Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, quarta settimana: Hollande sempre peggio, Juppé vince il dibattito Les Républicains

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Quarta settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva anche ogni domenica sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

La settimana è stata intensa, i due argomenti principali sono complessi quindi mi scuserete per la lunghezza. Di cosa parliamo dunque?

1-In settimana è stato pubblicato un lungo libro-intervista a François Hollande. Doveva essere un modo per riavvicinare il presidente ai francesi, rischia di essere la pietra tombale sulla sua eventuale ricandidatura.

2-Il dibattito dei repubblicani: la prima impressione è che da uno scontro a due Juppé-Sarkozy si è passati a Juppé contro “altri”. Durerà?

1-Hollande: un presidente non dovrebbe dire tutto ciò 

Nelle puntate scorse ci si chiedeva se Hollande non avesse già toccato il fondo a causa dei sondaggi terribili e della disoccupazione in aumento. La risposta era no, visto cos’è successo questa settimana. Giovedì è stato pubblicato un libro-intervista molto lungo (quasi 700 pagine), scritto dai giornalisti del Monde Gérard Davet et Fabrice Lhomme. L’intervista è frutto di un lavoro congiunto tra il presidente e i due giornalisti durato più di quattro anni. Da inizio 2012 Hollande ha incontrato una volta al mese Davet e Lhomme in maniera informale: all’Eliseo, al ristorante, più volte a cena a casa dei giornalisti. Per contratto gli incontri sono avvenuti senza testimoni, interamente registrati (si parla di 60 incontri e più di 100 ore di registrazioni utilizzate) e il presidente non ha avuto diritto di leggere il libro prima della sua pubblicazione. L’intervista si intitola “Un président ne devrait pas dire ça”  e ha suscitato molte polemiche, sia per il contenuto sia per lo stile con cui il presidente si è confidato ai giornalisti.

Perché Hollande si è prestato ad un impegno del genere? Possiamo affermare che non è una mossa contingente dettata dalla necessità di migliorare la difficile posizione del presidente: come visto, il progetto è in cantiere da anni; addirittura prima delle elezioni presidenziali, perché le interviste cominciano a inizio 2012 (le elezioni si sono svolte ad aprile). Perché, dunque?  Al settimanale Obs, in edicola in contemporanea con il libro, Hollande ha chiarito le sue intenzioni: spiegare come sono andate realmente le cose durante il quinquennio, “sono il presidente, è da me che i francesi si attendono una spiegazione, la coerenza e anche dei risultati“. Se la decisione è nata quindi molto tempo fa, purtroppo per Hollande le sue conseguenze immediate sono abbastanza disastrose: il libro voleva rappresentare un momento di trasparenza da parte della politica, ma si ha la sensazione di un buon proposito sfuggito di mano. “Un président ne devrait pas dire ça” contiene settecento pagine di contraddizioni, attacchi frontali alla destra, alla sinistra, persino alla magistratura. Se rendere pubbliche confidenze e prese di posizione senza filtro rappresenta sempre un rischio per un politico, in condizioni di tremenda impopolarità il “rischio” può velocemente condurre ad un suicidio politico. Secondo Guillaume Tabard, commentatore politico del Figaro, il libro-intervista è la perfetta sintesi di una presidenza chiacchierona e ciarliera.

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In Francia la funzione presidenziale è praticamente sacra, il presidente è la guida della nazione grazie alla fortissima legittimazione popolare, eletto direttamente ha un rapporto di natura plebiscitaria con il popolo. Rapporto diretto con la popolazione non vuol dire però superficialità; immaginare un presidente a cena con due giornalisti che tra un bicchiere di Bourgogne e l’altro dice che la magistratura è “lassista” e che il Partito Socialista (il suo partito) deve essere “liquidato”, si vanta di essere “il migliore della mia generazione” e prende posizioni molto dure (e inedite) sull’immigrazione “arrivano troppi migranti”, e sull’Islam “è un problema, nessuno ne dubita”, non è il massimo.

François Hollande ha fatto arrabbiare un po’ tutti, anche quelli a lui più vicini. Il Primo Ministro Manuel Valls, uno dei suoi fedelissimi (poi vedremo quanto questa fedeltà sia sincera o interessata, ma è un’altra storia), ha dichiarato durante la sua visita in Canada che in quanto presidente della repubblica “bisogna avere dignità, pudore, bisogna essere all’altezza”. Il segretario del PS Cambadélis, evidentemente abbastanza irritato per le rivelazioni, ha detto a Le Figaro che non condivide l’idea di Hollande sul futuro del partito, spiegando che tutto quello che dichiara il presidente fa parte della strategia per ricandidarsi e non va preso davvero sul serio.

Critiche sono subito arrivate anche dalla destra, che ha approfittato dell’ennesimo assist fornito dal presidente: “Ci chiediamo quand’è che Hollande trovi il tempo per lavorare” ha attaccato la candidata alle primarie dei repubblicani Nathalie Kosciusko-Morizet. Il libro è stato discusso anche durante il dibattito di giovedì sera, a causa di una serie di dichiarazioni in cui vengono tirati in ballo alcuni candidati. Ad esempio, François Fillon, secondo quanto riportato nel libro, avrebbe sollecitato a più riprese l’accelerazione delle procedure giudiziarie a carico di Nicolas Sarkozy. In particolare si sarebbe incontrato privatamente per due volte con il segretario generale dell’Eliseo Jean Pierre Jouyet, per fare pressioni. Alla domanda rivoltagli dalla moderatrice, Fillon ha risposto che “Hollande non solamente è inefficace e incompetente, ma è anche un manipolatore. Ho vergogna per il mio paese che il presidente della repubblica si presti a dare credito a delle accuse così mediocri.”

C’è stato spazio anche per una polemica con Nicolas Sarkozy. Nel libro Sarko viene deriso per la sua bassa statura “Abbiamo avuto il piccolo Napoleone, e ora abbiamo il piccolo De Gaulle. Credeva di salvare la Repubblica, ma ha ceduto alla tentazione dell’estrema destra”. Se da un lato Hollande ha comunque chiarito che in caso di secondo turno Sarkozy-Le Pen voterebbe per i repubblicani, ha criticato più volte la passione per il lusso dell’ex presidente e i suoi modi di fare esagitati. Sollecitato a tal proposito durante il dibattito, Sarkozy ha risposto in maniera moderata ma netta, chiedendo fino a che punto Hollande si spingerà nello “sporcare e distruggere la funzione presidenziale”.

Insomma la candidatura di Hollande è sempre più in bilico, considerati anche i sondaggi che lo vedono battuto da Montebourg al secondo turno delle primarie del Partito Socialista.

2-Com’è andato il dibattito del centro-destra?

Il dibattito dei repubblicani è stato molto lungo, con un taglio decisamente tecnico almeno nella prima parte, e sostanzialmente privo di colpi di scena. Qui trovate un video con i momenti salienti 

a-Chi ha vinto? Nessuno in particolare, e questo, come abbiamo visto settimana scorsa, va a vantaggio di Juppé.  Il giorno dopo tutti i principali commentatori erano d’accordo: l’ex primo ministro  ha affrontato senza troppe difficoltà la serata di giovedì, apparendo il candidato più “presidenziale”. Il sindaco di Bordeaux è riuscito a creare una situazione paradossale: tra i candidati solo Sarkozy ha esercitato la più alta funzione politica per cinque anni e non Juppé. Eppure si è avuta la netta sensazione del contrario: Sarkozy è sembrato uno sfidante, non un ex presidente della repubblica. Questa sensazione, unita alla buona performance degli altri cinque candidati, ha contribuito a ridimensionare l’immagine di uomo esperto dell’ex presidente. Juppé al contrario è sembrato molto a suo agio nel ruolo di futuro presidente, non ha mai cercato la polemica ed è riuscito a utilizzare la sua posizione di favorito nei sondaggi per accreditarsi come uomo al di sopra delle parti. Il gran numero di telespettatori è un buon segnale: più grande è la platea di elettori più è favorito. Anche Jean François Copé ha avuto un buon successo (il 29% dei telespettatori ha apprezzato la sua performance), seppure il suo ritardo nei sondaggi (è dato tra l’1 e il 2%), appare difficile da colmare.

b-Ha fatto bene all’immagine del partito? Sì, e forse è la notizia migliore della serata per Les Républicains. Nessun candidato è stato troppo aggressivo, alla fine tutti si sono detti contenti nelle interviste a margine e il dibattito nel complesso è parso sobrio sia nei contenuti che nei toni. Rispetto allo spettacolo a tratti desolante della lunga campagna elettorale statunitense, i francesi hanno assistito a un dibattito più politico che cinematografico. I sette candidati hanno parlato per 2 ore e mezza di politica, dividendosi (ma nemmen troppo) sulle soluzioni ai problemi del paese, cercando di evitare toni sopra le righe e colpi bassi a livello personale. In più il plateau era di alto livello: un ex presidente, due ex presidenti del consiglio, tre ministri. Il numero dei telespettatori è stato più alto di quello del dibattito dei socialisti: 5,6 milioni e 26,3% di share contro  4,9 milioni e 22% di share del Partito socialista nel 2011.

c-Chi è andato peggio? Con ogni probabilità quello che è andato peggio è Bruno Le Maire, un po’ per suoi errori un po’ perché due avversari in particolare gli hanno rubato la scena. Da un lato il suo competitor più diretto per il terzo posto, François Fillon, è sembrato più competente e audace sul piano economico: ha ferocemente criticato Hollande e soprattutto mostra di essersi affrancato dal ruolo di “collaboratore di Sarkozy”, uno dei suoi grandi handicap (è stato Primo Ministro durante i 5 anni di presidenza Sarkozy). Vedremo se queste impressioni si traducono in un rialzo nei sondaggi. D’altro canto Le Maire, rispetto al suo cavallo di battaglia, il rinnovamento, è stato superato da Natalie Kosciuscko-Morizet che è apparsa più credibile. Non certo una disfatta totale, perché come detto la sfida è stata molto equilibrata, ma è stato l’unico candidato apparso danneggiato, cosa che ha sportivamente riconosciuto.

d-Cos’è mancato? Il dibattito si è sviluppato attorno a tre temi principali: economia, sicurezza e identità francese. Due argomenti sono mancati: l’Europa e l’affaire Bygmalion. Quest’ultimo mai citato dai candidati (per chi arriva adesso ne avevo parlato brevemente nelle settimane scorse). L’Europa sarà uno dei temi dei prossimi dibattiti (ne sono in programma altri due, più un terzo che avrà luogo tra il primo ed il secondo turno), mentre con ogni probabilità i candidati hanno evitato di affrontare i guai giudiziari di Sarkozy perchè dopotutto l’affaire Bygmalion mette in cattiva luce tutto il partito e non solo l’ex presidente della repubblica. L’unico momento di tensione è stato quando Le Maire ha chiesto di rendere pubblica la fedina penale a tutti i candidati e Fillon ha domandato ironicamente: “immaginate De Gaulle rinviato a giudizio”? La provocazione è stata gestita abbastanza bene da Sarkozy.

e-L’unica  vera sorpresa è stata Jean Frédéric Poisson, presidente dell’unione cristiano democratica, di cui trovate qui la descrizione insieme con gli altri 7 candidati. Poisson, unico non iscritto al partito Les Républicains, era quasi sconosciuto al grande pubblico e quindi ha suscitato un grande interesse (durante il dibattito il suo nome è stato il più cercato in Francia su Google). Ha ottenuto il  37% di opinioni favorevoli subito dopo il dibattito ed è sembrato piuttosto a suo agio e per nulla intimidito dalla notorietà dei suoi avversari. Si è distinto per le sue posizioni poco allineate agli altri (vuole abolire i matrimoni gay, ma si è detto contrario al divieto dei Burkini), e per sua fortuna non è stato costretto ad approfondire temi su cui ha posizioni piuttosto estreme: è famoso per la sua posizione di sostegno ad Assad e a Donald Trump, ritiene l’Islam non compatibile con la repubblica, è molto conservatore sui temi della famiglia. Può diventare ministro in caso di vittoria del centro-destra alle presidenziali? Questa è la domanda circolata sui social e sui giornali tra venerdì e sabato.

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Detto ciò, quanto possono essere determinanti i dibattiti? Poco, la storia insegna che le tendenze dei sondaggi difficilmente vengono invertite dai dibattiti, semmai confermate. Hollande era in vantaggio prima dei dibattiti alle primarie del PS nel 2011 e poi ha vinto; Bersani era in vantaggio rispetto a Renzi alle primarie del PD del 2012 e poi ha vinto. Insomma non dovrebbe cambiare molto. Certamente però, i dibattiti costituiscono una grande vetrina per due motivi: il partito ne esce molto rafforzato sia economicamente (d’altronde si paga 2 euro per votare e in due turni ci si aspettano 7-8 milioni di persone) che politicamente (oltre che del libro di Hollande in Francia al momento non si parla d’altro); sono poi un’occasione per i candidati più piccoli: grazie alla grande audience è facile farsi conoscere meglio dal grande pubblico, e utilizzare la notorietà acquisita in futuro. Per esempio, Manuel Valls con il suo 5% alle primarie PS del 2011 è stato prima ministro dell’interno e poi Primo Ministro. Per molti (specialmente Le Maire e Natalie Kosciusko-Morizet per ovvie ragioni d’età) c’est ne qu’un début.

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

Qui trovate le puntate precedenti.

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