Quello che è successo alle primarie a Napoli mi ha molto colpito e dispiaciuto. Però non mi ha sorpreso, e ho provato a spiegare perchè su Gli Stati Generali.
Buona lettura!
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Bisogna aprire un cantiere!
“Noi dobbiamo aprire un cantiere, il giorno dopo le Regionali, in cui questo mondo cattolico sia protagonista di un rinnovamento profondo.” Pierferdinando Casini 27/02/2010
“La svolta è matura nella società, ora è il momento di scrivere un’agenda comune e di aprire il cantiere dell’alternativa con al centro la questione sociale e morale”. Nichi Vendola 19/07/2011
“Si deve aprire un ideale cantiere politico per quanti nelle stantie definizioni di moderati e progressisti non si riconoscono più.” Gianfranco Fini 12/02/2012
“Indipendentemente da un nostro futuro e diretto impegno elettorale, lavoriamo per aprire un cantiere progettuale.” Luca Cordero di Montezemolo 23/05/2012
“Credo che il voto delle amministrative e la condizione sociale del paese chiedano al centrosinistra un gesto forte: l’apertura di un cantiere per l’alternativa, perche’ bisogna dare un messaggio di speranza”. Nichi Vendola 26/05/2012
“Idv e Sel sono già pronte, vogliamo aprire un tavolo, un cantiere, aperto alla società civile e anche al Pd. Si sieda e lo faccia partire con noi”. Antonio Di Pietro 29/06/2012
“Mi auguro che Alfano elabori una proposta sostenibile per le primarie e in vista di ciò la sosterremo. Ora si apre il cantiere dei moderati italiani.” Franco Frattini 25/10/2012
“L’8 maggio terremo un’assemblea aperta a chi vuole partecipare, compreso Fabrizio Barca, per avviare un nuovo percorso e un nuovo cantiere e ricostruire la tela della sinistra di cui abbiamo bisogno.” Nichi Vendola 20/04/2013
“Se vogliamo aprire un cantiere del centrodestra Alfano deve abbandonare l’accusa di estremismo che tante volte ha rivolto a Forza Italia senza fondamento.” Maria Stella Gelmini 31/05/2014
“L’esperimento della Lista Tsipras va coltivato per aprire un cantiere per la ri-costruzione di un’alleanza di centrosinistra di governo.” Nichi Vendola 14/06/2014
“Riteniamo di avere il dovere di aprire un cantiere e lavorare per costruire una coalizione antagonista al centrosinistra in cui devono stare tutti i partiti che si considerano a pieno titolo nell’alveo del centrodestra.” Giovanni Toti 15/06/2014
Mi auto sospendo in nome della Costituzione, che non conosco
Provo a mettere un po’ d’ordine nei fatti di oggi, per quello che vale.
A me sembra (sempre per quello che vale) che si stiano confondendo due piani, diversissimi e sovrapposti in maniera strumentale da Mineo, Civati e così via. Perché sostenere di essere stato epurato, con la logica conseguenza di far apparire Renzi e la sua segreteria come dei dittatori, tirando il ballo la violazione del divieto di mandato imperativo è una stupidaggine. Mentre lanciare un campanello d’allarme su una riforma che si ritiene nasca male e continui peggio, è una cosa normale e legittima.
Ora per la prima questione, il nostro ordinamento è molto chiaro. Riguardo il divieto di mandato imperativo, ex art 67 Cost. va notato che i costituenti si riferiscono alla Camera di appartenenza. E ci mancherebbe altro. Le commissioni parlamentari invece sono un’altra cosa, la loro funzione è quella di facilitare il lavoro dei Parlamentari che, a causa del loro elevato numero, non potrebbero proficuamente discutere in assemblea. Esse rispecchiano la proporzione dei gruppi parlamentari, veri attori (piaccia o no) della vita del Parlamento.
Proprio questa posizione di primazia assegnata ai gruppi parlamentari dalla Costituzione, in sede di composizione delle commissioni si traduce nell’art 21 c. 1 del regolamento del Senato. “Ciascun Gruppo, entro cinque giorni dalla propria costituzione, procede, dandone comunicazione alla Presidenza del Senato, alla designazione dei propri rappresentanti nelle singole Commissioni permanenti di cui all’articolo 22.” Sono dunque i gruppi, non i singoli parlamentari a decidere chi va in quale commissione. A conferma della centralità della scelta del gruppo, viene l’art. 31 c. 2 del suddetto regolamento “Ciascun Gruppo può, per un determinato disegno di legge o per una singola seduta, sostituire i propri rappresentanti in una Commissione, previa comunicazione scritta al Presidente della Commissione stessa.”
La ratio delle due norme è chiara, tra le altre cose si vuole evitare che le minoranze ostacolino il lavoro del gruppo in commissione. Perché il luogo dove vengono tutelate le minoranze è l’aula, tramite la possibilità di prendere la parola per annunciare il proprio voto contrario a quello del gruppo di appartenenza, e tramite l’art 72 Cost. che prevede: “il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della Commissione richiedono che sia discusso e votato dalla Camera stessa”. In questi casi dunque, la discussione si sposta in aula, dove tutto è più trasparente.
Sostenere di essere vittima di un’epurazione antidemocratica in nome della costituzione-più-bella-del-mondo, vuol dire non conoscerla e sfruttarla a proprio piacimento.
Discorso a parte va fatto nel merito della riforma costituzionale di cui si discute. La bozza Chiti a mio modo di vedere (per quello che conta), è ottima e andrebbe presa in massima considerazione, mentre il testo portato in commissione da Maria Elena Boschi ha una serie di problemi molto seri (primo tra tutti la non elettività). Però la democrazia è quel sistema dove si discute, si media, si cerca un compromesso e alla fine si decide. E se anche viene bocciato un testo che tu ritieni migliore, e passa un testo peggiore, non puoi gridare al golpe. Il massimo che puoi fare è assumerti la responsabilità e votare contro in aula.
Aggiungo una cosa. Se il mio partito vota una legge contro un principio che ritengo fondante per le mie idee politiche, compio una scelta dignitosa: lo abbandono. Se il mio partito vota una riforma costituzionale che rende “meno democratica” l’Italia, se il mio segretario: “dalla Cina, rinverdendo la tradizione bulgara, rivendica la decisione di ieri, che inizialmente era stata attribuita a Zanda e al gruppo del Senato” (sentenziò Civati) lo abbandono e lo combatto. Perché c’è una frattura insanabile tra ciò in cui credo e il gruppo che contribuisco a rappresentare in Parlamento e nel paese. L’auto sospensione è una scelta vigliacca, un vorrei ma non posso che solleva un polverone, ma non risolve nulla.
Sul rapporto tra PD e sindacato
Una delle maggiori novità portate da Matteo Renzi all’interno del PD è senza dubbio il nuovo rapporto tra la sinistra ed il suo sindacato storico di riferimento: la CGIL. Nelle sue uscite pubbliche, il sindaco di Firenze ha sottolineato più volte che i partiti politici ed i sindacati hanno ruoli e obiettivi diversi, ed ha fatto intendere che così come il PD si rinnoverà decisamente, sarà compito del sindacato fare la stessa cosa. Non ha parlato di attuazione dell’art. 39 della Costituzione, ma quasi, perché un’eventuale legge in materia di rappresentanza sindacale non potrebbe prescindere dal dettato costituzionale.
E’ in questo contesto che matura l’incontro con il segretario della FIOM Maurizio Landini, sempre molto critico nei confronti dell’ormai Segretario, ma anche molto curioso, per il nuovo corso che l’idea di leadership sta prendendo a sinistra. Ed in effetti avvisaglie di un avvicinamento tra i due c’erano anche prima delle primarie, anche grazie ai contrasti tra Landini e la Camusso, spesso protagonista di attacchi frontali nei confronti del Sindaco, su tutti quell’intervista ad “in mezz’ora” proprio durante lo svolgimento delle primarie che videro prevalere Pierluigi Bersani. Invasioni di campo ampiamente previste nei confronti di chi ha posto al centro del proprio programma politico anche la rottamazione del collateralismo PCI-PDS-DS-PD/CGIL.
Il dato di fatto è che negli ultimi vent’anni,, non solo la disoccupazione è cresciuta a dismisura (certo in massima parte a causa della congiuntura economica), ma i modelli contrattuali della nostra legislazione sono entrati in crisi, perché espressione di un modello di mercato del lavoro molto rigido e tendenzialmente protezionista. Stando così le cose il sindacato ha rivolto tutte le sue forze a tutelare i già tutelati, disinteressandosi di chi invece iniziava a far fatica ad entrare nel mercato del lavoro, o magari riusciva ad entrarvi ma senza ottenere uno straccio di tutela o diritto. Per non parlare di rappresentanza (sia politica che sindacale).
E infatti andando a guardare i numeri forniti dagli stessi sindacati si evince chiaramente che tipo di lavoratori è spinto a tesserarsi. La CGIL conta di 5.712.000 di tesserati, la CISL 4.442.000 mentre la UIL ne ha 2.196.000. In un paese che conta 60 milioni di abitanti, averne più di un sesto iscritto ad un sindacato non è poco. Però il dato che salta subito agli occhi è quello riguardante la percentuale di pensionati rispetto al totale, nella CGIL la percentuale è del 52%, nella UIL il 30% e nella CISL il 46%. E’ fisiologico dunque, che i sindacati cerchino di difendere rendite di posizione, scaricando i costi della contrattazione collettiva sui precari e su chi non è sindacalizzato.
E’ fisiologico ma non più sostenibile, ed è proprio questa la battaglia che sta conducendo Maurizio Landini. Se il sindacato non cambia verso, sarà condannato all’irrilevanza, oltre ad essere visto come una forza conservativa e poco attenta alle fasce deboli della nostra società. Cose che per la verità stanno già accadendo. Ora che al Nazareno c’è Renzi, e non un segretario “amico” (ed anzi spesso in sudditanza psicologica), la CGIL avrà più difficoltà a trovare sponde per la sua politica improntata al tener tutto così com’è. E forse ci si accorgerà che c’è spazio per una nuova classe dirigente e per una nuova forma di rappresentanza anche all’interno del sindacato.
Altrimenti semplicemente i lavoratori andranno a rivolgersi altrove.
Le organizzazioni criminali dietro le tragedie
Nelle ultime settimane abbiamo assistito, grazie alle primarie del PD, ad una ventata di freschezza nel panorama politico italiano. C’è una nuova classe dirigente che finalmente ha preso in mano i destini della sinistra italiana, e che ha contribuito, sia dalla parte di chi ha vinto, sia dalla parte di chi ha perso, a rendere il dibattito più aderente ai problemi del paese.
Ma c’è un tema importantissimo rimasto nell’ombra: la lotta alla criminalità organizzata. Nel confronto tra i tre candidati alle primarie non è stata fatta nemmeno una domanda al riguardo, Letta nel suo discorso alla Camera di mercoledì non l’ha mai citata, nella nuova segreteria del PD nessuno ha la delega apposita (Pina Picierno si occuperà di legalità e sud, forse argomenti troppo complessi per stare insieme).
Eppure Mafia, Camorra e ‘Ndrangheta sono dappertutto, senza che nessuno se ne preoccupi per davvero, fatta eccezione per alcuni sindaci di frontiera, costretti a battaglie immani nel silenzio generale. Basti pensare alle due tragedie che più hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, dei social network e dei dibattiti politici negli ultimi mesi. Tragedie indissolubilmente legate allo strapotere delle organizzazioni criminali ed alla connivenza delle nostre classi dirigenti.
La prima, dove è in effetti molto semplice riconoscere la mano della Camorra, è il disastro della terra dei fuochi. Uno dei maggiori business della Camorra negli ultimi anni è stato interrare tonnellate di rifiuti tossici in gran parte della Provincia di Napoli, con la benedizione delle amministrazioni locali. Ad un certo punto, anche grazie al lavoro di alcune associazioni, il caso è scoppiato ed è diventato di dimensioni nazionali, sono dunque partiti appelli, manifestazioni e varie iniziative per sensibilizzare chi di dovere. La risposta del governo è stata rendere reato appiccare fuochi a cumuli di rifiuti (si rischia da due a cinque anni), ma è evidente che la strada per risolvere il problema non passa dall’inasprimento delle pene, che anzi non intacca minimamente gli interessi camorristici in gioco.
Intanto ci si accorge che una parte del movimento dei forconi chiede l’abolizione del Sistri. Cos’è questo Sistri? Un costo elevato per le imprese, rispondono i diretti interessati. In realtà è il sistema di tracciabilità dei rifiuti tossici. Una richiesta piuttosto inquietante.
Il secondo avvenimento appare a prima vista molto meno collegato alla Mafia o alla Camorra. Il 30 settembre sono annegati tredici migranti tentando di raggiungere le coste siciliane, e nemmeno una settimana dopo un barcone è affondato portando con sé 328 persone, una tragedia che ha scosso tutti, tanto che il Governo ha prima dichiarato il lutto nazionale, e poi ha dato il via all’operazione Mare Nostrum, per cercare di dare una soluzione europea al grande flusso migratorio. Ciò che sorprende è l’interesse mafioso per il traffico di esseri umani, passato chiaramente in secondo piano nella ricostruzione della vicenda. Ne parlano Mario Centorrino e Pietro David su lavoce.info mettendo in evidenza come dietro ai consistenti sbarchi ci sia un’organizzazione criminale capillare, in grado di regolare i flussi e dirigerli dove meglio crede.
Si tratta di un fenomeno di dimensioni gigantesche, sulle nostre coste arrivano in media 40mila migranti l’anno, gran parte dei quali utilizzati dalla ‘Ndrangheta come manodopera fresca ed invisibile per sfruttamento della prostituzione, narcotraffico e lavoro nero nell’agricoltura. Insomma un vero e proprio commercio di schiavi. I due economisti calcolano che il giro d’affari superi i cento milioni di euro, in aumento anche grazie ai numerosi nuovi arrivi dalla Siria e dall’Egitto, dove le persone per sfuggire alla guerra sono disposte a pagare tariffe ben più alte della media ( fino a 15mila euro, contro una media di 2000 euro).
C’è poi un altro fatto che ha attirato la mia attenzione, a dire il vero passato sotto traccia. Mi riferisco alle minacce rivolte da Totò Riina al PM Nino di Matteo. L’ex boss di Cosa Nostra ha emanato dal carcere la sua sentenza di condanna a morte nei confronti del giudice, reo di essere scomodo e di star svolgendo egregiamente il proprio dovere. Si sta valutando in queste ore se portare il magistrato in una località protetta, ma ciò che lascia interdetti è il silenzio della grande stampa e delle Istituzioni. Anche se nelle ultime ore pare che qualcosa si stia muovendo: il Ministro dell’Interno Alfano ha più volte dichiarato che per il PM minacciato c’è la massima protezione, sarebbe addirittura pronto ad inasprire il 41bis. Va però ricordato: quella delle manette è una piccola parte della lotta alla criminalità organizzata, importante ma assolutamente non sufficiente. Anche perché per ora Di Matteo non può partecipare alle udienze, perché lo stato non è in grado di garantire che vi arrivi incolume.
Bisogna per forza aspettare l’ennesima tragedia per intervenire?