complessi sui vari scenari (già così è lunghissima) che recuperiamo nelle prossime settimane. La puntata può dunque servirvi come promemoria per quello che affronteremo a gennaio, quando i socialisti voteranno per il loro candidato.

Prima dei ritratti, va detto che due candidati dati per molto probabili sino alla vigilia, Fabien Verdier e Gérard Filoche, non hanno raggiunto i requisiti per veder accettata la loro candidatura.

Manuel Valls: è di sicuro il candidato più famoso, chi è iscritto dall’inizio ormai lo conosce piuttosto bene (ne avevamo parlato approfonditamente settimana scorsa, ma anche qui e qui). È in politica dagli anni ’80, consigliere di Michel Rocard, poi direttore della comunicazione di Lionel Jospin, all’epoca primo ministro. A lungo sindaco di Evry, comune alla periferia di Parigi, ha partecipato alle primarie  del PS del 2011 arrivando al 5%, per poi essere nominato ministro dell’interno e, nel 2014, primo ministro da François Hollande.

Le sue idee: Valls rappresenta la destra del Partito Socialista, ha pubblicato più libri sull’identità francese ed il rapporto con le religioni, ha preso posizioni molto dure dal punto di vista della sicurezza e della lotta al terrorismo (favorevole alla déchéance de nationalité, cioè il ritiro della cittadinanza ai condannati per terrorismo). Era inoltre partito con proposte molto liberali per gli standard socialisti (nel 2001 un punto forte del suo programma era il superamento delle 35 ore lavorative) anche se nelle ultime settimane ha fatto più di un passo indietro: ha dichiarato di voler abolire l’articolo 49.3 della Costituzione (l’equivalente della nostra questione di fiducia) che egli stesso aveva utilizzato più volte (il caso più celebre è quello della riforma del lavoro); e sta cercando di addolcire le proprie posizioni per apparire come il candidato in grado di unire le varie anime del partito.

I suoi punti di forza: ha incassato sostegni importanti, praticamente tutto il governo ha deciso di votare per lui e questo è importante: dovrà difendere il bilancio di Hollande (d’altronde ne porta una grande responsabilità) e farlo senza nessun aiuto da parte di chi ha condiviso l’esperienza sarebbe stato molto complicato. È il candidato più “presidenziale”, e questo dovrebbe dargli una mano, soprattutto nelle apparizioni televisive.

Le sue debolezze: c’è il rischio che queste primarie appaiano come un pre-congresso più che come un momento in cui si elegge un probabile presidente della Repubblica. Se così stanno le cose, il profilo di Valls rischia di essere respingente.

Arnaud Montebourg: è il più critico dei candidati rispetto al bilancio di François Hollande. Suo nonno, algerino, ha combattuto per il Fronte di Liberazione Nazionale per l’indipendenza dell’Algeria negli anni ’50. Iscritto al PS dal 1981, non ha sempre fatto politica ma negli anni ’90 è stato un avvocato abbastanza conosciuto del foro di Parigi. Eletto in Parlamento nel 1997, vi è rimasto sino al 2012, quando è stato nominato ministro dell’economia da François Hollande, ruolo che però è stato costretto ad abbandonare nel 2014 per contrasti con il primo ministro Manuel Valls.

Le sue idee: rappresentante dell’ala sinistra del Partito Socialista, fu eletto deputato nel 1997 sulla base di una campagna molto protezionista, e quando ha partecipato alle primarie del PS nel 2011 ha fortemente sostenuto che si dovesse cominciare un discutere di de-globalizzazione (è arrivato terzo, con il 17%). Dichiara spesso di essere il protettore del Made in France, e ha proposto un piano di spesa pubblica dal valore di quasi 100 miliardi di euro tra investimenti e riduzione di imposte. È tra le altre cose sostenitore di una profonda riforma delle istituzioni:, riduzione dei deputati da 577 a 350; riduzione dei senatori da 348 a 200, di cui 100 eletti con il metodo del sorteggio, e ritorno al settennato.

I suoi punti di forza: è il più famoso socialista di sinistra e il suo carattere e i suoi discorsi da tribuno piacciono molto a quella parte di elettorato. Se il contesto delle primarie sarà segnato dalla voglia di ritorno ai fondamentali, potrebbe essere il profilo giusto.

Le sue debolezze: la sua campagna è partita in sordina, non avendo molti soldi a disposizione ha evitato grandi manifestazioni, ma questo può costargli in termine di narrazione e dinamica. In più non ha molti appoggi nel partito, se non tra alcuni esponenti molto di sinistra; ci si attendeva una dichiarazione di sostegno di Christiane Taubira, ma per ora l’ex ministro della giustizia non ha ancora chiarito chi appoggerà. La concorrenza di Hamon, che presenta una piattaforma molto simile potrebbe infastidirlo, così come la presenza di Mélenchon al di fuori del campo socialista.

Benoit Hamon: è probabilmente il candidato che incarna la più tradizionale sinistra socialista. In politica da giovanissimo, dal 1993 al 1995 è il primo presidente dei giovani socialisti. Segue tutta una carriera all’interno del partito, dal 2008 al 2012 ne è il portavoce; nel 2012 è eletto per la prima volta deputato, diventa ministro durante la presidenza Hollande, sia nel governo Ayrault che in quello di Manuel Valls. Lascia però il suo incarico all’istruzione dopo qualche mese, in disaccordo con la politica del governo.

Le sue idee: è forse il più ecologista dei candidati socialisti, visto che si definisce social-ecologista, e ha un programma molto sensibile alle questioni ambientali. È critico con la politica della crescita a tutti i costi (ha detto che il tema è come si cresce e non quanto), ha proposto un piano di reddito minimo di cittadinanza che costerebbe intorno ai 300 miliardi e contrariamente a Montebourg considera che il bilancio di Hollande non sia totalmente indifendibile, ma che il Governo avrebbe potuto fare di più dal punto di vista sociale e nell’affermazione di valori democratici. È infine molto aperto sulle questioni di società visto che ha ferocemente criticato il progetto di déchéance de nationalité ed è favorevole alla liberalizzazione della cannabis.

I suoi punti di forza: dei quattro davvero in gara è forse il meno conosciuto, quindi la dinamica con i tre dibattiti ravvicinati prima del primo turno potrebbe attirare l’attenzione sul suo profilo. Profilo che è chiaramente di sinistra: la scommessa è che così come gli elettori di destra hanno espresso il desiderio di destra, la stessa cosa possa accadere con i socialisti.

Le sue debolezze: se è vero che la poca notorietà può dargli una mano, è anche vero che in caso di alta affluenza le persone meno attente alle dinamiche interne al partito potrebbero essere portate a scegliere i candidati più noti. In più, gran parte dei suoi temi sono cavalli di battaglia di Jean-Luc Mélenchon, leader della sinistra radicale e già candidato da indipendente: perché un elettore dovrebbe impegnarsi per Hamon alle primarie, se ha già un candidato da votare al primo turno delle presidenziali?

Vincent Peillon: è deputato al parlamento europeo ed è la vera novità di queste primarie. Sino a una settimana fa nessuno immaginava si sarebbe candidato, visto che dal 2014, anno in cui ha lasciato il governo Hollande, si era praticamente ritirato dalla politica, per dedicarsi all’università di Neuchâtel, in Svizzera, dove insegna filosofia.

Le sue idee: vista l’improvvisazione della sua candidatura (ha dovuto persino regolare un debito di 20.000 euro con il Partito Socialista, per mancati contributi), si sa poco delle sue idee. Quello che si è capito è la sua volontà di difendere il bilancio di Hollande e di rappresentare dunque il candidato dell’unità. Questo atteggiamento ha fatto pensare che in realtà la sua candidatura serva a restringere lo spazio di Valls, che sinora poteva contare sul fatto che la sinistra del partito fosse divisa tra Hamon e Montebourg, mentre l’area governativa potesse contare solo sul suo progetto. È in ogni modo grande sostenitore dell’Europa, per quanto sia uno dei parlamentari europei meno attivi.

Punti di forza: è di sicuro un candidato molto solido dal punto di vista intellettuale, potrebbe dunque ben figurare nei dibattiti. Inoltre potrebbe apparire davvero come l’uomo in grado di unire le diverse anime dei socialisti soprattutto se, come dicono alcuni retroscena, dietro alla sua candidatura c’è la mano di Martine Aubry. Ha in ogni caso un sostegno molto importante: il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, che voterà e farà campagna per lui, è uno dei politici socialisti più amati.

Punti di debolezza: si pone come difensore del bilancio di François Hollande che però non lo ama, avendolo definito “un serpente” per la sua attitudine al tradimento. In più potrebbe scontare l’improvvisazione della sua piattaforma e un’eventuale sua percezione come candidato di fastidio a Manuel Valls piuttosto che davvero interessato a vincere.

Sylvia Pinel: è il presidente del Parti radical de gauche, eletta deputato per la prima volta nel 2007, è stata ministro durante la presidenza Hollande (prima ha guidato il ministero delle politiche abitative, poi quello dell’artigianato) ma ha poi lasciato il governo dopo le regionali del 2015 perché eletta vicepresidente della regione Languedoc-Roussillon-Midi-Pyrénées.

Le sue idee: il programma non circola ancora, avendo deciso di partecipare un giorno prima della chiusura delle candidature. Secondo Libération difenderà dunque le posizioni storiche del suo partito: sostegno all’eutanasia, liberalizzazione della cannabis e attribuzione del diritto di voto agli stranieri. Altra posizione storica del Partito Radicale è una riforma delle istituzioni, oltre alla creazione di un vero governo europeo.

I punti di forza: ha un partito strutturato e con una lunga tradizione di idee riconoscibili e di governo. Se ha deciso di partecipare alle primarie (si era candidata già da indipendente, ma ha cambiato idea) è perché crede che in questo modo le sue idee possano avere più risonanza.

I punti di debolezza: la fretta, anzitutto. Come visto la sua è una candidatura dell’ultimo minuto, e la campagna sarà molto breve. Potrebbe essere quindi complicato mettere in piedi delle proposte innovative.

François de Rugy: è il candidato del partito ecologista, microformazione ambientalista da lui fondata dopo la scissione dei Verdi. È vicepresidente dell’Assemblea Nazionale e deputato dal 2007.

Le sue idee: per ora si conoscono solo le sue proposte in materia di ambiente, per esempio l’obiettivo di arrivare al 100% di energie rinnovabili nel 2050 in Francia. Sul resto, bisognerà attendere qualche settimana.

I suoi punti di forza: non dovendo vincere, come spesso accade con i candidati minoritari, può avere la serenità di spostare il dibattito delle primarie verso ciò che gli sta più a cuore.

Le sue debolezze: non è molto famoso né molto carismatico (l’Obs lo ha definito ecolo-triste), vista la sua preparazione monotematica potrebbe andare fortemente in difficoltà nei dibattiti che saranno di certo incentrati su economia, terrorismo e politica estera.

Jean-Luc Bennahmias: nato nel 1952, è il candidato più anziano. Nasce giornalista e opinionista politico, ma ha poi  intrapreso una lunga carriera nei partiti di sinistra ecologista e di centro (è stato a lungo nei Verdi, poi ha contribuito a fondare il movimento centrista Mo-dem insieme con François Bayrou) oggi è presidente del partito Front Démocrate, da lui fondato.

Le sue idee: il suo programma è abbastanza vago, si definisce socialista-ecologista-libertario, è anch’egli a favore della legalizzazione della cannabis, in materia criminale propone delle misure alternative al carcere, di alzare gli stipendi di alcune professioni statali (sanità e scuola principalmente) e di introdurre un reddito universale di 800 euro.

Il suo punto di forza: verrebbe da dire la simpatia, siccome ha dichiarato di “non essere sicuro di poter vincere”, in realtà queste primarie possono essere una vetrina per il suo piccolo partito.

I suoi punti di debolezza: il programma è vago, e potrebbe finire schiacciato dai candidati più forti in termini di visibilità se non trova il modo di crearsi un personaggio in grado di attirare l’attenzione.

Per scrivere questi brevi profili è stata essenziale la lettura dell’articolo di Libération e della guida abbastanza spiritosa dell’Obs.

2-Un accenno alla situazione François Fillon

François Fillon, che dopo la lunga campagna per le primarie ha leggermente rallentato (questa settimana ha organizzato solo una visita ad un centro ospedaliero) ha passato gli ultimi giorni a difendersi dalle accuse di voler privatizzare gran parte del sistema sanitario. Le critiche, per la verità, erano cominciate ad emergere già durante il dibattito tra i due turni delle primarie, quando Alain Juppé aveva messo in discussione il suo progetto. In breve, la proposta di Fillon prevedeva l’introduzione di una differenza tra malattie gravi e di lunga durata (che sarebbero state coperte dall’assicurazione sanitaria nazionale) e quelle meno gravi, che sarebbero rimaste scoperte (e dunque a carico di assicurazioni private).

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L’immagine è presa dal sito del Monde

 

La polemica è talmente montata che François Fillon ha dovuto eliminare qualunque riferimento al progetto dal suo sito, ed è dovuto intervenire personalmente sulle colonne del Figaro per precisare la sua proposta. Risultato, Fillon ha spiegato che il sistema delle assicurazioni rimarrà uguale “non è questione di toccare il sistema della assicurazioni sulle malattie e ancor meno di privatizzarlo”. Qui trovate un riassunto del Monde che parla di “contorsionismo”, mentre Maxime Tandonnet ha scritto sul Figaro che questa marcia indietro è un errore, e il candidato dei repubblicani farebbe meglio a restare fedele a se stesso anche se, secondo un sondaggio realizzato dal Journal du Dimanche, il 72% dei francesi ritiene che Fillon abbia fatto bene a cambiare idea sulla questione.

Di Fillon e delle sue prospettive parleremo meglio martedì, per oggi è tutto!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017 dodicesima settimana, Macron comincia a fare sul serio

Undicesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Di cosa parliamo oggi:

1-Una piccola guida dei personaggi della newsletter di oggi, così chi si è perso qualcosa può recuperare facilmente

2-La prima settimana di campagna elettorale di Manuel Valls

3-C’è stato un aspro scontro nel Front National tra Marine Le Pen e sua nipote, Marion Maréchal, esponente dell’area più dura e conservatrice del partito

4-Emmanuel Macron ha riempito un palazzetto con più di 13.000 persone. È stata una dimostrazione di forza, vediamo perché

1-Ricapitoliamo

Per chi arriva adesso, facciamo un piccolo punto sui personaggi di cui parliamo in questa newsletter, ché altrimenti con tutti questi nomi potreste perdervi.

Manuel Valls: è stato Primo Ministro di François Hollande negli ultimi due anni e mezzo, incarna una sinistra piuttosto liberale in economia e allo stesso tempo repubblicana e identitaria sulle questioni di società (ha appoggiato il divieto dei burkini quest’estate). Dopo mesi di voci, a seguito del ritiro di François Hollande è candidato alle primarie del Partito Socialista.

Emmanuel Macron: è stato prima segretario generale aggiunto dell’Eliseo (uno dei consiglieri più vicini al presidente della Repubblica) e poi ministro dell’economia durante la presidenza di Hollande. In marzo ha fondato il suo movimento politico, En Marche!, ad agosto si è dimesso dal suo ministero in dissenso col governo Valls e con il presidente Hollande e dal 15 novembre è ufficialmente candidato alle presidenziali da indipendente. Al momento è terzo nei sondaggi, dietro François Fillon e Marine Le Pen.

François Fillon: è il candidato del partito di centro-destra Les Républicains, ha vinto le primarie a sorpresa dopo essere stato terzo nei sondaggi sino ad una settimana prima del primo turno. Ha una piattaforma politica molto liberale in economia e allo stesso tempo conservatrice sulle questioni di società.

Marine Le Pen: è la candidata del Front National, il partito di estrema destra fondato dal padre negli anni ’70. Al momento è data per qualificata al secondo turno delle presidenziali  da tutti i sondaggi, e senza aver nemmeno cominciato davvero la sua campagna elettorale (del perché ne avevamo parlato qui).

2-Valls è in campagna elettorale

Abbiamo assistito alla prima settimana di campagna elettorale di Manuel Valls, dopo l’annuncio della candidatura di lunedì. L’ex primo ministro ha fatto un discorso molto di sinistra per i suoi standard: dopo aver chiesto scusa per i suoi toni a volte troppo duri, ha spiegato la necessità di difendere il modello sociale francese dalla destra che vorrebbe “distruggerlo” aiutando le persone che non riescono a stare al passo della globalizzazione. E infatti il luogo scelto per presentare la sua candidatura non è casuale: la città dove ha tenuto il discorso, Evry, di cui è stato sindaco, è una delle più cosmopolite della periferia parigina, oltre che una delle più popolari. Come potete notare dal video del suo discorso, dietro Manuel Valls sono rappresentate moltissime etnie diverse, a dimostrazione di uno dei messaggi più forti che proverà a far passare Manuel Valls: la lotta al comunitarismo, ossia la tendenza delle varie comunità che compongono la società francese a non parlarsi tra loro e ad isolarsi.

La sfida di Valls è evitare che le primarie della sinistra diventino una lotta di egoismi più che di idee, oltre che prevenire l’esplosione del Partito Socialista in caso di sua vittoria o di sua sconfitta (di questo parleremo nelle prossime settimane). L’ex primo ministro ha cercato quindi di porsi come unico uomo politico in grado di unificare le due sinistre che egli stesso aveva definito “irreconciliabili”, concetto che ora sarebbe controproducente riproporre, per quanto sia esattamente quello che pensa una parte consistente del Partito Socialista. Tutto ciò all’interno di un quadro ancor più complicato: provate a dire a Mélenchon, candidato della sinistra radicale, che bisogna trovare un accordo con i socialisti, o di partecipare alla competizione ad Emmanuel Macron, che ha parlato delle primarie socialiste come di una “lotta tra clan”. La necessità di fare una sintesi all’interno del suo partito e quindi avere una possibilità di vincere, comporta una “normalizzazione” di Manuel Valls che dovrà diventare, secondo la felice definizione di Guillaume Tabard, editorialista del Figaro, Valls Manuel e dunque lasciar perdere tutti i discorsi di rottura come il superamento delle 35 ore, per andare verso un atteggiamento di difesa della “grande e bella” sinistra, richiamando il nome dato dai socialisti a questa competizione: “la bella alleanza popolare”.

A tutto questo bisogna aggiungere un’altra difficoltà strategica: dovrà per forza di cose difendere il bilancio della presidenza Hollande,  o quantomeno gli ultimi due anni in cui è stato addirittura il capo del governo. La missione è già impervia in sé, se non fosse ulteriormente complicata dal fatto che Manuel Valls non abbia ancora avuto il sostegno, che sia esplicito o implicito, di Hollande. Inoltre, nessuno tra gli uomini più vicini al presidente ha pubblicamente manifestato vicinanza alla campagna e alla proposta politica di Valls. Sulla stampa filtrano più malumori e prese di distanza rispetto alle posizioni più radicali di Valls, che sostegni o adesioni.

3-C’è stata una dura polemica tra le due anime del Front National

C’è stato un duro scontro all’interno del Front National tra l’ala più cattolica e tradizionalista rappresentata da Marion Maréchal Le Pen e l’ala della cosiddetta dédiabolisation incarnata da Marine Le Pen e soprattutto dal suo potentissimo braccio destro e ideologo Florian Philippot. La giovane nipote di Marine Le Pen aveva detto lunedì che il Front National avrebbe messo in discussione “il rimborso integrale e illimitato delle spese in caso di aborto, visto che le donne sono degli esseri umani responsabili che devono essere trattati come tali”.

La dichiarazione è stata subito stigmatizzata da Florian Philippot, secondo cui Marion Maréchal è “sola nel sostenere questo, questa persona è isolata sulla questione, perché quello che conta è il programma della nostra candidata alle presidenziali e ciò che dice il movimento: alcuna modifica dell’attuale normativa sull’aborto”. Marion non ha reagito bene e, intervistata dal Journal De Dimanche, ha preteso “un po’ più di rispetto” da parte di Florian Philippot. La stessa Marine Le Pen è intervenuta, spiegando che nel programma non trova posto alcuna proposta del genere, tra l’altro incompatibile con i profilo di difensore delle donne che la candidata del Front National sta cercando di costruirsi.

In realtà questa è solo l’ultima polemica che si è consumata tra le due anime del partito, tra cui non corre buon sangue, come dimostrano i toni. Solo poco tempo fa Marion Maréchal Le Pen era stata invitata ad uno dei talk show più seguiti, cioè L’Émission Politique (per chi arriva ora, il programma è un’intervista di più di due ore in cui il politico viene sottoposto a moltissime domande da più esperti. È molto seguita, mediamente da oltre due milioni di persone), ma non essendo candidata del Front National alle presidenziali la dirigenza del FN ha deciso di declinare l’invito, mandando su tutte le furie Marion Maréchal. Nel novembre 2015, in piena campagna per le elezioni regionali, un altro scontro su un tema simile: la nipote aveva proposto di  sopprimere le sovvenzioni regionali alle associazioni che si occupano di aborto, dicendo che sono “politicizzate” e veicolano una banalizzazione dell’aborto, causando una reazione ferma da parte della zia, ancora una volta costretta a precisare quanto non ci fosse nulla del genere nel suo programma.

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Marion Maréchal-Le Pen

Secondo il settimanale L’Obs tutto questo fa in realtà parte di un cinico gioco delle parti: la nipote si rende protagonista di fughe in avanti sui temi più sensibili, la zia interviene rapidamente per moderare i toni e porsi come pacificatrice. I giornali ci fanno un titolo, e passano contemporaneamente i due messaggi: il primo, di Marion Maréchal, destinato alla parte più conservatrice dell’elettorato che rischia di lasciare il Front National per François Fillon, il secondo, quello Marine Le Pen, ed in linea con la dédiabolisation del partito, che invece rassicura una parte di elettorato prima vicina alla sinistra e ora in cerca di risposte forti ad una crisi che sembra non terminare mai.

4-La dimostrazione di forza di Emmanuel Macron 

Emmanuel Macron, ormai in campagna da più di due settimane, sabato pomeriggio ha organizzato un grandissimo comizio a Parigi, a Porte de Versailles. Con più di 13000 persone è stato l’evento più partecipato di questa pre-campagna presidenziale, che sta per entrare nel vivo. Il fondatore di En Marche!, per essere competitivoha bisogno di una dinamica favorevole sia nei sondaggi che in termini di attenzione dell’opinione pubblica (ne avevamo parlato qui, nell’ultima parte) ed è vero che questa tendenza esiste: Macron rappresenta una grande novità per il sistema politico francese e effettivamente ai media piace molto, è continuamente in televisione e in radio, i talk show parlano di lui e questo fa innervosire un po’ tutti gli altri candidati. Ma tutto questo non basta. La decisione di organizzare un grande meeting  è stata una dimostrazione di forza anche per dare il segnale di essere alla testa di un movimento collettivo, di una parte di popolo che si mobilita per lui e con lui.

Con la manifestazione di sabato Macron ha tra l’altro lanciato un messaggio molto chiaro agli altri partiti. Riuscire a mettere insieme così tante persone non è scontato, soprattutto a cinque mesi dalle presidenziali: per capirci, quando abbiamo raccontato della dinamica di François Fillon, che “riempiva” i palazzetti con iniziative molto partecipate, o della “fan-zone” di Sarkozy, si trattava di riunioni con non più di 6000 persone, meno della metà. Per non parlare dell’evento organizzato per presentare le primarie del Partito Socialista, che a malapena ha registrato 2500 ingressi. La cosa che hanno fatto notare i giornalisti (a proposito di interesse mediatico) è che non c’erano pullman che arrivavano da tutta la Francia per riempire la sala, come in genere avviene in questo tipo di eventi (chi ha frequentato un po’ i partiti italiani sa bene che una parte degli organizzatori degli eventi si dedica ad affitto e logistica dei bus che devono accompagnare i militanti).

Agli appassionati di politica americana Macron ricorderà Howard Dean

Cosa ha detto Macron? Ha continuato a battere sul nuovo confronto che secondo lui è in atto nella società: il conflitto tra progressisti e conservatori, dove evidentemente En Marche! rappresenterebbe un contenitore in grado di attirare progressisti sia da destra che da sinistra. Ma la parte più interessante del suo discorso, piuttosto incentrato su questo tema, è stato l’atteggiamento rispetto al problema della disoccupazione. Ha iniziato il comizio rivendicando di essere “il candidato del lavoro” che sembra una cosa di sinistra, ma fino ad un certo punto. Questo perché in Francia in realtà la sinistra di governo ha spinto moltissimo su un’altra cosa: il tempo libero. E quindi ha inventato le famose 35 ore lavorative settimanali, create sì per ridurre la disoccupazione (si lavora di meno, si lavora tutti) ma anche per dare più tempo libero ai lavoratori. Questa posizione nasce, oltre che dalle sue convinzioni personali, che sono comunque molto rilevanti, anche per cercare di essere trasversale e al di sopra degli altri candidati, che appunto stanno facendo una battaglia abbastanza serrata sulle 35 ore (Fillon vuole superarle, a sinistra invece tendono a difenderle).

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, undicesima settimana: Hollande non si ricandida

Undicesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Di cosa parliamo oggi?

1-Hollande non si candiderà. Vediamo perché il presidente, sorprendendo un po’ tutti, ha deciso di non difendere il suo bilancio e non chiedere un secondo mandato ai francesi.

2-Manuel Valls sarà finalmente candidato alle primarie del Partito Socialista? E se sì, quante sono le sue possibilità e i suoi problemi?

1-La decisione di Hollande 

A-I motivi immediati della decisione

Come sapete François Hollande ha scelto di non ricandidarsi alle presidenziali. La decisione è storica, mai era successo che un presidente in carica decidesse di non difendere il proprio operato e chiedere un secondo mandato ai francesi. Giovedì sera, dopo aver convocato una conferenza stampa con pochissimo preavviso, Hollande ha comunicato ai francesi la sua decisione di cui, secondo quanto ricostruito dai giornali nei giorni successivi, nessuno era al corrente, nemmeno i consiglieri dell’Eliseo. Il presidente ha scritto da solo il suo discorso, e ha tenuto tutti in sospeso sino alla fine della dichiarazione.

 

Prima di capire i motivi che hanno spinto François Hollande verso questa decisione va notata una cosa: dichiarare le proprie intenzioni così presto è insolito per il presidente della repubblica in carica. Storicamente le elezioni si tengono ad inizio primavera, e la maggior parte dei presidenti si è sempre dichiarata piuttosto tardi e in maniera poco studiata. Per fare un esempio, Jacques Chirac si ricandidò l’11 febbraio durante una conferenza ad Avignone rispondendo candidamente “sì” alla domanda posta dal sindaco che ospitava l’evento. François Mitterrand si ricandidò a marzo, Nicolas Sarkozy il 15 febbraio. C’è un motivo abbastanza semplice: fare campagna elettorale per chi è al governo può essere piuttosto logorante, visto che in genere le elezioni si giocano sul cambiamento. Entrare in campagna molto presto può tra l’altro essere mal visto dagli elettori: un presidente impegnato per lunghi mesi nelle attività di propaganda dà l’impressione di occuparsi più della sua rielezione che della guida del paese.

 

La decisione di tenere le primarie del Partito Socialista ha senz’altro accelerato i tempi. Così come in Italia, in Francia questo strumento non è disciplinato per legge, adottarle è dunque una scelta autonoma delle formazioni politiche. Ora, sappiamo bene che possono essere uno strumento virtuoso, lo sono state per Prodi, per Matteo Renzi, e abbiamo notato come sulle primarie sta costruendo il suo grande successo François Fillon, che senza questo passaggio con ogni probabilità non sarebbe il candidato dei repubblicani per il 2017. Per Hollande invece hanno rappresentato uno scenario da incubo visti i sondaggi. Il presidente si è trovato di fronte a tre ipotesi: perdere alle primarie, trovandosi da gennaio a maggio praticamente senza alcun potere, potendo addirittura essere costretto a dimettersi; vincere le primarie dopo una campagna molto dura e di pochissimo, dando in ogni caso un segnale di estrema debolezza, perché isolato nel suo partito e senza alcun sostegno di peso viste le divisioni nel governo; in ultimo, non partecipare alle primarie e presentarsi direttamente al primo turno, causando l’esplosione del Partito Socialista e con ogni probabilità una candidatura autonoma della sinistra socialista che mai avrebbe accettato uno scenario del genere.

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La copertina de L’Express di aprile, profetica

B-La lunga crisi del “Président Normal”

Detto ciò, i motivi del fallimento della sua presidenza sono più profondi e lontani nel tempo. Appena eletto François Hollande ha visto la sua popolarità decrescere costantemente, ed è stato subito messo in discussione dalla minoranza di sinistra del Partito Socialista. Questo nonostante le difficoltà dei repubblicani (che allora si chiamavano UMP), in piena crisi a seguito delle accuse di brogli nel congresso del 2012 tra François Fillon e Jean François Copé. Anche durante i momenti più difficili per la Francia come gli attentati, quando il presidente incarna naturalmente l’unità nazionale, la fiducia in Hollande non ha mai superato il 35%.

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La bassissima popolarità di Hollande, secondo un sondaggio TNS

La crisi della presidenza ha probabilmente trovato un punto di non ritorno nel progetto di déchéance de nationalité. Con questo progetto il Presidente aveva dato via ad una revisione costituzionale per inserire nel testo la possibilità di privare della cittadinanza francese i cittadini condannati per i reati di terrorismo. All’interno della maggioranza e del parlamento si è consumato uno scontro tra chi voleva che la disposizione si applicasse solo ai cittadini con doppia cittadinanza e chi, invece, aveva intenzione di estendere la pena indiscriminatamente a tutti. In questo modo la Costituzione francese avrebbe concesso la possibilità alle autorità della Repubblica di rendere apolidi i condannati per reati connessi al terrorismo. Dopo un lungo e durissimo dibattito che ha dilaniato la maggioranza stessa (Emmanuel Macron, all’epoca ministro dell’economia, mentre il Primo Ministro Manuel Valls era all’Assemblea Nazionale a difendere il progetto, è andato in televisione a esprimere pubblicamente il suo dissenso) Il progetto di revisione è stato affossato vista l’impossibilità di raggiungere un accordo.

La proposta e il fallimento della déchéance de nationalité ha avuto un costo politico molto alto. Il ministro della giustizia Christiane Taubira si è dimesso e i toni utilizzati tra gli esponenti della maggioranza hanno creato delle fratture insanabili. François Hollande è parso incapace non solo di unire i francesi, ma addirittura la sua famiglia politica che ha anzi contribuito a disperdere.

C-Il presidente è stato costretto dalla realtà a non ripresentarsi

Nonostante tutto Hollande ha deciso di non candidarsi nelle ultime ore, visto che, come abbiamo analizzato nelle ultime settimane, era sembrato piuttosto propenso a difendere il bilancio della sua presidenza.

Possiamo quindi affermare che Hollande non ha deciso di non ripresentarsi, piuttosto che gli è stato impedito dalla realtà. Il suo bilancio politico è tutt’altro che limpido e positivo. Persino una delle sue iniziative migliori, ovvero il Mariage Pour Tous (i matrimoni omosessuali), è stata foriera di grandissime divisioni ed ha risvegliato una parte dell’attivismo del mondo cattolico che in Francia era politicamente ai margini da tempo, e che ha pesato tantissimo sia nelle piazze che nella scelta di François Fillon come candidato dei repubblicani. La presidenza Hollande ha poi definitivamente allontanato le classi popolari dalla sinistra, da tempo la Francia in difficoltà non vota più per la gauche ed è passata in massa al Front National. Il presidente non è mai stato in grado di tenere unita la sua maggioranza, tanto da dover utilizzare spesso meccanismi di parlamentarismo razionalizzato per legiferare (in particolare l’articolo 49-3, l’equivalente della nostra fiducia), cosa che in Francia è un evento eccezionale.

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Un peso nella decisione l’ha senz’altro avuto il suo entourage: i figli e l’ex moglie Ségolène Royal lo hanno pregato di non sottoporsi ad un’umiliazione personale e politica mai affrontata da un presidente. Infine vanno ricordati i danni causati dall’incapacità di tener fede all’immagine di Président Normal eletto per portare sobrietà all’Eliseo, dopo la presidenza “bling bling” di Nicolas Sarkozy, e invece protagonista di fughe amorose in scooter per andare a trovare le sue varie amanti, e soprattutto di dichiarazioni avventate che hanno distrutto la sacralità della sua funzione. Il punto di non ritorno è stato infatti la pubblicazione del libro “Un président ne devrait pas dire ça” .

Riassunto, per chi arriva adesso (ne avevamo parlato qui): il libro è un’intervista molto lunga (quasi 700 pagine), scritta dai giornalisti del Monde Gérard Davet et Fabrice Lhomme e frutto di un lavoro congiunto tra il presidente e i due giornalisti durato più di quattro anni. Da inizio 2012 Hollande ha incontrato una volta al mese Davet e Lhomme in maniera informale: all’Eliseo, al ristorante, più volte a cena a casa dei giornalisti. Per contratto gli incontri sono avvenuti senza testimoni, interamente registrati (si parla di 60 incontri e più di 100 ore di registrazioni utilizzate) e il presidente non ha avuto diritto di leggere il libro prima della sua pubblicazione. Nel libro Hollande ha insultato e  preso in giro praticamente tutta la classe politica francese: ha detto che la magistratura è “lassista” , che il Partito Socialista deve essere “liquidato” che l’Islam “è un problema, nessuno ne dubita”, che i calciatori sono “dei bambini viziati”  e così via. Ha anche ammesso candidamente di aver autorizzato assassinii mirati, motivo per cui i partiti di opposizione hanno provato a promuovere l’impeachment e la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta. Insomma, un disastro.

Cosa farà adesso? Con ogni probabilità vedremo la sua popolarità crescere nei prossimi mesi, e potrà guidare il paese al riparo da dibattiti televisivi e attacchi quotidiani che sarebbero stati difficili da gestire per un presidente già altamente impopolare. Dopo le elezioni Hollande avrà di sicuro un ruolo nella ricostruzione del Partito Socialista o di quello che ne resterà dopo il drammatico passaggio elettorale di aprile.

2-E adesso?

Non voglio rendere la newsletter troppo lunga che siamo già oltre le 1400 parole, e in ogni caso nelle prossime settimane ci occuperemo di sicuro di cosa sta succedendo a sinistra, archiviata la competizione interna dei repubblicani. Le candidature si chiudono il 15 dicembre c’è quindi ancora un po’ di tempo prima di avere i candidati ufficiali.

Ragioniamo però brevemente di Manuel Valls, che con ogni probabilità sarà candidato al posto di Hollande.

Valls, Primo Ministro dal 31 marzo 2014, nelle ultime settimane aveva aumentato di molto la pressione su François Hollande, dopo che per mesi aveva invece giocato la carta della lealtà, almeno sin quando sembrava scontato che il presidente sarebbe stato ricandidato. Domenica scorsa ha rilasciato una lunga intervista al Journal du Dimanche in cui aveva chiarito di “essere pronto” e a seguito della pubblicazione del libro di Davet e Lhomme aveva in più occasioni preso le distanze dalle dichiarazioni avventate del presidente.

È nella logica che sia candidato: sinora si sono dichiarati disposti a partecipare alle primarie solo candidati che avversano la linea del governo, è dunque normale che un rappresentate della linea governativa partecipi alla competizione interna. La candidatura di Valls ha però due grandi problemi, che avevamo in parte già analizzato nelle scorse settimane.

Il primo è intuitivo: è stato un primo ministro molto contestato e poco incline ai compromessi con la minoranza interna, che ha chiesto e ottenuto le primarie proprio per poter presentare una proposta alternativa a quella incarnata da Valls e Hollande. La campagna delle primarie sarà quindi incentrata sulla critica all’azione governativa, visto che Benoît Hamon e Arnaud Montebourg, i due candidati di peso della sinistra del PS di cui parleremo nelle prossime settimane, sono ex ministri di Hollande che hanno lasciato il governo in aperto dissenso con il presidente e Manuel Valls. Valls potrebbe trovarsi isolato nel difendere il bilancio del presidente:  difficilmente avrà dietro di sé la maggioranza del governo, che dovrebbe rimanere fuori dalla contesa, e non può (almeno al momento) contare su moltissimi appoggi all’interno del partito.

Il secondo problema è che su molti temi può soffrire la concorrenza di Emmanuel Macron: se parliamo di rinnovamento e cambiamento l’ex ministro dell’economia è molto più credibile, Valls ha 54 anni e Macron 39; Valls ha cominciato a fare politica con Michel Rocard sotto la presidenza di Mitterrand nel 1981, Macron sino a 2 anni fa era uno sconosciuto consigliere politico dell’Eliseo; Valls ha già partecipato e perso alle primarie della sinistra del 2011, Macron porta avanti delle idee che non sono state ancora giudicate minoritarie dagli elettori della sinistra francese. Lo spazio cui punterebbe naturalmente Valls in tema di economia è allo stesso tempo già monopolizzato dal giovane leader di En Marche!: la riforma dello Stato in senso più liberale è uno degli argomenti su cui Emmanuel Macron è più credibile, non solo per il suo passato di successo nel privato e per la sua competenza innegabile ma anche per la coerenza del percorso politico. Macron ha infatti lasciato il suo posto di Ministro dell’Economia dichiarando che non c’erano le condizioni per applicare le riforme che aveva in mente per la Francia, apparendo quindi come una persona interessata più alle idee che alla poltrona.

Il miglior discorso della carriera di Manuel Valls, il 13 gennaio 2015

Ciò spingerà il primo ministro a fare una campagna molto repubblicana, incentrata sulla sicurezza e su una visione radicale della laicità. In questi anni Manuel Valls ha costruito una solida piattaforma in tal senso: ha pubblicato più libri sull’identità francese ed il rapporto con le religioni, ha preso posizioni molto dure dal punto di vista della sicurezza e della lotta al terrorismo (Valls ha apertamente sostenuto i sindaci che quest’estate avevano vietato il Burkini sulle spiagge). Ha però più volte detto che in Francia ci sono “due sinistre irreconciliabili”, non in riferimento alla divisione tra il Partito Socialista e la formazione radicale di Jean Luc Mélenchon ma proprio in riferimento al suo partito. Insomma, Valls ha finora avuto un atteggiamento che renderà molto difficile presentare la sua candidatura come capace di tenere insieme una pluralità di posizioni all’interno dei socialisti.

Per oggi è tutto, ci sentiamo, tornando alla normalità, domenica prossima!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, decima settimana: Fillon ha vinto le primarie

Decima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

François Fillon ha vinto le primarie, battendo Alain Juppé con il 66,5% dei voti validi. Un risultato netto difficile da prevedere solo due settimane fa, quando eravamo tutti convinti che le primarie sarebbero state molto competitive.

1-Partiamo dai numeri

La prima notizia è il numero dei partecipanti: sono andate a votare ben 100.000 persone in più rispetto al primo turno, smentendo le previsioni che avevamo riportato sabato, secondo cui l’eliminazione di Sarkozy avrebbe scoraggiato gli elettori di sinistra ad andare a votare. L’affluenza in crescita è stata in verità simile a quella delle primarie del partito socialista nel 2011 dove ai 2,6 milioni del primo turno risposero i 2,8 del secondo turno. Questa tendenza è forse in parte spiegabile con il disastro attuale dei socialisti: in molti, probabilmente consapevoli di non aver nulla da aspettarsi a sinistra, hanno quantomeno provato a dar voce ad una propria sensibilità all’interno della destra (votando in gran parte, come abbiamo già analizzato, per Alain Juppé). Queste persone sanno che un ballottaggio Le Pen Fillon è molto probabile, e quindi hanno provato a pesare seppur in minima parte.

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La mappa è del Figaro

La seconda notizia è lo scarto impressionante tra i due: come vedete dalla mappa Juppé è arrivato in testa solo in 3 dipartimenti, facendo addirittura peggio del primo turno in alcune zone del paese. La sconfitta del grande favorito è dunque molto dura e inaspettata. Di seguito potete notare la composizione dei due elettorati (il sondaggio è dell’istituto Harris, lo trovate qui completo), ossia il motivo per cui Alain Juppé ha perso.

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Ora viene la parte più complessa: analizzare gli scenari futuri. Chi ha letto questa newsletter finora sa che amo ragionare con dati certi, ma è  in ogni caso utile provare a capire quali sono le sfide che si troverà di fronte François Fillon ora che la prima parte della sua corsa è archiviata.

2-Cosa comporta la candidatura di Fillon a destra

“Il n’y a pas de victoire électorale sans victoire idéologique”

La prima sfida di Fillon è di ordine personale. Ha vinto con una percentuale altissima, ma dovrà confermare in questi mesi di avere la struttura del leader e la capacità di essere Capo dello Stato: essere stato per tutta la vita un gregario (di Philippe Séguin, di Jacques Chirac e di Nicolas Sarkozy) tanto meritarsi il soprannome di “Mr Nobody” è un’immagine che deve riuscire a lasciare da parte. La netta imposizione di ieri sera può dare un grande contributo, ma le prime critiche da questo punto di vista sono puntualmente arrivate: Sébastien Chenu, uomo molto vicino a Marine Le Pen, ha detto che “Fillon sarà confrontato alla durezza di una campagna presidenziale” lasciando intendere che l’ex primo ministro non sia abituato ad una competizione del genere.

Fillon dovrà ricucire una serie di ferite fisiologiche emerse durante la campagna elettorale. In questo senso la foto insieme ad Alain Juppé subito dopo la proclamazione del risultato è un primo passo; adesso si tratta di fare i conti con una parte dell’elettorato che non lo ha seguito ed ha sostenuto fino alla fine la proposta più moderata del sindaco di Bordeaux. Allo stesso tempo, accanto all’opera di unificazione del suo campo, dovrà essere abile a non rinunciare a ciò che ha sostenuto ed incarnato in questa campagna (per chi arriva ora, ne avevamo parlato  qui e qui). Anche perché la percentuale altissima con cui è stato designato, rende il suo programma e le sue proposte ancora più valide, almeno tra gli elettori più vicini al suo partito. Per François Fillon è fondamentale preservare l’alleanza con il centro, pilastro di tutte le coalizioni di centro-destra che hanno governato la Francia. Se Jean-Cristophe Lagarde, sostenitore di Alain Juppé e presidente del partito centrista UDI ha detto a Europe 1 stamattina che proporrà “una discussione all’interno del partito per elaborare un progetto legislativo comune”,  François Bayrou, leader del movimento centrista Modem, che si era apertamente dichiarato per Alain Juppé,  ha sollevato più di un dubbio sul programma di Fillon, facendo temere una sua candidatura autonoma.

Ma la sfida più grande e cruciale è quella del recupero dell’elettorato popolare. 4,5 milioni di elettori alle elezioni primarie sono moltissimi, è vero, ma rappresentano un campione non rappresentativo dei 36 milioni di francesi che in genere votano alle presidenziali. Il cuore degli elettori delle primarie, come chi segue da un po’ questa newsletter sa bene, è piuttosto anziano, politicizzato, benestante e urbano: la parte dei francesi più toccata dalla crisi e dalla globalizzazione non ha partecipato in massa ad un esercizio che giudica inutile e lontano dalle sue necessità. La famosa Francia periferica che vota in massa per il Front National e che Fillon ha cercato di blandire nel suo ultimo discorso a Porte de Versailles sarà la chiave della prossima elezione. È questa Francia dimenticata che Fillon deve convincere, dopo essere riuscito a rappresentare la Francia tradizionale delle campagne e delle aree rurali, i piccoli artigiani e gli agricoltori.

In ultimo, la posizione ideologica. Il programma di Fillon, come sapete, è molto liberale, qualcuno in Italia lo ha anche definito “lacrime e sangue” (espressione orribile che non inserirò mai più). Di certo è ambizioso: Fillon propone, tra le altre cose,  una riduzione di 500.000 dipendenti pubblici da attuarsi con il passaggio dalle 35 alle 39 ore lavorative a settimana, un’innalzamento dell’IVA di due punti per finanziare un grande sgravio fiscale alle imprese, una nuova riforma delle pensioni, la definitiva introduzione dei licenziamenti per motivi economici nel quadro di riorganizzazioni aziendali. Tutto ciò all’interno di una riduzione di spesa pubblica di almeno 100 miliardi di euro. Un piano in continuità con la frase che pronunciò nel 2007, appena nominato primo ministro, nel corso di una visita in un’azienda vinicola a Calvi, in Corsica: “sono alla testa di uno stato praticamente fallito”.

Questo modello deve riuscire a convivere con le spinte conservatrici di un paese scosso dai cambiamenti dell’economia mondiale; se le classi elevate e tradizionalmente fedeli alla destra hanno mostrato di gradire l’insieme di posizioni fortemente liberali e allo stesso tempo molto conservatrici in tema di società, lo stesso non può essere detto per la classe media e soprattutto per l’elettorato più popolare. Il discorso contro il “totalitarismo islamista” può di certo pesare anche nella decisione delle classi più povere, ma senza un grande lavoro di spiegazione queste proposte economiche potranno essere facilmente attaccate dalla sinistra radicale e dal Front National. Che infatti si sta già dando da fare, come potete notare.

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Sì, Robin des Bois vuol dire Robin Hood in francese

3-Il peggior avversario possibile per Marine Le Pen?

Il Front National di certo non si aspettava la vittoria di François Fillon, fino a poche settimane fa terzo nei sondaggi. I frontisti, che non faranno campagna attivamente sino a fine gennaio, come abbiamo già spiegato, erano pronti ad un confronto con Alain Juppé, che sarebbe stato attaccato sulla lunga carriera politica, sull’età (ha 71 anni), sulle sue posizioni aperte in tema di multiculturalismo (ne abbiamo parlato sabato), sulla sua vicinanza incondizionata all’Unione Europea e sulla sua visione di “identità felice” già oggetto di scherno durante la campagna per le primarie.

Anche in caso di vittoria di Nicolas Sarkozy, Marine Le Pen riteneva di avere una partita semplice: la candidata frontista avrebbe potuto contare sul rigetto di gran parte dell’elettorato per il personaggio, sul fallimento del suo quinquennio, e sugli scandali giudiziari che pendono sul capo dell’ex presidente.

Con François Fillon i giochi sono più complicati, come ha ammesso a margine di un evento con i giornalisti la stessa Marion Maréchal Le Pen “Fillon ci consegna un problema strategico, è il candidato più pericoloso per il Front National”. La posizione di Marion Maréchal, che rappresenta l’ala sovranista e cattolica del fronte, è comprensibile: la giovane nipote di Marine lavora da anni per attrarre l’elettorato cattolico più intransigente verso il messaggio frontista: ha partecipato alla Manif Pour Tous, la manifestazione contro i matrimoni gay, ed era in piazza a fianco del movimento poche settimane fa, quando hanno sfilato per le strade di Parigi decine di migliaia di persone. Visto l’entusiasta sostegno fillonista delle frange più politiche del cattolicesimo radicale, questa parte di elettorato rischia di aver ritrovato cittadinanza nella destra tradizionale. (Dei rapporti tra Fillon e l’elettorato cattolico avevamo parlato qui).

Anche se Florian Philippot, vero ideologo del partito, ostenta ottimismo, e ha dichiarato su RTL che “ François Fillon è un ottimo avversario per il Front National” in quanto il suo programma è “un copia-incolla di ciò che vuole la Troika e che non ha funzionato”, la radicalità del progetto di Fillon potrebbe spingere molti elettori di destra radicale a votare per lui. Secondo molti il programma economico del Front National è un misto tra statalismo e protezionismo di matrice novecentesca,  e infatti il candidato repubblicano, oltre ad aver criticato più volte l’estremismo di Marine Le Pen, ha avuto buon gioco nel far notare, durante i suoi comizi, le somiglianze tra il programma dei frontisti e quello della sinistra radicale portato avanti da Jean Luc Mélenchon (di cui avevamo parlato qui). François Fillon potrebbe dunque mettere il Front National davanti alle sue contraddizioni: da un lato statalista e aperto sulle questioni sociali come vuole Florian Philippot, dall’altro conservatore e identitario nell’anima rappresentata da Marion Maréchal Le Pen: i due, tra l’altro, si detestano.

Un ulteriore terreno su cui Fillon farà concorrenza a Marine Le Pen, è in politica estera. Molto sensibile alla questione dei Cristiani d’Oriente (è andato più volte in Siria e in Iraq a portare conforto ai campi profughi dei cristiani) Fillon è, come avete visto settimana scorsa, sostenitore di un cambio di politica rispetto ai rapporti con la Russia. Fillon ritiene che l’ostracismo tenuto finora nei confronti di Putin sia “assurdo” e che sia pericoloso spingere verso l’isolamento una potenza “ubriaca di armi nucleari”. Senza denunciare l’imperialismo americano “Gli Stati Uniti sono un nostro alleato, un paese di cui condividiamo i valori cosa che invece non succede con la Russia”, François Fillon rimette in ogni modo al centro il ruolo autonomo della Francia in politica estera. In ultimo, il candidato dei repubblicani non può essere accusato di essere prono alle richieste di Bruxelles, vista la sua famosa posizione per il “no” alla ratifica del trattato di Maastricht nel 1992.

Esiste però un rischio: in caso di secondo turno Marine Le Pen contro François Fillon alcuni elettori di sinistra potrebbero astenersi, rifiutando di legittimare un presidente non gradito, o addirittura  trovare più radicale il progetto di Fillon, andando a votare per Marine Le Pen. Insomma la grande unione contro il diavolo frontista potrebbe diventare  meno scontata. Su Challanges trovate un’analisi in questo senso: la candidatura di Fillon porterà molti elettori a votare per Marine Le Pen.

4-Il miglior avversario possibile per Emmanuel Macron?

Emmanuel Macron (candidato liberale e indipendente, che avevamo introdotto ormai due mesi fa) ha commentato in diretta su France 2 i risultati, e può ritenersi contento della candidatura di Fillon. Senza Bayrou in campo (e questo è da vedere) al centro si apre uno spazio molto invitante per l’ex ministro dell’economia, che potrebbe dunque approfittarne quantomeno nei sondaggi. Perché dico “quantomeno”? Perché, non avendo un partito solido alle spalle, Macron ha bisogno di una dinamica di opinione che lo renda competitivo, più sale nei sondaggi più è possible che gli indecisi possano essere attratti dal suo messaggio fortemente liberale in economia ma allo stesso tempo innovativo e aperto sulle questioni sociali. Molto del successo di Emmanuel Macron si gioca sulla sua competitività percepita rispetto all’arrivo al secondo turno.

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Il sondaggio è stato pubblicato ieri sera, Macron è terzo e Bayrou è in campo

5-Gli attacchi dall’opinione di sinistra 

Tralasciando le difficoltà dei socialisti, su cui ci concentreremo domenica, è interessante notare come Fillon abbia in qualche modo rivitalizzato l’opinione pubblica di sinistra. Durante l’ultima settimana di campagna elettorale la rivista Mediapart ha pubblicato vari articoli molto critici nei confronti del suo programma, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli in caso di sua vittoria; Matthieu Croissandeau, direttore dell’Obs, ha scritto un editoriale in cui definisce Fillon una “punizione”, e il numero della rivista uscito venerdì è interamente dedicato alla critica del candidato dei repubblicani.

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Pierre Berger, co-proprietario del Monde, ha paragonato Fillon e tutti i movimenti che lo sostengono alla Francia di Vichy; il quotidiano online slate.fr ha scritto, in un editoriale firmato da uno dei suoi fondatori, che Fillon ha lanciato una serie di messaggi “inquietanti” durante questa campagna elettorale. In questo i giornali sono stati aiutati inconsapevolmente da Alain Juppé, che aveva cominciato la settimana scorsa attaccando proprio i punti più conservatori del programma del suo avversario. Insomma, inaspettatamente, la sinistra potrebbe trovare un terreno comune per ragionare su ipotetiche intese, non per le presidenziali (quelle ormai le considerano perse) ma per le legislative. Piccolo riassunto per chi arriva ora: in Francia Parlamento e Presidente sono eletti in due momenti diversi. Chi vince le presidenziali in genere riesce ad avere la maggioranza all’Assemblea Nazionale, ma l’elezione della camera è in ogni caso un passaggio delicato: i parlamentari sono eletti in un sistema di collegi uninominali a doppio turno. Il contesto favorisce dunque meno lo spazio per la lotta dei vari ego (cosa che è indubbiamente la campagna presidenziale vista la quantità di candidati al 10%) e i partiti tendono a trovare accordi più facilmente.

Anche questo è un argomento che approfondiremo le prossime settimane ma è bene tenerlo presente.

Per oggi è tutto, ci sentiamo, tornando alla normalità, domenica prossima!

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