Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, edizione straordinaria: Les Républicains al voto

Edizione straordinaria di Présidentielle 2017, la newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Di cosa parliamo oggi?

1-Domani si vota al primo turno delle primarie del centro-destra, e la rimonta di François Fillon è compiuta. La domanda a cui risponderanno gli elettori nella giornata di domani non è più chi arriva primo tra Juppé e Sarkozy ma chi arriva al ballottaggio tra Sarkozy, Fillon e Juppé. Una situazione di incertezza poco prevedibile sino a un mese fa.

2-Emmanuel Macron è ufficialmente candidato. Cosa lo aspetta?

3-Marine Le Pen ha aperto il suo comitato elettorale, nella stessa strada dell’Eliseo; altro scandalo in vista di Sarkozy?

1-Le primarie del centro-destra: una sfida a tre

Giovedì sera c’è stato l’ultimo dibattito dei Repubblicani, ieri i candidati hanno tenuto le ultime iniziative e dunque la campagna è chiusa. Per chi arriva ora, ricordo le regole delle primarie, dove il sistema è identico a quello delle elezioni presidenziali: se nessuno dei candidati arriva oltre il 50% dei voti al primo turno i due più votati si sfidano al ballottaggio, un metodo che ricorda il modo in cui noi eleggiamo i sindaci in Italia. Come abbiamo notato nelle ultime settimane la partita è molto aperta; da un duello annunciato Juppé contro Sarkozy si è passati ad una corsa a tre, vista la rimonta di François Fillon. Se ne avete bisogno, nella prima puntata avevo scritto una piccola guida di tutti i candidati. La trovate qui.

A-Cosa dicono i sondaggi?

Premessa obbligatoria (noiosa ma necessaria) che se seguite un po’ l’attualità politica ormai trovate ovunque. I sondaggi sono da prendere con cautela, non prevedono il voto ma fotografano la situazione delle preferenze elettorali in quel determinato momento, con un margine di errore piuttosto ampio (di solito intorno ai 3 punti percentuali). Servono quindi a capire in che senso si sta orientando l’elettore della destra in queste ultime ore. Aggiungerei due ulteriori considerazioni, vista la particolarità delle elezioni primarie. La prima è che quanti che siano i partecipanti (2 milioni, 3 milioni, addirittura 4), le fluttuazioni possono essere abbastanza rilevanti. In un’elezione presidenziale vanno a votare più o meno 35 milioni di persone, 300mila elettori che cambiano idea rappresentano lo 0,8% dell’elettorato: contano pochissimo. Alle primarie, se lo stesso numero di persone cambia idea e l’elettorato è di 3 milioni di persone, in termini percentuali questo vale il 10%: cambia tutto. A ciò si aggiunga che cambiare idea in un’elezione dello stesso partito, dove le divisioni ideologiche non sono così profonde, è molto più facile che in un’elezione presidenziale, dove le differenze sono più nette. Passare da Hollande a Marine Le Pen è un conto, passare da Juppé a Fillon è un altro. Il cambiamento è soprattutto più accettabile, con sé stessi e con gli altri.

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Come potete vedere, rispetto alle rilevazioni di ottobre, questo sondaggio realizzato da Ipsos per Le Monde dà in testa Fillon, anche se di pochissimo. La conclusione che possiamo trarne è che non abbiamo alcuna idea di chi possa qualificarsi al secondo turno. Cos’è successo nel frattempo? Il 30 ottobre avevo scritto questo:

“È vero che con due dibattiti da affrontare e tre settimane di campagna teoricamente la rimonta è possibile, d’altro canto 15 punti e un fisiologico interesse dell’opinione pubblica per il duello Juppé-Sarkozy rendono il compito di Fillon davvero complicato. Possiamo quindi dire che per trasformare la rimonta da possibile a probabile, l’ex primo ministro deve sperare in una serie di errori gravi di Sarkozy più che nelle sue capacità.”

Mi cito anche se va a mio svantaggio: avevo sbagliato analisi. Avevo considerato, come ripetiamo spesso dall’inizio di questa newsletter, che Fillon per recuperare avrebbe dovuto a scalzare l’ex presidente, rivale naturale perché più vicino nei sondaggi, ma che la fan-zone di Sarkozy fosse intoccabile. Questa riflessione si è rivelata in parte vera, perché Sarkozy è rimasto stabile nei sondaggi, a conferma di quanto ci sia uno zoccolo duro sempre pronto a sostenere l’ex presidente. Quello che non avevo considerato è che Fillon, nelle intenzioni di voto, ha convinto moltissimi elettori che si erano espressi per il favorito: Alain Juppé. Ora, che il sindaco di Bordeaux potesse perdere qualche punto era prevedibile, però non ci aspettavamo che il suo elettorato fosse così fragile.

B-Come possiamo spiegare questa rimonta?

Si è evidentemente instaurata una dinamica: più Fillon rimontava nei sondaggi più si riduceva l’immagine di favorito ineluttabile di Juppé. Abbiamo detto che il sindaco di Bordeaux aveva il pregio di apparire come il candidato più serio e presidenziale, e allo stesso tempo capace di battere Sarkozy, inviso a una buona parte dell’elettorato. Ad un certo punto le stesse caratteristiche sono emerse in François Fillon: al 10/12% era penalizzato dall’effetto voto utile, ma al 20% in molti si sono detti che forse valeva la pena provarci, e che dopotutto un voto per Fillon non era un voto sprecato. Insomma, in queste settimane di campagna è venuta fuori la più grande debolezza di Alain Juppé: la difficoltà nel mobilitare.

Infine, Fillon ha avuto il merito di mettere in piedi una chiara e più netta proposta politica. Il discorso radicale sull’Islam, la posizione più dura sugli impegni internazionali della Francia (Fillon sostiene che il suo paese debba uscire o quantomeno ridiscutere la propria permanenza nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), le idee molto liberali in economia, dove ha individuato in Margaret Thatcher il suo modello (di questo parleremo, la destra in Francia non è mai stata liberale, e questo sarebbe un mutamento molto interessante, se Fillon dovesse farcela) magari piacevano già all’elettore di destra, che però era portato dalla razionalità a puntare su Juppé. Ora potrebbe aver trovato un campione più ancorato a destra che lo convince di più.

Altro punto di forza è la grande popolarità nell’elettorato cattolico più disposto a mobilitarsi. Secondo un sondaggio dell’istituto Ifop per il settimanale Pèlerin, tra i cattolici il favorito nelle intenzioni di voto è Alain Juppé, ma Fillon è appoggiato dai movimenti della Manif Pour Tous, la mobilitazione generale contro i matrimoni omosessuali,  che contano migliaia di aderenti e sono stati capaci di organizzare manifestazioni partecipatissime negli scorsi anni. Ora, senza spingersi sino a dire che abrogherà la legge, ormai considerata cosa fatta e parte integrante dell’ordinamento, Fillon dà cittadinanza alle idee più conservatrici di questi movimenti sull’adozione da parte delle coppie omosessuali, e sulla procreazione assistita, essendo contrario ad entrambe. Se, come detto, la partita si gioca tra chi mobilita di più, questi voti possono essere tutt’altro che trascurabili.

C-Come sono messi gli altri due candidati?

Cosa comporta questo per Sarkozy? Seppure la rimonta dell’ex primo ministro è avvenuta ai danni del sindaco di Bordeaux, la dinamica è comunque preoccupante: da un lato Sarkozy potrebbe essere eliminato al primo turno, cosa impensabile sino a pochi giorni fa; dall’altro questa porosità di preferenze tra Juppé e Fillon indica che gli elettori dei repubblicani stanno cercando il candidato migliore per batterlo: se anche dovesse qualificarsi al secondo turno, avrebbe molta difficoltà ad andare oltre il suo zoccolo duro. È anche vero che sinora la sua strategia è stata proprio questa: Sarkozy considera che primo e secondo turno si giocano su due terreni differenti.

E quindi Juppé ha perso? Assolutamente no. Il sindaco di Bordeaux è stato sempre in testa, continua ad essere molto alto nel gradimento dei francesi e incarna alla perfezione la figura presidenziale. Tutto questo non è scomparso, ed è tuttora il favorito. Il problema è che, vista la grande concorrenza, il primo turno potrebbe essere deciso da pochi voti, per cui portare a votare i propri sostenitori è fondamentale. Avendo un tipo di elettorato più eterogeneo e probabilmente meno motivato, in un’elezione molto serrata potrebbe scontarlo. Tutto ciò può farci affermare che, se prima una sua eliminazione al primo turno era considerata tendenzialmente impossibile, adesso non sarebbe un colpo di scena.

Rispetto alla questione di vittorie o sconfitte per pochi voti è doveroso fare un cenno al disastro delle elezioni interne dei repubblicani di qualche anno fa.  Nel 2012 i repubblicani votarono per la presidenza del partito (che allora si chiamava ancora UMP) contesa tra due dei candidati attuali: François Fillon e Jean François Copé. Vinse il secondo di pochissimi voti, e Fillon non riconobbe il risultato, denunciando irregolarità. La storia si è trascinata per mesi, ed è stata risolta alla fine anche con il contributo di Nicolas Sarkozy (che infatti l’ha rivendicato più volte, anche nella dichiarazione finale del dibattito di giovedì). La questione è stata sì risolta, ma ha lasciato sospetti: Fillon ha distribuito migliaia di manuali per evitare truffe ai suoi rappresentanti di lista. È vero che in un’elezione di milioni di persone truccare il risultato è molto difficile, ma in caso di scarti molto piccoli antichi sospetti potrebbero venir fuori. Le primarie sono aperte, non regolate per legge, e affidate alla dirigenza del partito, che ha predisposto più di 10.000 gazebo e uffici elettorali. In Italia il PD lo sa bene, le primarie possono essere un grande boomerang.

2-Macron è ufficialmente candidato alla presidenza della repubblica

La notizia della settimana, come avevamo anticipato, è che Emmanuel Macron si è candidato. Abbiamo quindi il terzo candidato di peso, dopo Jean-Luc Mélenchon (ne avevamo parlato qui) e Marine Le Pen.

Sulla sua scelta e cosa può comportare vi consiglio questa analisi di Serge Raffy, pubblicata dall’Obs. Se invece vi interessa un riassunto dei vari passi che ha compiuto Macron prima della dichiarazione di mercoledì, c’è un articolo del Figaro che può essere utile. Di Macron, ministro dell’economia di Hollande poi dimessosi a fine agosto, ne avevamo parlato in ogni caso qui e qui.

Cosa succede ora? Possiamo individuare tre principali sfide che Emmanuel Macron dovrà affrontare nei prossimi mesi. Una ideologica e due più organizzative. Prima di tutto deve continuare a coltivare le sue posizioni politiche, è vero che finora ha reso delle interviste molto lunghe ai principali settimanali francesi e ha tenuto tre conferenze programmatiche, ma non è abbastanza. Il fondatore di En Marche! è molto solido sui temi economici e di società ma meno su altri: la Francia è impegnata militarmente in Mali, partecipa alla coalizione contro lo Stato Islamico in Siria, ha forze speciali sul terreno in Libia, cosa ne pensa Macron? Oppure, come vede precisamente il rapporto con l’Europa? Sappiamo che è europeista convinto, ma poco di più. Vuole prorogare ancora lo stato d’emergenza in vigore ormai da un anno e che sarà rinnovato dal governo Valls sino alle elezioni presidenziali? Dovrà chiarire tutto questo, anche per rispondere alle accuse di chi lo vede fragile e un po’ vuoto.

Ci sono poi i problemi organizzativi. Da quando il presidente della repubblica francese è eletto con il suffragio universale diretto, la regola è che un candidato, per poter partecipare alle elezioni, deve ottenere un certo numero di firme di rappresentanti eletti negli organi legislativi od esecutivi della nazione. Quindi sindaci, consiglieri regionali, parlamentari europei e così via. All’inizio le firme erano 100, poi negli anni sono state aumentate e sono diventate 500, provenienti da almeno 30 dipartimenti differenti, con un limite fissato in 50 firme per dipartimento. Macron ne ha bisogno, e  la cosa è meno scontata di quanto sembra: l’ex ministro dell’economia non ha un partito, e ha ancora poco personale politico che lo sostiene. La questione è tutt’altro che burocratica, per i candidati minori è sempre stato un problema: se le firme disponibili sono quasi 47.000, non tutti gli eletti sono disposti a sostenere un candidato, diventa dunque molto utile poter contare su un partito che se ne occupi per te. Di queste difficoltà ne sa qualcosa Jean Marie Le Pen che non riuscì a candidarsi nel 1981 proprio per aver mancato questo obiettivo.

L’altro problema sono i soldi: i candidati possono raggiungere un tetto di spesa di 22,5 milioni di euro; Macron ne ha raccolti più o meno 3, ancora pochi per fare una campagna all’altezza. Si calcola che ne servono almeno 10 se non di più e ancora una volta, senza partito la sfida è molto più difficile.

Infine, ciò che secondo me rende la candidatura di Macron interessante: il suo rapporto con il Front National. Macron ha spesso accusato gli altri candidati di essere “cinici”, perché corrono al primo turno per qualificarsi contro Marine Le Pen al ballottaggio, come se fossero rassegnati a questa eventualità (che d’altronde è confermata da tutti i sondaggi, da anni ormai). Il leader di En Marche! ha invece detto chiaramente che è in campo anche per evitare un secondo turno con la presenza di Marine Le Pen. La sua è una posizione quantomeno controcorrente e, al momento, di difficile realizzazione. Però mancano sei mesi alle elezioni, e può succedere ancora di tutto.

3-Notizie sparse

-Marine Le Pen ha inaugurato il suo comitato elettorale a rue Saint Honore, nella stessa strada dell’Eliseo. Ha anche presentato il suo simbolo: una rosa blu con il solo nome di Marine, senza alcun riferimento al partito o al cognome. Non è una scelta casuale.

-Durante il dibattito il giornalista David Pujadas ha chiesto a Sarkozy di commentare le ultime rivelazioni su un suo possibile finanziamento illecito nella campagna elettorale del 2007 da parte di Gheddafi, allora dittatore libico. La storia non è nuova, ma il sito Mediapart ha pubblicato delle nuove dichiarazioni e la cosa sembra essere piuttosto seria. Qui trovate un riassunto e un’infografica del Monde molto chiara, noi ne parleremo in futuro, se la storia dovesse montare.

 

Per oggi è tutto, a lunedì pomeriggio, per commentare i risultati!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, ottava settimana: no, Marine Le Pen non è la Donald Trump francese

Ottava settimana della newsletter sulle presidenziali francesi del 2017, domenica c’è il primo turno delle primarie del centro-destra. Se vuoi ricevere la newsletter sulla tua email puoi iscriverti cliccando qui

Parliamo un attimo di noi: domenica i repubblicani votano per il primo turno delle primarie quindi non serve a niente che io vi invii la newsletter. Avrete dunque il privilegio, a scapito della mia vita privata, di riceverne due: sabato faremo il punto della situazione e lunedì commenteremo i risultati.

Di cosa parliamo oggi?

1-Come potete immaginare la vittoria di Donald Trump è stato l’argomento più dibattuto in settimana: i politici hanno fatto dichiarazioni di rito, tutte rispettose del risultato elettorale, per quanto sorprese; i giornali si sono chiesti come e se uno shock del genere possa avere ripercussioni sulle elezioni del prossimo anno. Vi risparmio le varie reazioni, se vi interessano le trovate in questo video montato dal Figaro.

2-Sono usciti dei sondaggi interessanti sulle primarie dei repubblicani. La partita è apertissima

3-In settimana arriverà forse l’annuncio della candidatura di Emmanuel Macron. Ed è, in parte, un colpo di scena

1-No, Marine Le Pen non è la Donald Trump francese

Quindi dopo Trump dobbiamo aspettarci Marine Le Pen? La risposta non può essere netta, e colgo l’occasione per ricordare che i giornalisti non fanno gli aruspici, ma cercano di raccontare (chi meglio, chi peggio) ciò che vedono. Quindi se leggete previsioni sbilanciate in un senso o nell’altro prendetele per quello che sono: scommesse.

La vittoria di Marine Le Pen alle presidenziali del prossimo anno è molto difficile e Donald Trump non cambia l’assunto. Senza dubbio la tendenza storica è affascinante: prima Brexit, poi Donald Trump infine Marine Le Pen. Un cerchio che si chiude. La storia però non è lineare, né già scritta (e infatti chi immaginava Trump?), per cui prima di vedere movimenti mondiali inevitabili, analizzerei i contesti profondamente diversi in cui questi fenomeni si manifestano. Ne consegue che una sconfitta di Marine Le Pen non necessariamente scongiura un collasso dell’area euro e un arretramento della globalizzazione e allo stesso tempo un suo successo non sarebbe spiegabile solo come parte di una tendenza mondiale, e quindi ineluttabile, non riferita alla realtà francese.

Mi concentrerei su due aspetti fondamentali che, secondo me, allontanano molto i due fenomeni, che pure hanno innegabilmente dei tratti in comune.

A-Il sistema elettorale e politico

I sistemi dei due paesi sono radicalmente diversi: negli Stati Uniti vige un sistema maggioritario a turno unico (qui trovate una spiegazione, fatta bene) che favorisce due partiti principali. Trump si è inserito in questo contesto, ha vinto le primarie di uno dei due partiti principali, ne è diventato il leader e ha quindi giocato le sue carte da candidato tradizionale (contro le élites, certo, ma questo è un altro discorso). Il nuovo presidente americano non ha fondato un partito terzo con l’ambizione di prenderne il posto, ma ha avuto dalla sua uno dei principali e legittimi partiti americani. In Francia invece, il contesto prevede una moltitudine di partiti, e in un certo senso favorisce avventure personali: sono molti i candidati che partecipano al primo turno, perché gli elettori tendono a votare chi sentono più vicino alla propria sensibilità. Così i primi due partiti superano il 20% e generalmente tre/quattro si attestano tra il 10 e il 15.  Se nessuno dei candidati al primo turno raggiunge il  50% (cosa mai successa, sinora) i due più votati si affrontano al ballottaggio.

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I candidati al primo turno delle presidenziali del 2012

Il Front National è dunque da sempre (dagli anni ’70, come il Partito Socialista) presente alle elezioni presidenziali, ma non è mai stato competitivo per la vittoria finale. Il sistema è pensato proprio per evitare fenomeni come quello di Marine Le Pen. Basta guardare le ultime elezioni regionali: il partito ha schierato i migliori candidati possibili in tutta la Francia. Il primo turno sembrava la consacrazione definitiva: tutti i candidati più forti del Fronte erano in testa, addirittura Marine Le Pen e Marion Maréchal (la nipote, astro nascente del partito) con il 40%. Due settimane dopo però, Il FN ha perso tutti i ballottaggi, non riuscendo ad andare oltre i risultati del primo turno. Al momento della verità gli altri partiti si alleano e riescono a contenere i frontisti, evidentemente non capaci di allargare la propria base elettorale, fondamentale in un’elezione a due turni. Con ciò non voglio dire che alle elezioni presidenziali sarà così, anzi credo che questo continuo ostracismo possa portare ulteriori argomenti al Front National; di questo abbiamo parlato la settimana scorsa e ne parleremo nei prossimi mesi. Però al momento il comportamento degli elettori ci dice che il sistema elettorale non favorisce Marine Le Pen.

B-Donald Trump in Francia ha già perso

L’altro aspetto su cui vale la pena soffermarsi è quello del linguaggio. Il marchio di fabbrica di Donald Trump è stato presentarsi come il campione del politicamente scorretto: dire tutto e il contrario di tutto, prendere in giro un disabile, insultare i genitori di un marine morto in servizio perché musulmani, dire di poter avere qualunque donna in quanto personaggio famoso. Detto chiaramente: Donald Trump è un troglodita, e piaceva anche per questo, perché percepito come più vero, più sincero, meno costruito. Il magnate americano è il prodotto più puro della società post-fattuale descritta dall’Economist. Qui c’è una differenza nettissima con Marine Le Pen, che lavora da anni per rendere più accettabile l’immagine del partito.

La sua strategia, detta di dédiabolisation, si basa sull’assunto contrario: la pubblicità a mezzo di dichiarazioni scandalose è ciò che impedisce al Front National di arrivare al potere. Jean-Marie Le Pen, padre di Marine e fondatore del Front National, assomiglia moltissimo a Donald Trump. Per capirci, sostiene sostiene che “ i rom sono come degli uccelli, volano naturalmente” (in francese il verbo voler vuol dire sia volare appunto, che rubare), “Monsieur Ebola può risolvere il problema dell’immigrazione in tre mesi“  e ha dichiarato più volte alla stampa che le camere a gas siano un dettaglio della storia (l’ultima volta un mese fa). E infatti, subito dopo la vittoria di Trump sia lui che i suoi fedelissimi hanno subito fatto capire quanto (a loro modo di vedere) la strategia di Marine Le Pen sia perdente: le elezioni americane lo dimostrano.

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Dal canto loro invece, i sostenitori della leader frontista hanno chiarito alla stampa quanto ripulire il messaggio e eliminare le dichiarazioni fuori posto non sia solo una strategia ma proprio il modo di essere di Marine Le Pen. Funziona? Sì, ma non fino in fondo. Le regionali lo dimostrano e questo sondaggio secondo cui il 55% dei francesi considera l’europarlamentare “razzista” è piuttosto indicativo di quanto sia difficile allontanarsi da stereotipi formatisi in anni di atteggiamenti e dichiarazioni piuttosto spinte.

Per concludere: è vero che il sentimento anti-establishment esiste anche in Francia ma, come sa chi è iscritto a questa newsletter da un po’,  a seguito delle presidenza disastrosa di un “président normal”  i francesi vogliono che qualcuno di serio sia capace di prendere in mano le redini del paese. Lo dicono i sondaggi e lo si percepisce abbastanza. La chiave per l’Eliseo passa da qui, e Marine Le Pen ne è perfettamente consapevole: se, oltre a cavalcare la protesta riuscirà a presentarsi come un politico in grado di garantire l’ordine e di fare gli interessi del suo paese, può giocarsela davvero. In questo senso è interessante notare il continuo riferimento a Charles De Gaulle, non proprio un trumpista della prima ora; intervistata da Tf1 ha detto che per lei l’ex presidente è un modello “anche il generale era accusato di essere fascista o bolscevico, ma la Francia non è né di destra né di sinistra, è la Francia. Non credo di dovermi rivolgere in maniera diversa a un patriota di sinistra rispetto a un patriota di destra. Io parlo in nome del popolo francese”.

Insomma Donald Trump, così come la Brexit, sono coincidenze e fattori esterni molto utili alla retorica del Front National, ma non possono, da soli, rappresentare il punto di svolta di una rincorsa che appare, al momento, piena di ostacoli. Sono due, benvenuti, regali per Marine.

2-Giovedì c’è il terzo dibattito dei repubblicani e domenica il primo turno

Settimana scorsa avevo spiegato come Sarkozy potrebbe essere sottostimato nei sondaggi. Si era detto, infatti, che per i sondaggisti è particolarmente complicato essere precisi nelle previsioni delle intenzioni di voto alle primarie del centro-destra: è la prima volta che si tengono, sono aperte a tutti ed è quindi difficile prevedere in quanti andranno a votare. Il numero di partecipanti può fare un’enorme differenza, perché tra i simpatizzanti del partito Sarkozy è molto popolare, mentre in altri settori dell’elettorato è piuttosto respingente. Il sondaggio che segue è stato realizzato tra il 9 e l’11 novembre, e come potete notare il punteggio dell’ex presidente è sensibilmente diverso a seconda che si intervisti “l’insieme dei francesi” oppure “i simpatizzanti del partito Les Républicains”

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Questo sondaggio è riferito a tutti i francesi intervistati

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Questo sondaggio invece ai soli simpatizzanti della destra

La differenza per Alain Juppé e Nicolas Sarkozy è quindi notevole e la si nota ancor di più nelle rilevazioni che ipotizzano un secondo turno tra i due.

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Il sondaggio è effettuato sull’insieme dei francesi

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Questo sondaggio invece solo sui simpatizzanti del partito

A complicare ancora di più il quadro c’è, come avrete visto, una rimonta abbastanza robusta di François Fillon, che ha evidentemente capitalizzato le buone performance televisive nei dibattiti e nelle interviste in prima serata a cui ha partecipato; in più sta vendendo benissimo il suo libro (si parla di 80.000 copie) e riempie teatri senza difficoltà. Insomma, la sensazione è che i giochi siano aperti, per tutti e tre.

Sabato ne parleremo meglio.

3-Macron potrebbe anticipare l’annuncio della sua candidatura

L’ex ministro dell’economia continua a far parlare di sé, intervistato di nuovo dalla rivista L’Obs ha dettagliato il suo programma aggiungendo un altro tassello alla costruzione della sua candidatura. Alcuni giornalisti hanno fatto notare che potrebbe essere un segnale verso l’atteso annuncio: previsto per dicembre o gennaio, Macron potrebbe comunicare le sue intenzioni già questo mercoledì, un giorno prima del dibattito dei Repubblicani.

Perché? Inizialmente si pensava che Macron volesse attendere il risultato delle primarie, perché con Sarkozy avrebbe avuto più spazio, mentre con Alain Juppé, più centrista e unitario, lo spazio si sarebbe ridotto. Ma una delle forze della sua candidatura è stata la mancanza di riguardo a ciò che pensassero o facessero i suoi avversari politici: dichiararsi mercoledì aumenterebbe ancora di più il suo profilo autonomo. In più, costringerebbe i repubblicani a parlare di lui durante il dibattito di giovedì consentendogli una copertura mediatica gratuita e probabilmente molto proficua. D’altronde dopo le primarie della destra, l’attenzione su Macron si ridurrà inevitabilmente, il vincitore godrà di una grande attenzione e di una grande investitura popolare; la stampa comincerà a chiedersi con insistenza se il presidente Hollande sarà dei giochi o meno.

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Anche questo secondo elemento va considerato. Mentre finora la domanda che ci ponevamo era quanto spazio il fondatore di En Marche! potesse avere a sinistra in caso di candidatura di Hollande, adesso la questione, come nota Guillaume Tabard sul Figaro, potrebbe ribaltarsi: Hollande si candiderà ora che il suo ex ministro è in campo? A ciò si aggiunga un’ultima considerazione: perché le interviste più approfondite vengono rilasciate al settimanale L’Obs? Possiamo immaginare che Macron sia molto amico del direttore, Matthieu Croissandeau, ma con ogni probabilità la risposta è che, tradizionalmente, L’Obs è il settimanale di sinistra più letto del paese, segno di quanto Macron abbia ben presente la parte dell’elettorato a cui vuole rivolgersi.

Oggi è passato un anno dall’attentato al Bataclan e ai ristoranti del X e XI arrondissement. Ho pensato a lungo su come scrivere qualcosa che non suonasse retorico. Quindi dirò solo che ero lì, in una casa a 50 metri dal Petit Cambodge, uno dei ristoranti attaccati dagli assassini, e che ricorderò sempre lo sgomento e poi la grandissima paura. Aver visto così da vicino una cosa del genere è uno dei motivi che mi ha spinto a raccontare quello che sta succedendo in Francia, perché mi riguarda, perché ci riguarda.

Per oggi è tutto, ci sentiamo, eccezionalmente, sabato prossimo!

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