Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, diciottesima settimana: Hamon è in testa al primo turno

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 Dunque: ieri i socialisti hanno votato al primo turno delle primarie per scegliere il loro candidato alle presidenziali.

Cos’è successo?

I due qualificati al secondo turno sono Benoît Hamon e Manuel Valls. Alcuni giornali italiani hanno scritto di “risultato a sorpresa” ma, come analizzato nella newsletter di sabato e nelle settimane precedenti, un secondo turno del genere era piuttosto probabile. Il fatto che questo risultato fosse impossibile da pronosticare solo a dicembre conferma un dato forse banale, di cui va tenuto conto quando si criticano i sondaggi e i giornalisti incapaci di raccontare quello che sta succedendo: le campagne elettorali spostano voti. È stato così per François Fillon alle primarie dei repubblicani, sarà così anche per le elezioni di maggio. 

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Come vedete Benoît Hamon è in testa con il 36% dei consensi, mentre Valls si è fermato al 31%. Lo scarto non è molto largo, ma Arnaud Montebourg, arrivato terzo, ha dichiarato che voterà per Hamon, vista la vicinanza dei loro progetti e le tante battaglie comuni condotte in passato. Dopotutto i due fondarono una corrente per rinnovare il partito (il nuovo PS) e insieme lasciarono il Governo per contrasti con il primo ministro Valls nel 2014, meritandosi l’appellativo di “frondisti” per quasi tutta la presidenza Hollande.

 

1-La partecipazione

Una delle incognite più importanti riguardava il numero dei votanti. Sabato avevamo spiegato che la soglia minima per considerare la partecipazione “onorevole” era due milioni di votanti. Non abbiamo ancora dati certi (e infatti ci sono già le prime polemiche) ma sul 90% dei seggi scrutinati la cifra è piuttosto bassa: al momento si contano 1,56 milioni di persone, e dall’organizzazione spiegano che probabilmente la cifra totale sarà di 1,65 milioni. Se è forse esagerato parlare di “catastrofe”, l’affluenza è di certo deludente: senza azzardare un impietoso paragone con le primarie della destra, a cui hanno partecipato 4,2 milioni di elettori, nel 2011 alle primarie socialiste votarono in 2,7 milioni al primo turno. Più di un milione di differenza.

Questo, oltre al problema politico evidente di un candidato che non potrà sfruttare una vera e propria dinamica, vista la poca legittimazione popolare, è una pessima notizia per le casse del partito. I socialisti con una partecipazione del genere riusciranno a stento a finanziare il voto di ieri, mentre come abbiamo visto i repubblicani non solo hanno coperto le spese, ma addirittura finanziato l’intera campagna per le presidenziali.

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Come potete notare, Hamon ha preso poco più della metà dei voti di Sarkozy in novembre

2-Per cosa hanno votato gli elettori socialisti?

Questa la domanda chiave delle primarie di ieri, due le risposte possibili. La prima: mobilitarsi per il candidato con più possibilità di arrivare al secondo turno delle elezioni presidenziali, scegliendo il profilo più vicino alla figura di uomo di Stato, Manuel Valls. La seconda: scegliere il candidato capace di rappresentare al meglio i valori di sinistra e dare un forte segnale di discontinuità con la politica della presidenza Hollande, votando per Benoît Hamon o Arnaud Montebourg. Sommando i voti dei due candidati della sinistra PS arriviamo al 54%: un messaggio piuttosto chiaro.

D’altronde un sondaggio condotto dall’istituto Elabe sulle motivazioni degli elettori lascia pochi dubbi rispetto a questa interpretazione.

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Un voto del genere, accompagnato da motivazioni così nette, significa che la svolta liberale di Hollande, messa in opera da Jean-Marc Ayrault (primo ministro dal 2012 al 2014) e Manuel Valls (primo ministro dal 2014 sino a dicembre scorso), è stata sonoramente bocciata dagli elettori socialisti. Con ogni probabilità chi è andato a votare ieri non vedeva l’ora di esprimere il proprio dissenso rispetto ad una presidenza giudicata deludente e molto lontana dalle roboanti promesse della campagna elettorale. Per capirci François Hollande iniziò la sua corsa all’Eliseo con un discorso quasi di sinistra radicale, dichiarando che l’avversario della sua presidenza sarebbe stato “il mondo della finanza”. Cinque anni dopo, di quel discorso non è rimasto nulla.

 

La “révolte” rispetto alla politica di Hollande e Valls è d’altronde la chiave di lettura fornita da Arnaud Montebourg, che sosterrà Hamon al secondo turno per chiudere definitivamente con l’esperienza rappresentata da Valls e Hollande. Chi ha votato domenica, ha detto commentando i risultati, ha condannato questi cinque anni di governo, rifiutando di apportare il proprio sostegno a coloro che hanno messo in opera le politiche “di austerità e di deriva liberale”. Al di là dei toni da tribuno per cui è famoso Montebourg, possiamo dire che l’analisi è sostanzialmente corretta. Aggiungerei che la forte polarizzazione prodotta da queste primarie ha come conseguenza un forte rigetto della famosa “sintesi” tra le due anime dei socialisti immaginata da Mitterrand nel 1971, portata avanti da Lionel Jospin negli anni ’90 e raccolta da Hollande nel 2011, quando l’allora segretario del partito vinse le primarie proprio con questa piattaforma. Ora ci troviamo di fronte a due progetti di società completamente diversi: entrambi i candidati hanno fatto i complimenti all’avversario auspicando un dibattito di alto livello tra due visioni “della società” opposte. “Della società” non “della sinistra”. I candidati avevano accuratamente evitato di assumere le profondissime divisioni politiche che fratturano il Partito Socialista, gli elettori li hanno costretti a farsene carico.

 

3-I meriti di Hamon

Se Hamon dovesse vincere domenica prossima, com’è probabile, sarà un candidato alle presidenziali abbastanza debole. Di questo parleremo, nel caso, lunedì prossimo. Per ora, è utile capire perché la sua proposta ha convinto la maggioranza relativa dell’elettorato socialista.

Nelle ultime settimane abbiamo raccontato come il profilo dell’ex ministro dell’istruzione stesse acquisendo solidità, per una serie di ragioni. (Se volete approfondire potete leggere le puntate dall’8 gennaio in poi, quando abbiamo cominciato a osservare la dinamica favorevole di Hamon)

È stato molto bravo a marcare una differenza con Arnaud Montebourg, l’altro candidato della sinistra PS che sino a dicembre doveva essere lo sfidante principale prima di Hollande, quando sembrava certa la sua candidatura, e poi di Valls. Mentre Montebourg ha presentato un programma di sinistra classica, individuando – semplifico – in grandi investimenti pubblici la chiave per far ripartire l’occupazione, Hamon ha avuto il coraggio di proporre un’alternativa reale e molto forte: il reddito universale. La sua diagnosi è che l’economia digitale distruggerà più posti di lavoro di quanti ne creerà anche sul lungo periodo, va quindi totalmente ripensato il welfare, senza temere di ammettere che l’idea del lavoro al centro della vita degli esseri umani potrebbe diventare un concetto superato. Questa proposta, costosissima e stando così le cose inapplicabile senza un innalzamento deciso della tassazione, ha avuto due meriti.

Il primo, come visto, è stato identificare il candidato con un messaggio nuovo, facile da comunicare, quasi rivoluzionario – per quanto la sinistra francese abbia un rapporto particolare con il lavoro, e di questo parleremo senz’altro sabato, alla vigilia del voto. Il secondo è stato dare una speranza e un’utopia a un popolo che stentava a riconoscersi nel partito che ha governato la Francia negli ultimi cinque anni. Avevo sottolineato come il successo delle primarie è in genere determinato dall’entusiasmo, dalla capacità che ha questo strumento di accelerare un processo di cambiamento politico già in atto. Se è vero che ciò non si può dire per questa consultazione in sé, visti i problemi ampiamente affrontati nelle scorse settimane, certamente la candidatura e la vittoria di Hamon un minimo di entusiasmo l’hanno suscitato. Ieri sera, dopo la vittoria, il suo comitato elettorale è stato trasformato in una discoteca: sembrava di essere ad una festa organizzata dai Socialisti Gaudenti più che al quartier generale di un partito.

Benoît Hamon ha poi capito perfettamente per cosa sarebbero andati a votare gli elettori: non per un eventuale presidente della repubblica, ma per un personaggio in grado di difendere i valori di sinistra. Non ha mai cercato di assumere posizioni a lui poco congeniali, è stato autentico e coerente con le sue proposte e con la sua storia. Avere un profilo poco presidenziale era un suo limite, ma alla fine questo non ha contato.

 

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Come vedete, le qualità necessarie per essere presidente non sono nemmeno citate

4-Valls può ancora vincere?

La posizione di Manuel Valls è molto difficile. Lo è numericamente, perché come visto, stando così le cose, la linea antigovernativa Hamon-Montebourg è maggioritaria. Ma ci sono almeno tre motivi politici per cui la strada verso una sua rimonta è piuttosto impervia.

Il primo sta nella dinamica: dalla sua entrata in campagna Manuel Valls ha costantemente perso consensi. Abbiamo assistito e raccontato l’erosione del consenso dell’ex primo ministro che si faceva più forte dopo ogni dibattito e dopo ogni comizio contestato, interrotto o poco partecipato. Recuperare uno svantaggio partendo da sfavorito è molto più semplice che partire da favorito e vedere il proprio consenso sgretolarsi passo dopo passo. 

Il secondo è rappresentato dalle sue posizioni storiche. L’abbiamo ripetuto più volte, Manuel Valls è un esponente dell’ala destra del Partito Socialista, è tendenzialmente liberale in economia e molto duro sulle questioni di immigrazione, sicurezza e laicità. Alle ultime primarie, quelle del 2011, la sua candidatura raccolse solo il 5,6% dei consensi. Dovendo per forza di cose porsi come candidato in grado di unire tutto il partito, ha dovuto assumere una postura a lui poco congeniale: gli estimatori di Valls hanno sempre apprezzato la sua capacità di prendere posizioni eterodosse (schierarsi contro le 35 ore lavorative settimanali), radicali (proporre e difendere a spada tratta il progetto sulla déchéance de nationalité, cioè la possibilità di privare della cittadinanza francese i condannati per terrorismo) decisioniste (utilizzare l’articolo 49.3 della Costituzione, l’equivalente della nostra questione di fiducia, per approvare delle riforme anche senza il consenso della minoranza del suo partito). Appena entrato in campagna Valls ha invece rinnegato tutte queste posizioni (tranne quella sulla déchéance de nationalité), dichiarando più volte di essere cambiato. Poi, resosi conto che la strategia non pagava, ha ricominciato a “fare il Valls”, probabilmente peggiorando la situazione. 

L’ultimo motivo è che la campagna elettorale è stata condizionata, con grande merito, dal suo avversario principale, bravissimo a dettare l’agenda su temi e proposte a lui poco congeniali. Specularmente si può notare una sostanziale indifferenza degli elettori rispetto ai temi dove Valls è più credibile e suo agio: la sicurezza, l’Europa, la gestione del fenomeno migratorio. Questo grafico, sempre dal sondaggio Elabe citato prima, è piuttosto eloquente.

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Per recuperare Valls ha solo una speranza: attirare molte persone che non sono andate a votare ieri, puntando sul suo profilo presidenziale e sulla sua (presunta) capacità di ottenere un miglior risultato alle elezioni di aprile. Il suo messaggio sarà piuttosto chiaro: domenica prossima i socialisti sceglieranno, definitivamente, tra la sinistra di governo e “la sinistra dalle proposte irrealizzabili”. Il problema è che, a corpo elettorale immutato, gli elettori hanno già scelto per la seconda sinistra.

5-Emmanuel Macron incassa l’ennesima ottima notizia

Abbiamo analizzato più volte il fenomeno di Emmanuel Macron in questi mesi. Tra le varie ragioni del suo successo c’era quella della mancanza di un candidato del Partito Socialista. Fino ad oggi il leader di En Marche! ha avuto gioco facile a occupare lo spazio politico che va dalla destra del partito socialista ai repubblicani. Per tutta l’ultima parte del 2016 i socialisti sono rimasti sospesi aspettando l’annuncio di François Hollande, che alla fine ha deciso di non ripresentarsi; poi si sono gettati in una campagna per le primarie frenetica e poco chiara dal punto di vista politico (ancora, per cosa avrebbero votato gli elettori? Ce lo siamo chiesti per settimane).

È chiaro che dal risultato di ieri Emmanuel Macron esce piuttosto rafforzato. Innanzitutto per la partecipazione: con poco più di 1,5 milioni di elettori queste primarie non consegneranno alcuna dinamica favorevole al vincitore, chiunque egli sia. Avere alla sua sinistra un candidato legittimato da una forte investitura popolare avrebbe rappresentato un problema; dopotutto Macron si è candidato da indipendente alla testa di un movimento nato pochi mesi fa, e non può rivendicare alcun “popolo” in grado di mobilitarsi concretamente per sostenerlo. In secondo luogo, dal punto di vista politico un candidato come Hamon è l’ideale: le loro due proposte sono incompatibili, la visione liberale-libertaria della società e la sensibilità per il mondo delle imprese e dell’economia digitale rappresentata da Macron è lontanissima da quella del favorito alle primarie del PS. Un candidato come Valls, magari distante su alcuni temi (lotta al terrorismo, laicità) ma molto simile su economia e lavoro, sarebbe stato più competitivo nei suoi confronti, e avrebbe suscitato una domanda spontanea: “se non siete poi così lontani, perché non riuscite a mettervi d’accordo”?

Di tutto questo continueremo a parlare nella puntata speciale di sabato prossimo. Come per questo week end ci sentiamo prima del voto per fare un punto della situazione e lunedì mattina, per commentarlo.

Per oggi è tutto, a sabato prossimo!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, edizione straordinaria: i socialisti al voto!

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Di cosa parliamo oggi?

1-Domani c’è il primo turno delle primarie del Partito Socialista. Analizziamo le ultime notizie e gli ultimi sondaggi, la partita è davvero aperta

2-Il 19 gennaio è stato pubblicato un sondaggio molto accurato sulle intenzioni di voto al primo turno delle presidenziali, Marine Le Pen è in testa e François Fillon in flessione: lo commentiamo insieme.

1-Le Primarie del Partito Socialista

Come sapete, domani i socialisti voteranno per il primo turno delle primarie. I seggi saranno aperti sino alle 19, e conosceremo i primi risultati reali in un paio d’ore. È molto difficile prevedere l’affluenza, secondo un sondaggio Elabe pubblicato mercoledì i partecipanti dovrebbero superare i due milioni. È sufficiente? L’ho chiesto al direttore dell’Istituto Ipsos, Brice Teinturier, che mi ha spiegato che con due milioni e mezzo di partecipanti i socialisti potranno dire di aver raggiunto la partecipazione di cinque anni fa alle primarie che vinse François Hollande, e dunque rivendicare un risultato “onorevole”. Se però l’affluenza dovesse essere inferiore ai due milioni, il PS andrebbe incontro ad un “fallimento colossale”, sia dal punto di vista economico che politico. 

Gli unici dati certi che abbiamo sinora sono quelli dei dibattiti: l’ultimo confronto televisivo, andato in onda giovedì sera su France 2, è stato guardato da 3,1 milioni di telespettatori (15% di share), 2 milioni in meno rispetto al terzo dibattito delle primarie della destra. Gli altri due dibattiti erano stati seguiti da 3,8 milioni (giovedì scorso) e 1,7 milioni (domenica sera). I francesi dimostrano un minore interesse rispetto alle primarie della destra ma, visti i contesti e le prospettive differenti in cui si sono svolte le due consultazioni, non è una sorpresa. Una visione più ottimistica della partecipazione viene invece registrata da un sondaggio Ifop realizzato per il Figaro (di seguito l’infografica).

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È interessante soffermarsi sulle due motivazioni date dagli elettori per spiegare la loro partecipazione: il 49% degli intervistati risponde che voterà perché si sente vicino ai valori di sinistra mentre il 48% andrà a votare perché gli viene data l’occasione di scegliere il prossimo Presidente della Repubblica. È questa la chiave delle primarie di domenica: se gli elettori di sinistra voteranno per chi credono abbia più chance di competere alle presidenziali o addirittura vincere, allora dovrebbe essere avvantaggiato Manuel Valls, visto il suo profilo di uomo di Stato e i suoi migliori risultati nei sondaggi; se invece sceglieranno in base alla loro sensibilità politica, designando il candidato capace di rappresentare al meglio i valori di sinistra, il vantaggio sarà di Hamon e Montebourg. Un’indicazione interessante su questa tendenza la forniscono da un lato gli ultimi sondaggi, dall’altro le rilevazioni effettuate subito dopo i dibattiti: la dinamica di Benoit Hamon raccontata la settimana scorsa è confermata.

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Come vedete da questo sondaggio di Elabe (pubblicato il 18, quindi prima dell’ultimo dibattito), Valls e Hamon sono a pari merito nelle intenzioni di voto del primo turno, seguiti a poca distanza da Arnaud Montebourg. La differenza sta nell’evoluzione: Hamon avanza di tre punti rispetto all’ultima rilevazione, Valls arretra. L’ex ministro dell’istruzione ha fatto un’ottima campagna elettorale, ha trovato un tema forte che lo identifica (la sua proposta di reddito universale) ed è cresciuto costantemente sia nei sondaggi che nella partecipazione ai suoi incontri (mercoledì ha riempito l’Institut National de Judo, a Parigi, con più di 3000 persone). Anche nell’ultimo dibattito Hamon è stato molto apprezzato, specialmente tra gli elettori che si dichiarano più di sinistra.

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Interessante è, come risulta da questo sondaggio effettuato immediatamente dopo il dibattito, il miglioramento netto della percezione dei telespettatori rispetto ad alcune qualità di Hamon, specularmente alla difficoltà di Manuel Valls, che non ha commesso grandi errori ma è comunque parso meno credibile.

Senza fare una cronaca dell’ultimo dibattito, è secondo me importante sottolineare come in massima parte la proposta di reddito universale incondizionato di Benoit Hamon, abbia catalizzato le critiche di tutti gli altri candidati, segno di quanto sia un tema sentito in un paese come la Francia che ha una disoccupazione molto alta e stenta a trovare soluzioni. Per chi arriva adesso ricordo che Hamon propone l’instaurazione di un reddito universale senza condizioni, proposta che in questi mesi stanno applicando in Finlandia con un esperimento rivolto a duemila persone. La sua diagnosi è che l’economia digitale distruggerà più posti di lavoro di quanti ne creerà anche sul lungo periodo, va quindi totalmente ripensato il welfare, senza temere di ammettere che l’idea del lavoro al centro della vita degli esseri umani potrebbe diventare un concetto superato.

Questa proposta, oltre alle visioni totalmente differenti su immigrazione e sicurezza da parte di tutti i candidati, rende l’idea di quanto sia diviso il Partito Socialista. Restando al tema del lavoro è molto difficile che una proposta come quella del reddito universale proposta da Hamon possa andare d’accordo con quella basata sullo stimolo alla competitività interna abbassando le tasse sulle imprese e defiscalizzando gli straordinari immaginata da Valls; con l’idea di protezionismo economico e grandi investimenti pubblici per creare occupazione di Montebourg o con quella del lavoro come architrave della società al centro della filosofia di Vincent Peillon.

Come sottolineato la settimana scorsa non ci sono stati grandi scontri durante i dibattiti, visto che i candidati hanno fatto molta attenzione a non mostrare un partito diviso. Se però si leggono i programmi o le varie dichiarazioni ci si rende conto di quanto il tema delle “sinistre irreconciliabili” teorizzate proprio da Manuel Valls pochi anni fa sia attuale e ineludibile. A questo punto non resta che aspettare domenica sera per avere un quadro più chiaro della situazione; lunedì mattina analizzeremo il risultato alla luce dei due candidati qualificati al ballottaggio e della partecipazione che, come detto in apertura, è molto rilevante.

2-È stato pubblicato un sondaggio molto accurato

Il sondaggio è stato realizzato da Ipsos in collaborazione con Le Monde. Sono stati intervistati 15.921 francesi dal 10 al 15 gennaio. Ipsos farà un’inchiesta approfondita sulle intenzioni e motivazioni di voto una volta al mese da qui sino a giugno, qui trovate l’analisi del Monde con alcune infografiche.

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Analizziamo alcune tendenze:

A- Macron è stabilmente terzo, come spiegato più volte ha una base elettorale maggiore nel caso in cui non si dovesse presentare François Bayrou, presidente del partito centrista MoDem e grande sostenitore di Alain Juppé alle primarie della destra. Al momento non è ancora chiaro cosa farà, ma ha poco tempo: le candidature devono essere ufficializzate entro il 17 marzo.

Finora il leader di En Marche! ha condotto una campagna quasi perfetta, aiutata dalla grande attenzione della stampa: per curiosità sono andato a contare il numero di copertine dedicategli nel 2016 dai settimanali francesi, arrivato a 40 la mia reazione è stata: “ok sono tantissime forse è meglio che torno a scrivere”. Va detto che Macron fa di tutto per inserirsi nel dibattito quotidiano: se è vero che la sua ascesa è già una notizia, ogni giorno trova un modo per far parlare di sé: in settimana è andato a Berlino, lodando pubblicamente la politica di accoglienza di Angela Merkel, ha riempito un teatro a Lille (una città teoricamente a lui ostile) con più di 5000 persone, ogni giorno una personalità politica di un certo peso dichiara di sostenerlo o si aggiunge alla sua équipe.

La strategia non è però solo comunicativa; certo, avere i titoli di giornali, radio e televisione aiuta, ma Macron persegue anche un altro obiettivo: vuole dare la sensazione di essere alla guida di una squadra di alto livello, non solo un bravo candidato. Così, quando arriverà il momento, non avrà difficoltà a spiegare con chi governerà, domanda scomoda per un personaggio che ha fondato un suo movimento a meno di un anno dalle presidenziali e non si è mai candidato ad una carica elettiva.

B-Fillon è in relativa difficoltà

François Fillon è in difficoltà nei sondaggi. Come avrete notato, nelle intenzioni di voto perde tra i 3 e i 4 punti rispetto a dicembre (se vi interessa il sondaggio Ipsos di dicembre lo trovate qui) a seconda dell’offerta politica in campo. Non è solo nelle intenzioni di voto che l’ex primo ministro di Nicolas Sarkozy mostra una flessione: nel barometro mensile pubblicato dal Figaro Magazine il candidato repubblicano perde ben 11 punti nell’“inchiesta sull’avvenire” (la domanda che viene posta in questi sondaggi è se, secondo l’intervistato, il personaggio politico considerato giocherà un ruolo rilevante nei prossimi mesi/anni); in un sondaggio simile realizzato da Ifop per Paris Match Fillon perde 8 punti di fiducia tra le classi popolari, dal 19 all’11%. Cosa sta succedendo? In parte un arretramento nei sondaggi è fisiologico: dopo la vittoria alle primarie il candidato repubblicano ha avuto una relativa luna di miele con i francesi che, vista la sorpresa per la sua vittoria, non conoscevano bene le sue proposte.

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Il barometro mensile del Figaro

Ma va considerato che tra dicembre e gennaio Fillon è stato il bersaglio preferito di tutti i candidati e di parte della stampa. Le critiche al suo programma “brutale” e “troppo radicale” sono arrivate persino da alcuni esponenti della sua stessa forza politica e molti elettori che potevano trovare il suo progetto interessante si sono spostati verso Macron (soprattutto i liberali a disagio con le posizioni molto conservatrici in tema di società). Delle sue difficoltà parleremo meglio nelle prossime puntate, anche perché Fillon ha già dimostrato di non tenere in grandissima considerazione i sondaggi e gli interessi dei media “sono io che fisso la mia agenda, non i giornalisti”; dopotutto in alcuni sondaggi di quest’estate non era nemmeno considerato, e abbiamo visto com’è andata a finire.

C-Marine Le Pen è straordinariamente alta nei sondaggi

Non abbiamo parlato molto di Marine Le Pen nelle ultime settimane, se non rispetto ad alcune questioni abbastanza specifiche: un candidato della destra per lei più ostico di Juppé o Sarkozy, la polemica tra Marion Maréchal Le Pen e Florian Philippot, i problemi di finanziamento del partito, a cui le banche francesi non fanno credito, l’ascesa di Macron, con la conseguente attenzione della stampa.

Tutte queste cose avevano portato Marine Le Pen a cambiare leggermente la sua strategia, fino ad ora incentrata su una “dieta mediatica” piuttosto strana per un candidato alle presidenziali: poche apparizioni televisive, pochissime interviste sui giornali e pochi tour elettorali sino al 5 febbraio, quando inizierà ufficialmente la campagna elettorale a Lione. L’idea era far parlare i fatti: i problemi dell’immigrazione, l’emergenza terrorismo, l’occupazione che stenta a ripartire, il “popolo che prende in mano il suo destino” con la Brexit e l’elezione di Donald Trump, tutti avvenimenti predetti o auspicati dal Front National, che dunque non aveva bisogno di saturare i media per essere al centro del dibattito pubblico.

Visti i problemi sottolineati poco fa e la concorrenza inaspettata di Macron e Fillon, Marine Le Pen ha deciso di anticipare alcuni suoi interventi pubblici (ne avevamo parlato qui), proprio per evitare di perdere terreno rispetto agli avversari. Evidentemente non ce n’era bisogno, e questo è piuttosto sorprendente: senza fare campagna elettorale il Front National è primo partito, rimanendo stabile o addirittura guadagnando uno/due punti percentuali. Cosa succederà dopo delle grandi manifestazioni e un paio di grandi interviste in prima serata?

3-Una notizia flash

-Manuel Valls ha preso uno schiaffo da un estremista di destra bretone, nel corso di un suo tour elettorale in Bretagna. Non è la prima volta che l’ex primo ministro viene contestato duramente durante le sue passeggiate elettorali, ma non aveva mai subito violenza fisica finora. Tutti hanno condannato il gesto, chiaramente, ma conferma una fase di difficoltà per Valls, che ieri sera ha terminato a Parigi la sua campagna elettorale e ha visto il suo discorso interrotto più volte da una serie di contestatori.

Ringraziamenti, doverosi

Francesco Costa, che molti di voi già conoscono, ha segnalato questa newsletter nella sua ultima/prima puntata. A lui va un ringraziamento speciale, sia per questo ulteriore aiuto che per i consigli e la disponibilità che ha sempre mostrato nei miei confronti. Se non siete già iscritti alla sua newsletter potete farlo qui, se poi volete aiutarlo economicamente per il grandissimo lavoro che fa e che chiaramente ha dei costi potete farlo seguendo questo link.

Infine, grazie a tutti quelli che si sono iscritti e si stanno iscrivendo in queste ore semplicemente sulla fiducia, senza conoscermi. Cominciate ad essere tanti e io mi sento sempre più responsabile.

Per oggi è tutto, a lunedì, quando commenteremo i risultati del primo turno!

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Présidentielle 2017, diciassettesima settimana: le primarie dei socialisti, domenica prossima

Diciassettesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui. 

Le notizie sono moltissime, ed è complicato riuscire a spiegare tutto senza rendere la newsletter lunghissima e forse ad un certo punto anche noiosa. Per cui oggi affronteremo solo i socialisti, rimandando le notizie sugli altri candidati. Com’è accaduto per le primarie dei repubblicani, la settimana prossima riceverete due newsletter, una sabato e una lunedì, avremo quindi modo di affrontare per bene anche il resto.

1-Manca una settimana al primo turno delle primarie

Giovedì i socialisti hanno tenuto il loro primo dibattito. L’audience è stata di 3,8 milioni di telespettatori, 18% di share; sono due milioni in meno rispetto al primo dibattito dei repubblicani, visto da 5,6 milioni di persone con il 26,3% di share. Il dibattito è stato meno seguito anche rispetto al 2011, durante le primarie che incoronarono François Hollande. In quel caso si registrarono quasi 5 milioni di telespettatori.

Il confronto è stato molto lungo e francamente un po’ artificiale. Come analizzato in precedenza, i programmi sono molto diversi, eppure i candidati hanno accuratamente evitato di attaccare gli altri, tendendo più a recitare una serie di piccoli monologhi che a dialogare con chi avevano di fianco. Per farvi capire il clima, alla prima domanda Manuel Valls ha iniziato a rispondere chiarendo subito di “non avere nemici né avversari stasera”, immediatamente seguito dai vari appelli all’unità di tutti gli altri. Il momento più polemico è stato forse quando Benoit Hamon ha criticato il progetto di décheance de nationalité (la possibilità di privare della cittadinanza francese i condannati per terrorismo), facendo reagire in modo molto sorpreso Manuel Valls (che però si è limitato a qualche smorfia, senza replicare direttamente).

Il paragone con le primarie e i dibattiti dei repubblicani è naturale, ed è difficile da sostenere. I candidati della destra erano politici di peso: oltre ai due ex primi ministri (Fillon e Juppé) e un ex Presidente della Repubblica (Sarkozy), anche i cosiddetti candidati minori avevano ricoperto ruoli di estrema rilevanza, tutti ministri più volte tranne Jean-Frédéric Poisson. I quattro candidati socialisti vengono dalle varie minoranze, nessuno ha mai rappresentato la parte più importante del PS: non è facile operare la famosa “sintesi” se hai costruito tutto il tuo percorso politico su posizioni di minoranza. Nelle scorse settimane ci si chiedeva quanto questa postura avesse danneggiato l’inizio della campagna elettorale di Manuel Valls, che aveva parlato molto di unità e preso posizioni poco coerenti rispetto ai suoi punti di forza, rinnegando alcune scelte prese quando era primo ministro (l’utilizzo della fiducia, che in Francia è uno strumento molto controverso, su tutte), e faticava a far valere il suo ruolo di primo ministro. Allo stesso modo le posizioni del passato e la storia personale danneggiano Montebourg e Hamon, entrambi incapaci di rappresentare un candidato maggioritario.

La mancanza di François Hollande, tra l’altro, si è fatta sentire. Senza un candidato molto controverso e che suo malgrado calamitasse l’attenzione dei media e degli altri candidati il dibattito è stato meno dinamico e interessante; mentre gli elettori di centrodestra potevano farla finita con Sarkozy, ai simpatizzanti della gauche non è data la possibilità di voltare veramente pagina rispetto ad una stagione politica. Certo, Valls rappresenta in parte il bilancio di Hollande, ma nel sistema francese il presidente è una sorta di “monarca repubblicano” e attaccare il suo primo ministro non è la stessa cosa: per un elettore poco interessato l’idea di andare a votare in una consultazione per eliminare politicamente Hollande può avere un senso, non si può fare lo stesso ragionamento per Valls.

Che dire poi dell’entusiasmo? La riuscita delle primarie si basa sull’entusiasmo, sulla promessa di cambiamento (come fu per Hollande nel 2011 e com’è stato per Fillon a novembre). In questo caso nessuno è entusiasta, perché queste primarie, pensate per François Hollande, sono diventate un congresso del PS per designare un candidato in grado di evitare l’implosione della storica gauche de gouvernment. Il messaggio filtrato sinora è abbastanza chiaro, e lo hanno integrato persino i vari candidati: difficilmente da queste elezioni interne verrà fuori il probabile prossimo presidente; la partita, come visto, è un’altra. Infine, da non sottovalutare, non è in gioco il destino politico di nessuno, non ci troviamo di fronte all’ultima chance com’è stato per Juppé, Fillon e Sarkozy. I tre repubblicani erano obbligati a vincere le primarie; la sconfitta significava il ritiro dalla vita politica. Per i candidati socialisti, tutti intorno ai cinquant’anni, è molto più difficile parlare di carriera finita a prescindere dal risultato. È dunque chiaro che l’approccio è diverso, in questo caso.

Ma forse il più grande problema del dibattito è stato la mancanza di chiarezza nelle prospettive. Nessuno ha avuto la capacità di porre con forza il tema di cos’è oggi il Partito Socialista, dove vuole andare e perché solo il suo progetto è in grado di riportare la sinistra all’Eliseo; nessuno ha osato affrontare le profondissime divisioni ideologiche in campo. Se è vero che le fratture nella destra erano più di natura personale che politica, visti i trascorsi difficili e le varie incomprensioni, la sinistra è segnata da visioni del mondo del lavoro, delle questioni di sicurezza e dell’Europa difficilmente conciliabili. Ciononostante non si sono visti attacchi duri anche quando ce ne sarebbe stata l’occasione, specialmente su alcune scelte di Manuel Valls o su alcune proposte degli altri candidati. Nessuno ha avuto il coraggio di discutere con franchezza: esattamente l’atteggiamento che ha fatto naufragare il quinquennio di Hollande, ostaggio delle incomprensioni e ambiguità ideologiche della sua maggioranza.

La scelta di evitare il confronto su questi temi viene probabilmente dalla necessità di non mostrare un partito socialista a sua volta diviso in una sinistra già spaccata in tre, vista la presenza ed il relativo successo di Mélenchon e Macron. La strategia rischia però di disinteressare ancor di più un elettorato che ha ormai interiorizzato la sconfitta.  Su Mediapart Hubert Huertas pone bene la questione: “il partito socialista è pronto ad affrontare le contraddizioni che lo fratturano oppure le nasconderà sotto il tappeto?”

2-Cosa dicono i Sondaggi?

Ne commentiamo due, il primo è stato effettuato subito dopo il dibattito,  il secondo invece è di ieri ed è stato realizzato tra l’11 e il 13 gennaio, quindi prima e dopo il dibattito.

A-Montebourg è stato il più convincente

 

Come vedete Arnaud Montebourg è considerato il candidato più convincente dall’insieme dei telespettatori. Questo è un dato importante, siccome finora la sua campagna elettorale non è stata molto entusiasmante, come vedremo a breve. L’altro dato molto interessante è quello tra i simpatizzanti di sinistra, più motivati ad andare a votare domenica prossima: Benoit Hamon è il candidato più convincente, nonostante una prestazione non particolarmente entusiasmante, come ha lui stesso ammesso il giorno dopo.

Perché dico che il dato è interessante? Perché nelle ultime settimane abbiamo osservato una dinamica favorevole alle sue idee e alla sua candidatura; questo sondaggio la conferma. Allo stesso modo Montebourg in terza posizione tra i simpatizzanti conferma la difficoltà che incontra l’ex ministro dell’economia rispetto alla piattaforma del suo rivale, evidentemente più credibile per gli elettori della sinistra PS che sicuramente non voteranno Manuel Valls.

B-Le intenzioni di voto

La prima cosa da notare è che l’interesse verso le primarie è cresciuto, anche se di poco, rispetto alle rilevazioni effettuate prima del dibattito.

 

Per quanto riguarda le intenzioni di voto, Valls si conferma favorito (ma un altro sondaggio lo dava perdente al secondo turno), e Hamon conferma la sua popolarità tra i simpatizzanti di sinistra, arrivando molto vicino a Montebourg tra i simpatizzanti del PS. Insomma, i giochi sono apertissimi.

3-Un po’ di considerazioni sui tre principali candidati

A-Valls si è comportato bene

Il grande rischio di Manuel Valls era diventare il bersaglio delle critiche di tutti gli altri candidati: unico ad aver partecipato fino in fondo al bilancio di Hollande, bilancio contro cui si sono candidati Hamon e Montebourg, che all’inizio speravano di affrontare il Presidente uscente con una campagna molto aggressiva. Invece, come visto prima, nessuno ha basato la propria strategia sul “tutto tranne Valls”:  l’ex primo ministro è uscito indenne da questo punto di vista, e anzi ha utilizzato la domanda sul “come considera la presidenza Hollande in una sola parola” rispondendo in maniera decisa e più efficace degli altri: “fierezza. Sono fiero di aver servito il paese durante un periodo difficilissimo: la lotta al terrorismo. Non dimentichiamolo mai.

Questa risposta ha consentito poi a Valls di battere forte sui suoi temi storici, cioè sicurezza e identità, dove è riuscito a ritagliarsi uno spazio preminente vista anche la sua responsabilità di governo passata. È andato relativamente in difficoltà sui soggetti economici, specialmente sulla contestata legge del lavoro che Hamon e Montebourg hanno detto di voler abrogare, ma tutto sommato poteva andargli molto peggio. Possiamo dire di aver visto l’ex primo ministro più a suo agio rispetto a quanto era apparso nelle uscite mediatiche precedenti  e deciso nell’imporre la propria statura istituzionale, certamente più strutturata di quella dei suoi concorrenti. Certo, non è stato brillante o particolarmente trascinante, ma d’altronde non lo è stato nessuno.

B-C’è spazio per un paragone Hamon-Fillon?

Dal punto di vista della dinamica il paragone può esserci. Se andiamo a vedere la progressione nei sondaggi, lo spazio che viene dato alle sue idee, alla sua coerenza, e alla sua capacità di parlare alla sinistra del partito allora sì, effettivamente ci sono delle somiglianze. Come visto la sua apparizione televisiva è stata apprezzata; i sondaggi post-dibattito contano relativamente in termini elettorali, possono però darci un’indicazione abbastanza precisa sulla dinamica, sul sentimento che Hamon riesce a suscitare. L’ex ministro dell’istruzione ha però un problema, che si è visto nella sua partecipazione al programma Émission Politique dell’autunno scorso e che è riapparso nel dibattito di giovedì: non ha statura presidenziale, come conferma una delle domande del sondaggio analizzato prima, posta a chi aveva appena guardato il dibattito.

E qui sta forse il paradosso: se queste primarie fossero pensate per scegliere un potenziale presidente della repubblica, allora una mancanza del genere conterebbe molto. Ma ad un’eventualità del genere non credono nemmeno i socialisti (poi può cambiare tutto, ma al momento è davvero molto difficile vedere un altro socialista all’Eliseo in primavera). Se invece è un buon capo dell’opposizione che in queste due domeniche gli elettori del partito andranno a scegliere, allora il difetto potrebbe contare molto meno. La sua sfida è rendere in qualche modo credibile la sua proposta faro, quella del reddito universale, che per ora lo ha caratterizzato e ha anche catalizzato le critiche durante il dibattito. Ha poco tempo per farlo, e il format dei dibattiti non lo aiuta: una campagna così corta potrebbe penalizzarlo.

 

C-I problemi di Montebourg

Arnaud Montebourg sembrava essere lo sfidante più accreditato. Nei sondaggi che circolavano quando si credeva che Hollande avrebbe partecipato alla competizione era molto alto, in alcune rilevazioni era addirittura vincente. La sua campagna però stenta a decollare: le proposte sono di sinistra classica, cioè alzare la spesa pubblica e fare “piena occupazione” con investimenti. A ciò aggiunge la retorica sul patriottismo economico e contro le banche, oltre alla critica alle politiche di austerità vere “responsabili della perdita di potere d’acquisto e della disoccupazione”. Su questi temi, ancora più di Benoit Hamon, Montebourg è coperto da Mélénchon, che in questi mesi ha monopolizzato l’attenzione dei media per quanto riguarda la sinistra radicale. Infine sta soffrendo la dinamica di Hamon, che pur venendo da un’area politica molto simile, ha avuto il merito di mettere in piedi una proposta davvero innovativa. La rilevazione Elabe effettuata subito dopo il dibattito è quindi un’ottima notizia, nei prossimi dibattiti sarà con ogni probabilità molto più aggressivo.

Per oggi è tutto, a sabato prossimo!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, sedicesima settimana: Marine Le Pen è in campagna elettorale

Sedicesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Di cosa parliamo oggi?

1-Marine Le Pen ha quasi cominciato la campagna elettorale. Anche se l’apertura ufficiale ci sarà a febbraio, la leader del Front National è tornata in televisione e ha iniziato a girare la Francia.

2-Manuel Valls è in testa a un sondaggio pubblicato dall’istituto Harris Interactive, ma oltre ai dubbi sulla qualità del sondaggio la sua campagna ha moltissimi problemi.

3-Emmanuel Macron per la prima volta è stimato al secondo turno delle presidenziali. Mancano quattro mesi alle elezioni, è quindi ancora presto, però la sua dinamica si sta consolidando. La domanda è se durerà, soprattutto dopo le primarie dei socialisti.

1-Marine Le Pen è in campagna elettorale

Marine Le Pen è quasi in compagna elettorale. La leader del Front National aprirà ufficialmente la sua campagna il 4 e 5 febbraio a Lione, alle “assises présidentielles” (una convention di due giorni in cui sarà presentato gran parte del programma ), ma ha messo fine alla sua “dieta mediatica”, la strategia pre-elettorale messa in atto all’inizio del 2016 a seguito della sconfitta alle regionali. Noi ne avevamo parlato più volte ed era uno dei temi centrali del ritratto che avevo scritto a settembre.

Martedì mattina è stata ospite in una delle trasmissioni politiche mattutine più seguite del paese, Bourdin Directe, e ha rilasciato una lunga intervista alla rivista Causeur. Ha avuto quindi l’occasione di parlare di alcuni temi del suo programma, ma soprattutto di attaccare François Fillon, l’avversario più pericoloso per il Front National, vista la capacità dell’ex primo ministro di attrarre l’elettorato più sensibile ai temi indentitari e di sicurezza, come ha tra l’altro ammesso Marion Meréchal-Le Pen, l’esponente del partito più impegnata su questi argomenti. In particolare Marine Le Pen ha criticato il programma sulla sanità di Fillon, che avvantaggerebbe solo “i ricchi e i clandestini” e ha ironizzato sul suo metodo di campagna elettorale, dicendo che “il candidato repubblicano è immobile; se Sarkozy avesse vinto le primarie avrebbe tenuto già cinque comizi e ci avrebbe regalato almeno diciotto polemiche”.

Ci sono poi due notizie, una buona e l’altra molto meno. Marine Le Pen, dopo aver avuto tantissima difficoltà a finanziare la campagna elettorale (tradizionalmente le banche francesi non fanno credito al Front National), ha infine ottenuto un prestito dal piccolo partito del padre. Questo era un problema strategico non da poco e averlo risolto prima di cominciare la vera campagna è un’ottima notizia. Quella cattiva è che secondo Mediapart la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta sul Front National, accusato di aver impiegato fittiziamente collaboratori con i fondi del Parlamento Europeo. Al posto di lavorare tra Bruxelles e Strasburgo i falsi assistenti sarebbero stati utilizzati esclusivamente per l’attività politica del partito. Di questo avevamo già parlato, visto che il caso circola da tempo, adesso bisogna capire se e quanto danneggerà il partito.

2-Manuel Valls è in testa ai sondaggi

Secondo un sondaggio realizzato dall’istituto Harris Interactive, Manuel Valls è il favorito di questa competizione. Come potete vedere, Valls arriverebbe in testa al primo turno e vincerebbe in maniera piuttosto agevole il ballottaggio, non riuscendo l’ala sinistra del partito a batterlo nemmeno unendo le forze (ciò che al quartier generale dell’ex primo ministro temono di più).

Questo sondaggio va preso però con moltissima cautela. Oltre alle solite precauzioni sui sondaggi che vi risparmio, deve essere ricordato il contesto, che ormai conoscete abbastanza bene. I candidati hanno dei programmi molto vaghi, a parte Valls e Montebourg sono relativamente poco noti e durante queste feste nessuno ha fatto seriamente campagna elettorale. Un sondaggio che non tenga conto dei dibattiti televisivi, che come già spiegato saranno con ogni probabilità decisivi, e che venga commissionato prima di conoscere dove saranno montati i gazebo (lo sapremo lunedì) è abbastanza inutile. Tanto che sinora è il primo che stiamo commentando (mentre se ricordate durante le primarie della destra si pubblicavano più sondaggi a cadenza settimanale).


In più finora il percorso di Valls è stato tutt’altro che entusiasmante, vediamo perché.
A-I problemi della campagna di Manuel Valls

Nelle scorse settimane avevamo detto che Valls avrebbe avuto difficoltà ad incarnare il candidato della sintesi, avendo costruito tutto il suo percorso politico su posizioni minoritarie e a loro modo innovative sulla sicurezza, l’economia e il lavoro. Le grandi linee del suo programma, che per evidenti ragioni di tempo non è approfondito, sono invece un insieme di posizioni poco coraggiose e molto più a sinistra rispetto al solito. Il risultato, riassunto efficacemente dalla giornalista Nathalie Saint-Cricq, è che se qualcuno stimava Valls per le sue tradizionali posizioni adesso ne è deluso, chi invece lo detestava adesso non può far altro che sorridere, trovando poco credibili queste nuove posizioni.

Tra le varie posizioni su cui ha cambiato completamente linea ce ne sono due in particolare: ha dichiarato di voler abolire l’articolo 49.3 della Costituzione dopo averlo utilizzato due volte. L’articolo in questione è assimilabile alla nostra questione di fiducia: il governo chiede la fiducia del parlamento su una legge, ritenendola fondamentale per la continuazione della propria azione politica. Dall’approvazione della legge dipende la permanenza in carica dell’esecutivo, motivo per cui tutti gli emendamenti presentati cadono. A France 2 Valls si è giustificato dicendo che l’utilizzo del 49.3 gli è stato imposto dalla minoranza del partito, e che non dovrebbe essere mai utilizzato. Ha poi proposto di defiscalizzare gli straordinari, misura che era stata introdotta da Sarkozy nel 2007, emblematica del suo slogan “lavorare di più per guadagnare di più”, subito soppressa da Hollande nell’autunno del 2012, e duramente criticata dallo stesso Valls durante le primarie del 2011 perché troppo costosa. Il punto controverso della proposta, sempre sottolineato dalla sinistra, è che le imprese preferiscono far fare gli straordinari ai dipendenti piuttosto che assumere, e questo in un momento di grande disoccupazione pone ovviamente un problema.

In generale, durante tutta la trasmissione, si è visto un Valls abbastanza a disagio nel doppio ruolo di dover difendere un bilancio governativo che non è completamente suo, e allo stesso tempo dover proporre novità e proposte originali pur avendo occupato la poltrona di primo ministro negli ultimi due anni e mezzo. Valls è dunque lontano dal risolvere il più grande problema politico della sua candidatura: la sua forza è sempre stata la capacità di prendere delle posizioni scomode e di mantenerle con coerenza, la sua debolezza è sempre stata l’incapacità di fare sintesi tra le diverse anime del partito. Ora ha bisogno di farlo, ma cercando di piacere a tutti corre il rischio di snaturare il suo profilo, di “hollandizzarlo”. Questa contraddizione potrebbe emergere con forza durante i dibattiti, che si annunciano molto complicati.

B-Il dibattito interessante sul lavoro

C’è un tema a mio parere interessante, di cui si stanno lentamente occupando i giornali e che con ogni probabilità avrà un ruolo importante durante i dibattiti: la differenza di visione che i vari candidati hanno del mondo del lavoro. Benoït Hamon ha posto con forza il tema proponendo l’istituzione di un reddito universale per tutti i francesi, misura che costerebbe intorno ai 300 miliardi. Ora, senza entrare nel merito del progetto, che difficilmente potrebbe essere applicato a breve in queste dimensioni, forse è uno dei pochi argomenti interessanti introdotti in queste primarie un po’ spente.
La diagnosi di Hamon è che l’economia digitale distruggerà più posti di lavoro di quanti ne creerà anche sul lungo periodo, va quindi totalmente ripensato il welfare, senza temere di ammettere che l’idea del lavoro al centro della vita degli esseri umani potrebbe diventare un concetto superato. Non sono sulla stessa linea gli altri candidati, Valls ad esempio propone un reddito “decente”, legato in ogni caso al posto di lavoro, Montebourg ha delle posizioni da sinistra classica, alzare le tasse sui redditi più alti (in particolare intervenendo sul settore bancario) per finanziare un piano di investimenti pubblici, perché “lo stato normale di un’economia è la piena occupazione”; sulla stessa lunghezza d’onda Vincent Peillon, che propone di portare il piano di investimenti europei di Juncker da 300 a 1000 miliardi di euro.

Sarà molto interessante vedere come questa proposta sarà spiegata e difesa/attaccata durante il dibattito, vista la grande crisi in cui versa il partito socialista una proposta del genere potrebbe rivitalizzare il dibattito. In questo senso c’è grande distanza con Macron, che invece sottolinea spesso di essere il candidato del lavoro, e che la rivoluzione digitale va compresa e sfruttata proprio per le possibilità occupazionali che offre.

3- La candidatura di Macron è sempre più solida 
Continuano le ottime notizie per Emmanuel Macron. Secondo un sondaggio pubblicato dall’istituto Elabe giovedì, il leader di En Marche! sarebbe qualificato al secondo turno davanti a Marine Le Pen nel caso in cui il candidato socialista fosse Montebourg e François Bayrou decidesse di non presentarsi. Ma, come potete notare, in tutti gli altri casi le sue percentuali sono comunque molto alte, per la prima volta sopra il 20%.

Pur tenendo conto di tutte le incognite affrontate nelle scorse settimane, questo sondaggio conferma la tendenza: parlare di bolla mediatica ormai è fuori luogo, il fenomeno Macron acquista solidità settimana dopo settimana. In più questo consente all’ex ministro dell’economia di avere un gran spazio mediatico nonostante le imminenti primarie del PS, come dimostrano le varie copertine che le riviste continuano a dedicargli (Macron fa vendere copie, altro ottimo segnale). Se durante le primarie della destra l’escamotage per non scomparire dal dibattito era stato dichiarare ufficialmente che si sarebbe candidato proprio a ridosso dell’elezione, in questo momento il leader di En Marche! è in una posizione di forza tale da non dover nemmeno rischiare nulla.

Macron sta infine tentando di lavorare sui suoi punti deboli, primo tra tutti la credibilità internazionale. Il suo staff sta organizzando una serie di incontri internazionali per mostrare il candidato a suo agio nei contesti di politica internazionale: il primo si terrà a Berlino settimana prossima, dove Macron dovrebbe pronunciare un grande discorso sull’Europa, tema su cui il leader di En Marche! si è speso molto ed è uno dei suoi tratti distintivi.

Per oggi è tutto, ci sentiamo domenica!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017 tredicesima settimana: i candidati alle primarie del Partito Socialista

Dodicesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Prima di cominciare, una comunicazione di servizio. Domenica prossima è Natale, sono quindi convinto che tutti voi avrete di meglio da fare che leggere la mia newsletter, così come a Santo Stefano. Ci sentiamo, dunque, eccezionalmente martedì pomeriggio.

Ieri, alle 12, l’Alta Autorità che organizza le primarie del Partito Socialista ha ufficializzato le sette candidature che si contenderanno la leadership dei socialisti nell’elezione di gennaio. Vediamo quindi chi sono, alcuni più noti, come i quattro candidati socialisti, altri un po’ meno, come i tre candidati dei partiti satelliti. Si vota il 22 e il 29 gennaio; andranno in onda tre dibattiti prima del 22 gennaio e uno tra primo e secondo turno.

Purtroppo in questa newsletter non ci sarà spazio per ragionamenti più complessi sui vari scenari (già così è lunghissima) che recuperiamo nelle prossime settimane. La puntata può dunque servirvi come promemoria per quello che affronteremo a gennaio, quando i socialisti voteranno per il loro candidato.

Prima dei ritratti, va detto che due candidati dati per molto probabili sino alla vigilia, Fabien Verdier e Gérard Filoche, non hanno raggiunto i requisiti per veder accettata la loro candidatura.

Manuel Valls: è di sicuro il candidato più famoso, chi è iscritto dall’inizio ormai lo conosce piuttosto bene (ne avevamo parlato approfonditamente settimana scorsa, ma anche qui e qui). È in politica dagli anni ’80, consigliere di Michel Rocard, poi direttore della comunicazione di Lionel Jospin, all’epoca primo ministro. A lungo sindaco di Evry, comune alla periferia di Parigi, ha partecipato alle primarie  del PS del 2011 arrivando al 5%, per poi essere nominato ministro dell’interno e, nel 2014, primo ministro da François Hollande.

Le sue idee: Valls rappresenta la destra del Partito Socialista, ha pubblicato più libri sull’identità francese ed il rapporto con le religioni, ha preso posizioni molto dure dal punto di vista della sicurezza e della lotta al terrorismo (favorevole alla déchéance de nationalité, cioè il ritiro della cittadinanza ai condannati per terrorismo). Era inoltre partito con proposte molto liberali per gli standard socialisti (nel 2001 un punto forte del suo programma era il superamento delle 35 ore lavorative) anche se nelle ultime settimane ha fatto più di un passo indietro: ha dichiarato di voler abolire l’articolo 49.3 della Costituzione (l’equivalente della nostra questione di fiducia) che egli stesso aveva utilizzato più volte (il caso più celebre è quello della riforma del lavoro); e sta cercando di addolcire le proprie posizioni per apparire come il candidato in grado di unire le varie anime del partito.

I suoi punti di forza: ha incassato sostegni importanti, praticamente tutto il governo ha deciso di votare per lui e questo è importante: dovrà difendere il bilancio di Hollande (d’altronde ne porta una grande responsabilità) e farlo senza nessun aiuto da parte di chi ha condiviso l’esperienza sarebbe stato molto complicato. È il candidato più “presidenziale”, e questo dovrebbe dargli una mano, soprattutto nelle apparizioni televisive.

Le sue debolezze: c’è il rischio che queste primarie appaiano come un pre-congresso più che come un momento in cui si elegge un probabile presidente della Repubblica. Se così stanno le cose, il profilo di Valls rischia di essere respingente.

Arnaud Montebourg: è il più critico dei candidati rispetto al bilancio di François Hollande. Suo nonno, algerino, ha combattuto per il Fronte di Liberazione Nazionale per l’indipendenza dell’Algeria negli anni ’50. Iscritto al PS dal 1981, non ha sempre fatto politica ma negli anni ’90 è stato un avvocato abbastanza conosciuto del foro di Parigi. Eletto in Parlamento nel 1997, vi è rimasto sino al 2012, quando è stato nominato ministro dell’economia da François Hollande, ruolo che però è stato costretto ad abbandonare nel 2014 per contrasti con il primo ministro Manuel Valls.

Le sue idee: rappresentante dell’ala sinistra del Partito Socialista, fu eletto deputato nel 1997 sulla base di una campagna molto protezionista, e quando ha partecipato alle primarie del PS nel 2011 ha fortemente sostenuto che si dovesse cominciare un discutere di de-globalizzazione (è arrivato terzo, con il 17%). Dichiara spesso di essere il protettore del Made in France, e ha proposto un piano di spesa pubblica dal valore di quasi 100 miliardi di euro tra investimenti e riduzione di imposte. È tra le altre cose sostenitore di una profonda riforma delle istituzioni:, riduzione dei deputati da 577 a 350; riduzione dei senatori da 348 a 200, di cui 100 eletti con il metodo del sorteggio, e ritorno al settennato.

I suoi punti di forza: è il più famoso socialista di sinistra e il suo carattere e i suoi discorsi da tribuno piacciono molto a quella parte di elettorato. Se il contesto delle primarie sarà segnato dalla voglia di ritorno ai fondamentali, potrebbe essere il profilo giusto.

Le sue debolezze: la sua campagna è partita in sordina, non avendo molti soldi a disposizione ha evitato grandi manifestazioni, ma questo può costargli in termine di narrazione e dinamica. In più non ha molti appoggi nel partito, se non tra alcuni esponenti molto di sinistra; ci si attendeva una dichiarazione di sostegno di Christiane Taubira, ma per ora l’ex ministro della giustizia non ha ancora chiarito chi appoggerà. La concorrenza di Hamon, che presenta una piattaforma molto simile potrebbe infastidirlo, così come la presenza di Mélenchon al di fuori del campo socialista.

Benoit Hamon: è probabilmente il candidato che incarna la più tradizionale sinistra socialista. In politica da giovanissimo, dal 1993 al 1995 è il primo presidente dei giovani socialisti. Segue tutta una carriera all’interno del partito, dal 2008 al 2012 ne è il portavoce; nel 2012 è eletto per la prima volta deputato, diventa ministro durante la presidenza Hollande, sia nel governo Ayrault che in quello di Manuel Valls. Lascia però il suo incarico all’istruzione dopo qualche mese, in disaccordo con la politica del governo.

Le sue idee: è forse il più ecologista dei candidati socialisti, visto che si definisce social-ecologista, e ha un programma molto sensibile alle questioni ambientali. È critico con la politica della crescita a tutti i costi (ha detto che il tema è come si cresce e non quanto), ha proposto un piano di reddito minimo di cittadinanza che costerebbe intorno ai 300 miliardi e contrariamente a Montebourg considera che il bilancio di Hollande non sia totalmente indifendibile, ma che il Governo avrebbe potuto fare di più dal punto di vista sociale e nell’affermazione di valori democratici. È infine molto aperto sulle questioni di società visto che ha ferocemente criticato il progetto di déchéance de nationalité ed è favorevole alla liberalizzazione della cannabis.

I suoi punti di forza: dei quattro davvero in gara è forse il meno conosciuto, quindi la dinamica con i tre dibattiti ravvicinati prima del primo turno potrebbe attirare l’attenzione sul suo profilo. Profilo che è chiaramente di sinistra: la scommessa è che così come gli elettori di destra hanno espresso il desiderio di destra, la stessa cosa possa accadere con i socialisti.

Le sue debolezze: se è vero che la poca notorietà può dargli una mano, è anche vero che in caso di alta affluenza le persone meno attente alle dinamiche interne al partito potrebbero essere portate a scegliere i candidati più noti. In più, gran parte dei suoi temi sono cavalli di battaglia di Jean-Luc Mélenchon, leader della sinistra radicale e già candidato da indipendente: perché un elettore dovrebbe impegnarsi per Hamon alle primarie, se ha già un candidato da votare al primo turno delle presidenziali?

Vincent Peillon: è deputato al parlamento europeo ed è la vera novità di queste primarie. Sino a una settimana fa nessuno immaginava si sarebbe candidato, visto che dal 2014, anno in cui ha lasciato il governo Hollande, si era praticamente ritirato dalla politica, per dedicarsi all’università di Neuchâtel, in Svizzera, dove insegna filosofia.

Le sue idee: vista l’improvvisazione della sua candidatura (ha dovuto persino regolare un debito di 20.000 euro con il Partito Socialista, per mancati contributi), si sa poco delle sue idee. Quello che si è capito è la sua volontà di difendere il bilancio di Hollande e di rappresentare dunque il candidato dell’unità. Questo atteggiamento ha fatto pensare che in realtà la sua candidatura serva a restringere lo spazio di Valls, che sinora poteva contare sul fatto che la sinistra del partito fosse divisa tra Hamon e Montebourg, mentre l’area governativa potesse contare solo sul suo progetto. È in ogni modo grande sostenitore dell’Europa, per quanto sia uno dei parlamentari europei meno attivi.

Punti di forza: è di sicuro un candidato molto solido dal punto di vista intellettuale, potrebbe dunque ben figurare nei dibattiti. Inoltre potrebbe apparire davvero come l’uomo in grado di unire le diverse anime dei socialisti soprattutto se, come dicono alcuni retroscena, dietro alla sua candidatura c’è la mano di Martine Aubry. Ha in ogni caso un sostegno molto importante: il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, che voterà e farà campagna per lui, è uno dei politici socialisti più amati.

Punti di debolezza: si pone come difensore del bilancio di François Hollande che però non lo ama, avendolo definito “un serpente” per la sua attitudine al tradimento. In più potrebbe scontare l’improvvisazione della sua piattaforma e un’eventuale sua percezione come candidato di fastidio a Manuel Valls piuttosto che davvero interessato a vincere.

Sylvia Pinel: è il presidente del Parti radical de gauche, eletta deputato per la prima volta nel 2007, è stata ministro durante la presidenza Hollande (prima ha guidato il ministero delle politiche abitative, poi quello dell’artigianato) ma ha poi lasciato il governo dopo le regionali del 2015 perché eletta vicepresidente della regione Languedoc-Roussillon-Midi-Pyrénées.

Le sue idee: il programma non circola ancora, avendo deciso di partecipare un giorno prima della chiusura delle candidature. Secondo Libération difenderà dunque le posizioni storiche del suo partito: sostegno all’eutanasia, liberalizzazione della cannabis e attribuzione del diritto di voto agli stranieri. Altra posizione storica del Partito Radicale è una riforma delle istituzioni, oltre alla creazione di un vero governo europeo.

I punti di forza: ha un partito strutturato e con una lunga tradizione di idee riconoscibili e di governo. Se ha deciso di partecipare alle primarie (si era candidata già da indipendente, ma ha cambiato idea) è perché crede che in questo modo le sue idee possano avere più risonanza.

I punti di debolezza: la fretta, anzitutto. Come visto la sua è una candidatura dell’ultimo minuto, e la campagna sarà molto breve. Potrebbe essere quindi complicato mettere in piedi delle proposte innovative.

François de Rugy: è il candidato del partito ecologista, microformazione ambientalista da lui fondata dopo la scissione dei Verdi. È vicepresidente dell’Assemblea Nazionale e deputato dal 2007.

Le sue idee: per ora si conoscono solo le sue proposte in materia di ambiente, per esempio l’obiettivo di arrivare al 100% di energie rinnovabili nel 2050 in Francia. Sul resto, bisognerà attendere qualche settimana.

I suoi punti di forza: non dovendo vincere, come spesso accade con i candidati minoritari, può avere la serenità di spostare il dibattito delle primarie verso ciò che gli sta più a cuore.

Le sue debolezze: non è molto famoso né molto carismatico (l’Obs lo ha definito ecolo-triste), vista la sua preparazione monotematica potrebbe andare fortemente in difficoltà nei dibattiti che saranno di certo incentrati su economia, terrorismo e politica estera.

Jean-Luc Bennahmias: nato nel 1952, è il candidato più anziano. Nasce giornalista e opinionista politico, ma ha poi  intrapreso una lunga carriera nei partiti di sinistra ecologista e di centro (è stato a lungo nei Verdi, poi ha contribuito a fondare il movimento centrista Mo-dem insieme con François Bayrou) oggi è presidente del partito Front Démocrate, da lui fondato.

Le sue idee: il suo programma è abbastanza vago, si definisce socialista-ecologista-libertario, è anch’egli a favore della legalizzazione della cannabis, in materia criminale propone delle misure alternative al carcere, di alzare gli stipendi di alcune professioni statali (sanità e scuola principalmente) e di introdurre un reddito universale di 800 euro.

Il suo punto di forza: verrebbe da dire la simpatia, siccome ha dichiarato di “non essere sicuro di poter vincere”, in realtà queste primarie possono essere una vetrina per il suo piccolo partito.

I suoi punti di debolezza: il programma è vago, e potrebbe finire schiacciato dai candidati più forti in termini di visibilità se non trova il modo di crearsi un personaggio in grado di attirare l’attenzione.

Per scrivere questi brevi profili è stata essenziale la lettura dell’articolo di Libération e della guida abbastanza spiritosa dell’Obs.

2-Un accenno alla situazione François Fillon

François Fillon, che dopo la lunga campagna per le primarie ha leggermente rallentato (questa settimana ha organizzato solo una visita ad un centro ospedaliero) ha passato gli ultimi giorni a difendersi dalle accuse di voler privatizzare gran parte del sistema sanitario. Le critiche, per la verità, erano cominciate ad emergere già durante il dibattito tra i due turni delle primarie, quando Alain Juppé aveva messo in discussione il suo progetto. In breve, la proposta di Fillon prevedeva l’introduzione di una differenza tra malattie gravi e di lunga durata (che sarebbero state coperte dall’assicurazione sanitaria nazionale) e quelle meno gravi, che sarebbero rimaste scoperte (e dunque a carico di assicurazioni private).

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L’immagine è presa dal sito del Monde

 

La polemica è talmente montata che François Fillon ha dovuto eliminare qualunque riferimento al progetto dal suo sito, ed è dovuto intervenire personalmente sulle colonne del Figaro per precisare la sua proposta. Risultato, Fillon ha spiegato che il sistema delle assicurazioni rimarrà uguale “non è questione di toccare il sistema della assicurazioni sulle malattie e ancor meno di privatizzarlo”. Qui trovate un riassunto del Monde che parla di “contorsionismo”, mentre Maxime Tandonnet ha scritto sul Figaro che questa marcia indietro è un errore, e il candidato dei repubblicani farebbe meglio a restare fedele a se stesso anche se, secondo un sondaggio realizzato dal Journal du Dimanche, il 72% dei francesi ritiene che Fillon abbia fatto bene a cambiare idea sulla questione.

Di Fillon e delle sue prospettive parleremo meglio martedì, per oggi è tutto!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, undicesima settimana: Hollande non si ricandida

Undicesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Di cosa parliamo oggi?

1-Hollande non si candiderà. Vediamo perché il presidente, sorprendendo un po’ tutti, ha deciso di non difendere il suo bilancio e non chiedere un secondo mandato ai francesi.

2-Manuel Valls sarà finalmente candidato alle primarie del Partito Socialista? E se sì, quante sono le sue possibilità e i suoi problemi?

1-La decisione di Hollande 

A-I motivi immediati della decisione

Come sapete François Hollande ha scelto di non ricandidarsi alle presidenziali. La decisione è storica, mai era successo che un presidente in carica decidesse di non difendere il proprio operato e chiedere un secondo mandato ai francesi. Giovedì sera, dopo aver convocato una conferenza stampa con pochissimo preavviso, Hollande ha comunicato ai francesi la sua decisione di cui, secondo quanto ricostruito dai giornali nei giorni successivi, nessuno era al corrente, nemmeno i consiglieri dell’Eliseo. Il presidente ha scritto da solo il suo discorso, e ha tenuto tutti in sospeso sino alla fine della dichiarazione.

 

Prima di capire i motivi che hanno spinto François Hollande verso questa decisione va notata una cosa: dichiarare le proprie intenzioni così presto è insolito per il presidente della repubblica in carica. Storicamente le elezioni si tengono ad inizio primavera, e la maggior parte dei presidenti si è sempre dichiarata piuttosto tardi e in maniera poco studiata. Per fare un esempio, Jacques Chirac si ricandidò l’11 febbraio durante una conferenza ad Avignone rispondendo candidamente “sì” alla domanda posta dal sindaco che ospitava l’evento. François Mitterrand si ricandidò a marzo, Nicolas Sarkozy il 15 febbraio. C’è un motivo abbastanza semplice: fare campagna elettorale per chi è al governo può essere piuttosto logorante, visto che in genere le elezioni si giocano sul cambiamento. Entrare in campagna molto presto può tra l’altro essere mal visto dagli elettori: un presidente impegnato per lunghi mesi nelle attività di propaganda dà l’impressione di occuparsi più della sua rielezione che della guida del paese.

 

La decisione di tenere le primarie del Partito Socialista ha senz’altro accelerato i tempi. Così come in Italia, in Francia questo strumento non è disciplinato per legge, adottarle è dunque una scelta autonoma delle formazioni politiche. Ora, sappiamo bene che possono essere uno strumento virtuoso, lo sono state per Prodi, per Matteo Renzi, e abbiamo notato come sulle primarie sta costruendo il suo grande successo François Fillon, che senza questo passaggio con ogni probabilità non sarebbe il candidato dei repubblicani per il 2017. Per Hollande invece hanno rappresentato uno scenario da incubo visti i sondaggi. Il presidente si è trovato di fronte a tre ipotesi: perdere alle primarie, trovandosi da gennaio a maggio praticamente senza alcun potere, potendo addirittura essere costretto a dimettersi; vincere le primarie dopo una campagna molto dura e di pochissimo, dando in ogni caso un segnale di estrema debolezza, perché isolato nel suo partito e senza alcun sostegno di peso viste le divisioni nel governo; in ultimo, non partecipare alle primarie e presentarsi direttamente al primo turno, causando l’esplosione del Partito Socialista e con ogni probabilità una candidatura autonoma della sinistra socialista che mai avrebbe accettato uno scenario del genere.

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La copertina de L’Express di aprile, profetica

B-La lunga crisi del “Président Normal”

Detto ciò, i motivi del fallimento della sua presidenza sono più profondi e lontani nel tempo. Appena eletto François Hollande ha visto la sua popolarità decrescere costantemente, ed è stato subito messo in discussione dalla minoranza di sinistra del Partito Socialista. Questo nonostante le difficoltà dei repubblicani (che allora si chiamavano UMP), in piena crisi a seguito delle accuse di brogli nel congresso del 2012 tra François Fillon e Jean François Copé. Anche durante i momenti più difficili per la Francia come gli attentati, quando il presidente incarna naturalmente l’unità nazionale, la fiducia in Hollande non ha mai superato il 35%.

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La bassissima popolarità di Hollande, secondo un sondaggio TNS

La crisi della presidenza ha probabilmente trovato un punto di non ritorno nel progetto di déchéance de nationalité. Con questo progetto il Presidente aveva dato via ad una revisione costituzionale per inserire nel testo la possibilità di privare della cittadinanza francese i cittadini condannati per i reati di terrorismo. All’interno della maggioranza e del parlamento si è consumato uno scontro tra chi voleva che la disposizione si applicasse solo ai cittadini con doppia cittadinanza e chi, invece, aveva intenzione di estendere la pena indiscriminatamente a tutti. In questo modo la Costituzione francese avrebbe concesso la possibilità alle autorità della Repubblica di rendere apolidi i condannati per reati connessi al terrorismo. Dopo un lungo e durissimo dibattito che ha dilaniato la maggioranza stessa (Emmanuel Macron, all’epoca ministro dell’economia, mentre il Primo Ministro Manuel Valls era all’Assemblea Nazionale a difendere il progetto, è andato in televisione a esprimere pubblicamente il suo dissenso) Il progetto di revisione è stato affossato vista l’impossibilità di raggiungere un accordo.

La proposta e il fallimento della déchéance de nationalité ha avuto un costo politico molto alto. Il ministro della giustizia Christiane Taubira si è dimesso e i toni utilizzati tra gli esponenti della maggioranza hanno creato delle fratture insanabili. François Hollande è parso incapace non solo di unire i francesi, ma addirittura la sua famiglia politica che ha anzi contribuito a disperdere.

C-Il presidente è stato costretto dalla realtà a non ripresentarsi

Nonostante tutto Hollande ha deciso di non candidarsi nelle ultime ore, visto che, come abbiamo analizzato nelle ultime settimane, era sembrato piuttosto propenso a difendere il bilancio della sua presidenza.

Possiamo quindi affermare che Hollande non ha deciso di non ripresentarsi, piuttosto che gli è stato impedito dalla realtà. Il suo bilancio politico è tutt’altro che limpido e positivo. Persino una delle sue iniziative migliori, ovvero il Mariage Pour Tous (i matrimoni omosessuali), è stata foriera di grandissime divisioni ed ha risvegliato una parte dell’attivismo del mondo cattolico che in Francia era politicamente ai margini da tempo, e che ha pesato tantissimo sia nelle piazze che nella scelta di François Fillon come candidato dei repubblicani. La presidenza Hollande ha poi definitivamente allontanato le classi popolari dalla sinistra, da tempo la Francia in difficoltà non vota più per la gauche ed è passata in massa al Front National. Il presidente non è mai stato in grado di tenere unita la sua maggioranza, tanto da dover utilizzare spesso meccanismi di parlamentarismo razionalizzato per legiferare (in particolare l’articolo 49-3, l’equivalente della nostra fiducia), cosa che in Francia è un evento eccezionale.

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Un peso nella decisione l’ha senz’altro avuto il suo entourage: i figli e l’ex moglie Ségolène Royal lo hanno pregato di non sottoporsi ad un’umiliazione personale e politica mai affrontata da un presidente. Infine vanno ricordati i danni causati dall’incapacità di tener fede all’immagine di Président Normal eletto per portare sobrietà all’Eliseo, dopo la presidenza “bling bling” di Nicolas Sarkozy, e invece protagonista di fughe amorose in scooter per andare a trovare le sue varie amanti, e soprattutto di dichiarazioni avventate che hanno distrutto la sacralità della sua funzione. Il punto di non ritorno è stato infatti la pubblicazione del libro “Un président ne devrait pas dire ça” .

Riassunto, per chi arriva adesso (ne avevamo parlato qui): il libro è un’intervista molto lunga (quasi 700 pagine), scritta dai giornalisti del Monde Gérard Davet et Fabrice Lhomme e frutto di un lavoro congiunto tra il presidente e i due giornalisti durato più di quattro anni. Da inizio 2012 Hollande ha incontrato una volta al mese Davet e Lhomme in maniera informale: all’Eliseo, al ristorante, più volte a cena a casa dei giornalisti. Per contratto gli incontri sono avvenuti senza testimoni, interamente registrati (si parla di 60 incontri e più di 100 ore di registrazioni utilizzate) e il presidente non ha avuto diritto di leggere il libro prima della sua pubblicazione. Nel libro Hollande ha insultato e  preso in giro praticamente tutta la classe politica francese: ha detto che la magistratura è “lassista” , che il Partito Socialista deve essere “liquidato” che l’Islam “è un problema, nessuno ne dubita”, che i calciatori sono “dei bambini viziati”  e così via. Ha anche ammesso candidamente di aver autorizzato assassinii mirati, motivo per cui i partiti di opposizione hanno provato a promuovere l’impeachment e la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta. Insomma, un disastro.

Cosa farà adesso? Con ogni probabilità vedremo la sua popolarità crescere nei prossimi mesi, e potrà guidare il paese al riparo da dibattiti televisivi e attacchi quotidiani che sarebbero stati difficili da gestire per un presidente già altamente impopolare. Dopo le elezioni Hollande avrà di sicuro un ruolo nella ricostruzione del Partito Socialista o di quello che ne resterà dopo il drammatico passaggio elettorale di aprile.

2-E adesso?

Non voglio rendere la newsletter troppo lunga che siamo già oltre le 1400 parole, e in ogni caso nelle prossime settimane ci occuperemo di sicuro di cosa sta succedendo a sinistra, archiviata la competizione interna dei repubblicani. Le candidature si chiudono il 15 dicembre c’è quindi ancora un po’ di tempo prima di avere i candidati ufficiali.

Ragioniamo però brevemente di Manuel Valls, che con ogni probabilità sarà candidato al posto di Hollande.

Valls, Primo Ministro dal 31 marzo 2014, nelle ultime settimane aveva aumentato di molto la pressione su François Hollande, dopo che per mesi aveva invece giocato la carta della lealtà, almeno sin quando sembrava scontato che il presidente sarebbe stato ricandidato. Domenica scorsa ha rilasciato una lunga intervista al Journal du Dimanche in cui aveva chiarito di “essere pronto” e a seguito della pubblicazione del libro di Davet e Lhomme aveva in più occasioni preso le distanze dalle dichiarazioni avventate del presidente.

È nella logica che sia candidato: sinora si sono dichiarati disposti a partecipare alle primarie solo candidati che avversano la linea del governo, è dunque normale che un rappresentate della linea governativa partecipi alla competizione interna. La candidatura di Valls ha però due grandi problemi, che avevamo in parte già analizzato nelle scorse settimane.

Il primo è intuitivo: è stato un primo ministro molto contestato e poco incline ai compromessi con la minoranza interna, che ha chiesto e ottenuto le primarie proprio per poter presentare una proposta alternativa a quella incarnata da Valls e Hollande. La campagna delle primarie sarà quindi incentrata sulla critica all’azione governativa, visto che Benoît Hamon e Arnaud Montebourg, i due candidati di peso della sinistra del PS di cui parleremo nelle prossime settimane, sono ex ministri di Hollande che hanno lasciato il governo in aperto dissenso con il presidente e Manuel Valls. Valls potrebbe trovarsi isolato nel difendere il bilancio del presidente:  difficilmente avrà dietro di sé la maggioranza del governo, che dovrebbe rimanere fuori dalla contesa, e non può (almeno al momento) contare su moltissimi appoggi all’interno del partito.

Il secondo problema è che su molti temi può soffrire la concorrenza di Emmanuel Macron: se parliamo di rinnovamento e cambiamento l’ex ministro dell’economia è molto più credibile, Valls ha 54 anni e Macron 39; Valls ha cominciato a fare politica con Michel Rocard sotto la presidenza di Mitterrand nel 1981, Macron sino a 2 anni fa era uno sconosciuto consigliere politico dell’Eliseo; Valls ha già partecipato e perso alle primarie della sinistra del 2011, Macron porta avanti delle idee che non sono state ancora giudicate minoritarie dagli elettori della sinistra francese. Lo spazio cui punterebbe naturalmente Valls in tema di economia è allo stesso tempo già monopolizzato dal giovane leader di En Marche!: la riforma dello Stato in senso più liberale è uno degli argomenti su cui Emmanuel Macron è più credibile, non solo per il suo passato di successo nel privato e per la sua competenza innegabile ma anche per la coerenza del percorso politico. Macron ha infatti lasciato il suo posto di Ministro dell’Economia dichiarando che non c’erano le condizioni per applicare le riforme che aveva in mente per la Francia, apparendo quindi come una persona interessata più alle idee che alla poltrona.

Il miglior discorso della carriera di Manuel Valls, il 13 gennaio 2015

Ciò spingerà il primo ministro a fare una campagna molto repubblicana, incentrata sulla sicurezza e su una visione radicale della laicità. In questi anni Manuel Valls ha costruito una solida piattaforma in tal senso: ha pubblicato più libri sull’identità francese ed il rapporto con le religioni, ha preso posizioni molto dure dal punto di vista della sicurezza e della lotta al terrorismo (Valls ha apertamente sostenuto i sindaci che quest’estate avevano vietato il Burkini sulle spiagge). Ha però più volte detto che in Francia ci sono “due sinistre irreconciliabili”, non in riferimento alla divisione tra il Partito Socialista e la formazione radicale di Jean Luc Mélenchon ma proprio in riferimento al suo partito. Insomma, Valls ha finora avuto un atteggiamento che renderà molto difficile presentare la sua candidatura come capace di tenere insieme una pluralità di posizioni all’interno dei socialisti.

Per oggi è tutto, ci sentiamo, tornando alla normalità, domenica prossima!

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