Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, sesta settimana: una buona notizia per Hollande

 

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Sesta settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Di cosa parliamo oggi?

1-C’è una buona notizia per Hollande: la disoccupazione è scesa del quasi 2% a settembre rispetto al mese precedente. I sondaggi però continuano a essere disastrosi: cosa cambia rispetto alla sua candidatura?

2-Giovedì c’è il secondo dibattito del centro-destra. Da tenere d’occhio, oltre a Juppé e Sarkozy, c’è François Fillon, in rimonta.

3-Jean Frédéric Poisson ha combinato un altro mezzo guaio

1-La disoccupazione migliora ma i sondaggi sono catastrofici: che farà Hollande?

È da agosto che la situazione del presidente appare sempre meno chiara. Si candiderà o farà un passo indietro? Se si rileggono i giornali di inizio settembre, François Hollande era in procinto di candidarsi. L’annuncio ufficiale, previsto per dicembre, sembrava essere solo una formalità. Poi abbiamo assistito ai pessimi numeri dell’economia e dell’occupazione, al tradimento di Emmanuel Macron e al grande autogol del libro-intervista: la situazione è diventata tutt’altro che favorevole al presidente, e l’eventualità di presentarsi alle elezioni meno probabile. È cambiato qualcosa questa settimana?

Hollande ha da tempo posto due condizioni per la sua ricandidatura: un miglioramento stabile e sensibile degli occupati, segno dell’efficacia dei suoi provvedimenti, e l’assenza di un’altra personalità  del suo partito in grado di vincere le elezioni. Finora si era verificata solo la seconda condizione: nessuno nel partito socialista sembrava in grado di far meglio del presidente e niente lascia pensare che la situazione possa cambiare nei prossimi mesi. Sul versante occupazione invece, come visto nelle scorse puntate, le notizie erano pessime visto il grande aumento di disoccupati fatto registrare ad agosto.

In settimana, però, c’è stata un’inversione di tendenza: le cifre della disoccupazione sono molto al ribasso, si contano 66300 persone in cerca di lavoro in meno rispetto ad agosto, cioè quasi il 2%. Si tratta, a livello percentuale, del più forte abbassamento della cifra dal novembre del 2000. Tra l’altro, nonostante il picco negativo di agosto, è il terzo trimestre consecutivo in cui la disoccupazione diminuisce (se vi interessa approfondire qui trovate una spiegazione del Figaro, e qui una del Monde), segno che la ripresa, seppur lieve, è in corso. Hollande ha rivendicato i risultati anche attraverso la propria pagina Facebook, e i suoi fedelissimi sostengono che visti i risultati non c’è motivo mettere in dubbio la legittimità della sua candidatura . François Rebsamen, sindaco di Digione ed ex ministro molto vicino al presidente, ha dichiarato a RTL che “Hollande potrà partecipare all’elezione presidenziale se lo desidera. Il suo impegno è stato mantenuto”, viste le cifre positive.

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D’altro canto il presidente non cessa di calare nei sondaggi. Solo il 4% dei francesi giudica positivo il suo operato, e un sondaggio del Figaro realizzato tra il 21 e il 23 ottobre, dieci giorni dopo l’uscita del libro intervista “un président ne devrais pas dire ça”, conferma la tendenza che avevamo osservato nelle settimane scorse: in nessun caso il presidente arriverebbe al secondo turno. Nelle rilevazioni che vedono Macron candidato è addirittura quinto, dietro Juppé (o Sarkozy), Marine Le Pen, Jean Luc Mélenchon e lo stesso Macron.

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La cosa certa è che in caso di candidatura la strategia del presidente sarà difendere con forza il suo operato durante il mandato. Le cifre sull’occupazione possono essere l’argomento che aspettava per avere qualcosa di concreto da utilizzare nei confronti dei suoi avversari.

2-Esiste un piano b?

La risposta al momento è no. E questo come appena visto è uno dei motivi per cui la candidatura di Hollande, seppur non scontata (settimana scorsa si era detto che il presidente non era mai stato così lontano dal ricandidarsi), appare l’ipotesi più probabile. Sono due i nomi più citati dalla stampa francese: il primo, Manuel Valls, è il candidato di riserva da mesi; il secondo, quello di Christiane Taubira, è una novità. Bisogna capire quindi quanto ci sia di concreto dietro queste voci o se siano una semplice suggestione.

 

A-Manuel Valls: in caso di ritiro di Hollande è lui il più accreditato per raccogliere il testimone. A differenza di Macron ha giocato la carta della lealtà: ha chiarito che un uomo di Stato ha delle responsabilità sia rispetto ai francesi sia rispetto al Presidente, che dopotutto l’ha nominato e ha condiviso con lui il percorso politico degli ultimi due anni e mezzo. La posizione è molto apprezzata: Valls è riconosciuto come un servitore dello Stato, leale appunto ma con una sua autonomia ben definita. Non ha mai risparmiato critiche al presidente, soprattutto dopo l’uscita del libro, ha aumentato la frequenza dei suoi discorsi pubblici  e ha cominciato a rivolgersi ai vari candidati del Partito Socialista per convincerli a lavorare intorno ad un nome comune.  In un incontro a Tour, ha fatto quasi un appello “Arnaud (Montebourg), Benoît (Hamon), Aurélie (Filippetti), Emmanuel (Macron), non nego di aver discusso spesso con voi, o di aver avuto dei punti di vista diversi. Ne sono consapevole. Ma prima di questo, cosa ci unisce?  Aver governato insieme nell’interesse del paese e aver condiviso le battaglie per l’uguaglianza e per i nostri valori, i valori della repubblica. Dobbiamo reagire ora per non morire domani”

Lunedì il Primo Ministro ha anche incassato il sostegno del segretario del PS Jean-Christophe Cambadélis, che ha evocato la possibilità di un candidatura di Valls in caso Hollande decida di non presentarsi. I sondaggi però non sono incoraggianti: come potete vedere l’ipotesi Manuel Valls candidato non è competitiva.

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Anche dal punto di vista ideologico il Primo Ministro incontra difficoltà. In questi anni è riuscito a costruirsi una solida piattaforma: ha pubblicato più libri sull’identità francese ed il rapporto con le religioni, ha preso posizioni molto dure dal punto di vista della sicurezza e della lotta al terrorismo. Cosa che ad esempio è sempre mancata ad Hollande, meno capace di elaborare una linea politica precisa e coerente. Il punto però, è che queste idee sono minoritarie all’interno del partito. Valls è sempre stato percepito più come un uomo divisivo che come un federatore: ha più volte detto che in Francia ci sono “due sinistre irreconciliabili”, ha avuto una grandissima opposizione interna sui temi legati alla sicurezza e ha spaccato paese e partito per portare a termine la riforma del mercato del lavoro (dove ha dovuto utilizzare la fiducia, cosa molto rara in Francia). Insomma, se Valls dovesse candidarsi e quindi passare per le primarie avrebbe tutta la sinistra del partito contro. Vincere la competizione interna non sarebbe scontato.

B-Ultimamente sta prendendo corpo un’ipotesi più di sinistra, quella di Christiane Taubira, ministro della giustizia dimessasi a gennaio per divergenze insormontabili col governo. Taubira, che è un esponente del partito radicale, era finita ai margini dopo le dimissioni, ma negli ultimi mesi ha più volte incontrato Hollande, dichiarando di essere una sua sostenitrice. Dopo la pubblicazione di “un président ne devrait pas dire ça” è stato l’unico esponente politico di peso a sostenere pubblicamente il presidente, e i fedelissimi di Hollande non hanno nascosto di aver pronto per lei un posto rilevante nella campagna elettorale del presidente. In settimana c’è stata un’accelerazione: i giornali hanno scritto  di una sua eventuale disponibilità a candidarsi, e sono avvenuti più incontri tra l’ex ministro della giustizia e parlamentari socialisti, probabilmente per parlare di questo. Interrogata a tal proposito da Liberation, Taubira ha ammesso di aver partecipato ad alcuni incontri dove le è stata chiesta la disponibilità, e ha spiegato che effettivamente esiste un certo “fermento” intorno al suo nome, ribadendo allo stesso tempo la sua lealtà al presidente. Che sia lei il piano b di Hollande?

In ogni modo i due piani B convincono poco la rivista L’Obs, che spiega in un lungo articolo perché è praticamente certo che Hollande si ricandiderà.

2-Come arrivano i repubblicani al secondo dibattito

Giovedì si terrà il secondo dibattito dei Repubblicani. I temi, come anticipato, saranno diversi da quelli affrontati nel primo. I candidati risponderanno alle domande di due moderatori su: la loro concezione dell’esercizio del potere;  come intendono portare avanti la lotta contro il terrorismo;  quali impegni immaginano, per la Francia, in politica estera; che visione hanno dell’Europa; come pensano di riformare, se ce n’è bisogno, il sistema educativo. I sondaggi vedono la posizione di Alain Juppé consolidarsi sopra il 40% al primo turno, con Sarkozy costante intorno al 30%. Interessante è la progressione di Fillon, che sembra aver definitivamente acquisito la posizione di terzo, e quindi cercherà in qualche modo di riaprire la partita per essere presente al secondo turno.

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Quali sono le cose da considerare dunque?

A-In primo luogo, ovviamente, lo scontro tra Juppé e Sarkozy, che è diventato più duro nelle ultime settimane. Non tanto nelle dichiarazioni, a dir la verità raramente sopra le righe, quanto in alcune scelte strategiche. Juppé ha iniziato, non a caso, a fare seriamente campagna al sud, in Provenza, dove ha incassato il sostegno del sindaco di Tolone. In Provenza l’ex presidente Sarkozy è tradizionalmente molto forte: nel 2012 è arrivato 32% al primo turno (a livello nazionale 27%), Marsiglia è uno dei suoi bastioni, e in generale la destra è fortissima nella regione: alle ultime regionali il FN ha preso il 40% al primo turno, Les Républicains il 26 e il PS solo il 15%. L’obiettivo del quartier generale di Sarkozy è dunque arrivare a più del 50% nella regione e Juppé, che sa di non essere competitivo, ha intensificato la sua presenza per recuperare qualche punto: libero dall’ansia della rimonta può concentrarsi nelle parti del paese dove è più debole. Ci sono poi due fatti interessanti, che confermano la percezione di presidente in pectore che sembra  trasmettere il sindaco di Bordeaux. In primo luogo, a Marsiglia, Juppé è stato ricevuto dal sindaco (che appoggia Sarkozy) con grandi sorrisi e cordialità quasi come fosse già il candidato dei repubblicani e non il favorito da battere. In secondo luogo, ha deciso di cominciare a passeggiare, scattare selfie e chiacchierare con i passanti in una serie di quartieri difficili (sia nelle periferie delle città del sud che nelle banlieues parigine) cosa che finora aveva evitato, visto che il suo elettorato di riferimento è tendenzialmente borghese.

Christophe Barbier, giornalista dell’Express, spiega i punti deboli della candidatura di Sarkozy

Avevo iniziato la newsletter dicendo che la tendenza dei sondaggi favoriva Sarkozy, ed in effetti andando a riguardare i numeri era così: dall’annuncio della candidatura l’ex presidente aveva compiuto un recupero importante, tanto da risultare plausibile un suo arrivo in testa al primo turno. Cos’è successo dopo la rimonta? Il problema di Sarkozy è che non ha fatto “il botto”: l’ex presidente sperava che la tendenza nei sondaggi continuasse e gli elettori del centrodestra credessero nello storytelling della “rivincita”. Ma una volta esaurita la spinta data dall’annuncio della candidatura e dell’onnipresenza mediatica il suo messaggio si è indebolito. Ha sì galvanizzato la sua “fan-zone” che è cospicua all’interno del partito e arriva sino alla parte più di destra dell’elettorato, attirando anche una fetta di elettori del Front National, ma non è riuscito ad andare oltre. In più, la sua rimonta ha alimentato il mantra”tout sauf Sarkozy” (chiunque ma non Sarkozy) mobilitando (almeno secondo i sondaggi) moltissimi elettori di centro. Queste due tendenze hanno fatto sì che si radicalizzasse il messaggio volto a una piccola parte dell’elettorato delle primarie: “elettore di destra, non lasciare che ti rubino le primarie”. Il messaggio ha un senso se gli elettori sono pochi, se come sembra saranno molti, è rischioso.

B-Fillon, “il terzo uomo” che possibilità ha? L’ex Primo Ministro è stato ospite giovedì dell’émission politique (qui trovate una serie di estratti), e ha fatto un’ottima impressione. È forse il candidato che ha guadagnato di più dal primo dibattito: con una presenza televisiva efficace e seria aveva superato definitivamente uno dei suoi principali handicap, essere visto come il collaboratore di Sarkozy. In più, il suo principale avversario per il terzo posto, Bruno Le Maire, non aveva convinto, ed è immediatamente calato nei sondaggi successivi. L’obiettivo per François Fillon è cercare di recuperare il distacco con Sarkozy: secondo l’ex Primo Ministro i sondaggi si sbagliano (lo ripete sempre) e il suo messaggio, liberale in economia e conservatore sui temi della società, sta cominciando a interessare gli elettori di centro-destra.

È vero che con due dibattiti da affrontare e tre settimane di campagna teoricamente la rimonta è possibile, d’altro canto 15 punti e un fisiologico interesse dell’opinione pubblica per il duello Juppé-Sarkozy rendono il compito di Fillon davvero complicato. Possiamo quindi dire che per trasformare la rimonta da possibile a probabile, l’ex primo ministro deve sperare in una serie di errori gravi di Sarkozy più che nelle sue capacità.

3-Poisson ha chiesto scusa, seriamente. Ma poi ha fatto un altro guaio

Jean Frédéric Poisson, molto criticato settimana scorsa per la sua uscita infelice su Hillary Clinton (ha detto che sarebbe sostenuta dalle lobby sioniste), ha chiesto “perdono” alle persone ferite dalle sue dichiarazioni; il comitato organizzatore delle primarie ha quindi deciso di non sospendere la sua candidatura. Il deputato di Yvelines ha però continuato a sollevare polemiche: dopo essersi impegnato pubblicamente durante il dibattito (lo hanno fatto tutti i candidati) a votare chiunque uscisse vincitore dalle primarie,  intervistato da Lyon People ha detto di non escludere un voto per Marine Le Pen al secondo turno. “Possono succedere tante cose in sei mesi, il programma di società multiculturale portato avanti da Juppé mi convince sempre meno.” La dichiarazione è stata chiaramente molto criticata dall’entourage di Juppé, ma non ha sollevato grandissime polemiche, probabilmente per il peso elettorale limitato del presidente del partito cristiano democratico.

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Per oggi è tutto, a domenica prossima!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017 quinta settimana: chi trae vantaggio dall’autodistruzione di Hollande?

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Quinta settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Di cosa parliamo oggi?

Il lungo libro-intervista a Hollande pubblicato settimana scorsa è con ogni probabilità il colpo di grazia alla candidatura del presidente. Hollande non è mai stato così lontano dal ripresentarsi. Chi ne trae vantaggio? Dalle prime reazioni sembra che ad approfittare direttamente della situazione possano essere Mélenchon e Macron, ultime figure credibili rimaste al centrosinistra (aspettando le mosse di Manuel Valls, attuale primo ministro). In maniera indiretta ne approfitterà anche Alain Juppé: più i due ex presidenti si mettono nei guai (Hollande e Sarkozy sembrano avere un particolare talento nel farlo) più i francesi avranno voglia di qualcuno che “rimetta ordine in casa” come spesso dicono. E gran parte della strategia del sindaco di Bordeaux si fonda sulla credibilità e sull’esperienza.

1-Jean Luc Mélenchon, l’outsider

Mélenchon è il leader della sinistra radicale francese. È nato politicamente nel Partito Socialista, aderendo sin da subito alla corrente più di sinistra. Dopo essere stato ministro dell’istruzione tra il 2002 e 2004 durante il governo di Lionel Jospin, ha rappresentato la minoranza di sinistra sino alla decisione di  abbandonare il partito nel 2008 per fondare il Front de Gauche, unione delle varie anime che compongono la galassia alla sinistra del Partito Socialista. Per il Front de Gauche è stato candidato al primo turno delle presidenziali del 2012, arrivando all’11% e non riuscendo a qualificarsi per il secondo turno. Dagli anni ’70, cioè dalla fondazione del Partito Socialista, la sinistra radicale francese si è divisa in una serie di partiti (Lotta Operaia, Partito Comunista, Lega Comunista) che insieme si sono sempre attestati tra il 10 e il 15% al primo turno, senza però  mai riuscire ad accordarsi per una candidatura unitaria (a quanto pare la tendenza alla scissione non è una patologia solo italiana). Dal 2012, Mélenchon è invece riuscito a rappresentare la sinistra radicale in una lista unitaria ottenendo dei buoni risultati non solo alle presidenziali ma anche alle elezioni locali degli ultimi anni.

Ciò non è bastato a governare città o regioni di un certo peso, e fino a pochi mesi fa Mélenchon era in difficoltà: il partito comunista ha abbandonato il progetto unitario concludendo l’esperienza del Front de Gauche; il Front National è ormai diventato il primo partito tra la classe operaia , tradizionale bacino della sinistra. La situazione disastrosa del Partito Socialista, prevedibile ma non nelle dimensioni raggiunte nelle ultime settimane, rilancia invece le sue ambizioni: sostituire il Partito Socialista e la sua dirigenza come formazione egemone della sinistra. A Lille, dove ha lanciato la sua campagna elettorale settimana scorsa, Mélenchon ha posto con forza il tema dell’unità, rivolgendosi sia ai comunisti che ai socialisti:”ho militato tutta la vita con dei socialisti e con dei comunisti. Certo che mi mancano”.

 

I sondaggi sono particolarmente favorevoli: è considerato il politico che meglio incarna i valori di sinistra, e in tutte le rilevazioni sulle intenzioni di voto al primo turno è dato al terzo posto, con il 15%, dietro Alain Juppé e Marine Le Pen. Solo in caso di candidatura congiunta di Nicolas Sarkozy per il centrodestra e Emmanuel Macron come indipendente, sarebbe quarto. Questo grazie a un posizionamento chiaro: Mélenchon combina la sua volontà di cambiare profondamente il sistema di potere politico francese alla critica feroce dell’economia globalizzata. Con un discorso a tratti speculare a quello del Front National, il suo obiettivo è cercare di rimanere egemone a sinistra nei prossimi mesi, per presentarsi come unica possibilità per raggiungere il secondo turno. Al momento è abbastanza improbabile vedere tutto il centrosinistra francese unito nella candidatura di Mélanchon, ma visto il quadro confusissimo ogni possibilità è da tenere in conto. In questo senso sono interessanti le parole di Jean Christophe Cambadelis, segretario del Partito Socialista: “serve un’alleanza dei socialisti, dei radicali, degli ecologisti, dei sindacalisti e delle associazioni”. Con Hollande praticamente fuori dai giochi sarà difficile per i socialisti trovare una figura competitiva per perdere dignitosamente (forse Valls, ma lo vedremo), e Mélenchon potrebbe diventare il male minore.

2-Macron è in marcia

Emmanuel Macron, di cui avevamo già parlato, continua a intensificare le sue dichiarazioni e i suoi incontri. Come procede la costruzione del suo movimento?

A-Ha rilasciato una lunghissima intervista al settimanale Challenges, dove ha chiarito alcuni punti del suo programma e del suo progetto politico. Ha, ancora una volta, chiarito la sua posizione: “non sono membro del Partito Socialista, ma sono di sinistra. I socialisti non hanno il monopolio della sinistra. Essere di sinistra è una storia, un immaginario politico, delle convinzioni, delle indignazioni, una visione”. Ha inoltre ribadito di non essere ancora candidato, spiegando che la decisione verrà presa tra dicembre e gennaio, probabilmente per conoscere il vincitore delle primarie del centrodestra.

A proposito di centrodestra, c’è un passaggio molto interessante dell’intervista riguardo la figura e le idee di Alain Juppé, favorito alle primarie del centrodestra. Macron ha ammesso di sentirsi vicino al sindaco di Bordeaux su alcuni temi:”non è meno vero che ho con Alain Juppé delle convergenze su quello che dev’essere la vita in società”, e visto che le primarie dei repubblicani sono tra una destra “identitaria e molto conservatrice” à la Sarkozy e una destra “orleanista, liberale, sociale, aperta all’Europa” incarnata dal sindaco di Bordeaux, non è difficile scegliere da che parte stare. Addirittura Juppé viene giudicato come esponente di una “destra progressista”, che guarda al futuro del paese. Questo esternazioni hanno dato vita a speculazioni: è fantapolitica immaginare Macron come primo ministro di Juppé? Al momento sì, ma come detto il quadro è confuso: tra 6 mesi potrebbe essere cambiato tutto e l’ipotesi diventare meno astratta. Per ora rimane una suggestione.

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L’intervista è stata realizzata prima dell’uscita del libro di Hollande, ma Macron mostra di conoscere bene le pratiche dell’inquilino dell’Eliseo quando dice che questa è stata “la presidenza dell’aneddoto”. L’ex ministro dell’economia utilizzerà senz’altro nelle prossime settimane la débâcle di Hollande per sottolineare le sue ambizioni: essere un presidente della repubblica più credibile, più degno della funzione.

B-Il secondo avvenimento degno di nota è stato il discorso che Macron ha tenuto a Montpellier dove, per la prima volta, ha affrontato i temi della laicità e dell’identità francese, legando chiaramente il tutto alla religione islamica. Su questo l’ex ministro dell’economia si gioca molto, sinora aveva evitato di affrontare il tema che è uno dei più importanti della campagna elettorale, probabilmente per sviluppare una piattaforma credibile e ragionata. “Dobbiamo fare in modo che i francesi di cultura musulmana siano più fieri di essere francesi che musulmani” ha chiarito, e bisogna evitare le generalizzazioni perché “Daesh non è l’islam”. Se è vero che per l’ex ministro dell’economia “la religione in Francia non è mai un problema in sé” allo stesso tempo ha sottolineato la necessità di essere implacabili nel sostegno ai “combattenti della laicità, dei diritti delle donne e della repubblica”.

 

In ultimo, secondo Macron è un “dovere morale” accogliere i rifugiati, la Francia deve rappresentare un orizzonte di speranza per chi scappa dalla guerra. Queste parole sono ancora più pesanti se si confrontano alle confidenze di Hollande nel suo libro-intervista. Il presidente aveva detto che in Francia “ci sono più migranti di quanti ce ne dovrebbero essere”, una posizione quantomeno ambigua che ha sollevato grandi proteste da parte del suo partito.

3-Notizie sparse

Settimana scorsa mi ero soffermato sulla buona performance di Poisson al dibattito dei repubblicani, sottolineando come il candidato fosse stato avvantaggiato dall’assenza di domande scomode su alcune sue posizioni estreme, ad esempio il sostegno a Donald Trump. Ecco, ha detto che Hillary Clinton è “sottomessa alle lobby sioniste”, poi si è scusato in modo maldestro dicendo di essere stato frainteso perché non intendeva essere antisemita: “avrei dovuto usare gruppi di pressione al posto di lobby”. Molti hanno fatto notare che invece il suo è un classico caso di “antisemitismo in buona fede”, non per questo meno condannabile. Natalie Kosciusko-Morizet, altra candidata alle primarie del centrodestra, ha scritto una lettera alla commissione che organizza le primarie per chiedere se una posizione del genere sia compatibile con la carta che i candidati hanno firmato. La questione sarà esaminata il 26 ottobre.

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-In uno dei tanti passaggi folli del suo libro-intervista (per chi arriva ora ne abbiamo parlato diffusamente settimana scorsa) Hollande si è lasciato scappare che sono stati fatti degli assassinii mirati, ordinati personalmente da lui ed eseguiti dalla DGSE, l’agenzia di spionaggio francese. Il fatto in sé non scandalizza: operazioni top secret portate avanti dai governi per difendere l’interesse nazionale e conseguire obiettivi strategici esistono da sempre. Ma appunto, le operazioni top-secret. Questo ennesimo scivolone è stato molto criticato da Juppé, che come detto è avvantaggiato dal pressappochismo del presidente. Il sindaco di Bordeaux è stato tra l’altro ministro degli Esteri, oltre che primo ministro. Intervistato da France 2 mercoledì mattina ha detto (a metà tra l’incredulo e l’indignato) “pretendo prima di tutto, anche se credo sia ormai troppo tardi, che il presidente della repubblica assuma la sua funzione in maniera degna. In quanto capo dello Stato non si fanno queste cose, bisogna mettersi in testa che la trasparenza assoluta diventa pericolosa per la sicurezza delle nostre democrazie.”

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

 

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Qui trovate le puntate precedenti.

 

 

 

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, quarta settimana: Hollande sempre peggio, Juppé vince il dibattito Les Républicains

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Quarta settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva anche ogni domenica sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

La settimana è stata intensa, i due argomenti principali sono complessi quindi mi scuserete per la lunghezza. Di cosa parliamo dunque?

1-In settimana è stato pubblicato un lungo libro-intervista a François Hollande. Doveva essere un modo per riavvicinare il presidente ai francesi, rischia di essere la pietra tombale sulla sua eventuale ricandidatura.

2-Il dibattito dei repubblicani: la prima impressione è che da uno scontro a due Juppé-Sarkozy si è passati a Juppé contro “altri”. Durerà?

1-Hollande: un presidente non dovrebbe dire tutto ciò 

Nelle puntate scorse ci si chiedeva se Hollande non avesse già toccato il fondo a causa dei sondaggi terribili e della disoccupazione in aumento. La risposta era no, visto cos’è successo questa settimana. Giovedì è stato pubblicato un libro-intervista molto lungo (quasi 700 pagine), scritto dai giornalisti del Monde Gérard Davet et Fabrice Lhomme. L’intervista è frutto di un lavoro congiunto tra il presidente e i due giornalisti durato più di quattro anni. Da inizio 2012 Hollande ha incontrato una volta al mese Davet e Lhomme in maniera informale: all’Eliseo, al ristorante, più volte a cena a casa dei giornalisti. Per contratto gli incontri sono avvenuti senza testimoni, interamente registrati (si parla di 60 incontri e più di 100 ore di registrazioni utilizzate) e il presidente non ha avuto diritto di leggere il libro prima della sua pubblicazione. L’intervista si intitola “Un président ne devrait pas dire ça”  e ha suscitato molte polemiche, sia per il contenuto sia per lo stile con cui il presidente si è confidato ai giornalisti.

Perché Hollande si è prestato ad un impegno del genere? Possiamo affermare che non è una mossa contingente dettata dalla necessità di migliorare la difficile posizione del presidente: come visto, il progetto è in cantiere da anni; addirittura prima delle elezioni presidenziali, perché le interviste cominciano a inizio 2012 (le elezioni si sono svolte ad aprile). Perché, dunque?  Al settimanale Obs, in edicola in contemporanea con il libro, Hollande ha chiarito le sue intenzioni: spiegare come sono andate realmente le cose durante il quinquennio, “sono il presidente, è da me che i francesi si attendono una spiegazione, la coerenza e anche dei risultati“. Se la decisione è nata quindi molto tempo fa, purtroppo per Hollande le sue conseguenze immediate sono abbastanza disastrose: il libro voleva rappresentare un momento di trasparenza da parte della politica, ma si ha la sensazione di un buon proposito sfuggito di mano. “Un président ne devrait pas dire ça” contiene settecento pagine di contraddizioni, attacchi frontali alla destra, alla sinistra, persino alla magistratura. Se rendere pubbliche confidenze e prese di posizione senza filtro rappresenta sempre un rischio per un politico, in condizioni di tremenda impopolarità il “rischio” può velocemente condurre ad un suicidio politico. Secondo Guillaume Tabard, commentatore politico del Figaro, il libro-intervista è la perfetta sintesi di una presidenza chiacchierona e ciarliera.

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In Francia la funzione presidenziale è praticamente sacra, il presidente è la guida della nazione grazie alla fortissima legittimazione popolare, eletto direttamente ha un rapporto di natura plebiscitaria con il popolo. Rapporto diretto con la popolazione non vuol dire però superficialità; immaginare un presidente a cena con due giornalisti che tra un bicchiere di Bourgogne e l’altro dice che la magistratura è “lassista” e che il Partito Socialista (il suo partito) deve essere “liquidato”, si vanta di essere “il migliore della mia generazione” e prende posizioni molto dure (e inedite) sull’immigrazione “arrivano troppi migranti”, e sull’Islam “è un problema, nessuno ne dubita”, non è il massimo.

François Hollande ha fatto arrabbiare un po’ tutti, anche quelli a lui più vicini. Il Primo Ministro Manuel Valls, uno dei suoi fedelissimi (poi vedremo quanto questa fedeltà sia sincera o interessata, ma è un’altra storia), ha dichiarato durante la sua visita in Canada che in quanto presidente della repubblica “bisogna avere dignità, pudore, bisogna essere all’altezza”. Il segretario del PS Cambadélis, evidentemente abbastanza irritato per le rivelazioni, ha detto a Le Figaro che non condivide l’idea di Hollande sul futuro del partito, spiegando che tutto quello che dichiara il presidente fa parte della strategia per ricandidarsi e non va preso davvero sul serio.

Critiche sono subito arrivate anche dalla destra, che ha approfittato dell’ennesimo assist fornito dal presidente: “Ci chiediamo quand’è che Hollande trovi il tempo per lavorare” ha attaccato la candidata alle primarie dei repubblicani Nathalie Kosciusko-Morizet. Il libro è stato discusso anche durante il dibattito di giovedì sera, a causa di una serie di dichiarazioni in cui vengono tirati in ballo alcuni candidati. Ad esempio, François Fillon, secondo quanto riportato nel libro, avrebbe sollecitato a più riprese l’accelerazione delle procedure giudiziarie a carico di Nicolas Sarkozy. In particolare si sarebbe incontrato privatamente per due volte con il segretario generale dell’Eliseo Jean Pierre Jouyet, per fare pressioni. Alla domanda rivoltagli dalla moderatrice, Fillon ha risposto che “Hollande non solamente è inefficace e incompetente, ma è anche un manipolatore. Ho vergogna per il mio paese che il presidente della repubblica si presti a dare credito a delle accuse così mediocri.”

C’è stato spazio anche per una polemica con Nicolas Sarkozy. Nel libro Sarko viene deriso per la sua bassa statura “Abbiamo avuto il piccolo Napoleone, e ora abbiamo il piccolo De Gaulle. Credeva di salvare la Repubblica, ma ha ceduto alla tentazione dell’estrema destra”. Se da un lato Hollande ha comunque chiarito che in caso di secondo turno Sarkozy-Le Pen voterebbe per i repubblicani, ha criticato più volte la passione per il lusso dell’ex presidente e i suoi modi di fare esagitati. Sollecitato a tal proposito durante il dibattito, Sarkozy ha risposto in maniera moderata ma netta, chiedendo fino a che punto Hollande si spingerà nello “sporcare e distruggere la funzione presidenziale”.

Insomma la candidatura di Hollande è sempre più in bilico, considerati anche i sondaggi che lo vedono battuto da Montebourg al secondo turno delle primarie del Partito Socialista.

2-Com’è andato il dibattito del centro-destra?

Il dibattito dei repubblicani è stato molto lungo, con un taglio decisamente tecnico almeno nella prima parte, e sostanzialmente privo di colpi di scena. Qui trovate un video con i momenti salienti 

a-Chi ha vinto? Nessuno in particolare, e questo, come abbiamo visto settimana scorsa, va a vantaggio di Juppé.  Il giorno dopo tutti i principali commentatori erano d’accordo: l’ex primo ministro  ha affrontato senza troppe difficoltà la serata di giovedì, apparendo il candidato più “presidenziale”. Il sindaco di Bordeaux è riuscito a creare una situazione paradossale: tra i candidati solo Sarkozy ha esercitato la più alta funzione politica per cinque anni e non Juppé. Eppure si è avuta la netta sensazione del contrario: Sarkozy è sembrato uno sfidante, non un ex presidente della repubblica. Questa sensazione, unita alla buona performance degli altri cinque candidati, ha contribuito a ridimensionare l’immagine di uomo esperto dell’ex presidente. Juppé al contrario è sembrato molto a suo agio nel ruolo di futuro presidente, non ha mai cercato la polemica ed è riuscito a utilizzare la sua posizione di favorito nei sondaggi per accreditarsi come uomo al di sopra delle parti. Il gran numero di telespettatori è un buon segnale: più grande è la platea di elettori più è favorito. Anche Jean François Copé ha avuto un buon successo (il 29% dei telespettatori ha apprezzato la sua performance), seppure il suo ritardo nei sondaggi (è dato tra l’1 e il 2%), appare difficile da colmare.

b-Ha fatto bene all’immagine del partito? Sì, e forse è la notizia migliore della serata per Les Républicains. Nessun candidato è stato troppo aggressivo, alla fine tutti si sono detti contenti nelle interviste a margine e il dibattito nel complesso è parso sobrio sia nei contenuti che nei toni. Rispetto allo spettacolo a tratti desolante della lunga campagna elettorale statunitense, i francesi hanno assistito a un dibattito più politico che cinematografico. I sette candidati hanno parlato per 2 ore e mezza di politica, dividendosi (ma nemmen troppo) sulle soluzioni ai problemi del paese, cercando di evitare toni sopra le righe e colpi bassi a livello personale. In più il plateau era di alto livello: un ex presidente, due ex presidenti del consiglio, tre ministri. Il numero dei telespettatori è stato più alto di quello del dibattito dei socialisti: 5,6 milioni e 26,3% di share contro  4,9 milioni e 22% di share del Partito socialista nel 2011.

c-Chi è andato peggio? Con ogni probabilità quello che è andato peggio è Bruno Le Maire, un po’ per suoi errori un po’ perché due avversari in particolare gli hanno rubato la scena. Da un lato il suo competitor più diretto per il terzo posto, François Fillon, è sembrato più competente e audace sul piano economico: ha ferocemente criticato Hollande e soprattutto mostra di essersi affrancato dal ruolo di “collaboratore di Sarkozy”, uno dei suoi grandi handicap (è stato Primo Ministro durante i 5 anni di presidenza Sarkozy). Vedremo se queste impressioni si traducono in un rialzo nei sondaggi. D’altro canto Le Maire, rispetto al suo cavallo di battaglia, il rinnovamento, è stato superato da Natalie Kosciuscko-Morizet che è apparsa più credibile. Non certo una disfatta totale, perché come detto la sfida è stata molto equilibrata, ma è stato l’unico candidato apparso danneggiato, cosa che ha sportivamente riconosciuto.

d-Cos’è mancato? Il dibattito si è sviluppato attorno a tre temi principali: economia, sicurezza e identità francese. Due argomenti sono mancati: l’Europa e l’affaire Bygmalion. Quest’ultimo mai citato dai candidati (per chi arriva adesso ne avevo parlato brevemente nelle settimane scorse). L’Europa sarà uno dei temi dei prossimi dibattiti (ne sono in programma altri due, più un terzo che avrà luogo tra il primo ed il secondo turno), mentre con ogni probabilità i candidati hanno evitato di affrontare i guai giudiziari di Sarkozy perchè dopotutto l’affaire Bygmalion mette in cattiva luce tutto il partito e non solo l’ex presidente della repubblica. L’unico momento di tensione è stato quando Le Maire ha chiesto di rendere pubblica la fedina penale a tutti i candidati e Fillon ha domandato ironicamente: “immaginate De Gaulle rinviato a giudizio”? La provocazione è stata gestita abbastanza bene da Sarkozy.

e-L’unica  vera sorpresa è stata Jean Frédéric Poisson, presidente dell’unione cristiano democratica, di cui trovate qui la descrizione insieme con gli altri 7 candidati. Poisson, unico non iscritto al partito Les Républicains, era quasi sconosciuto al grande pubblico e quindi ha suscitato un grande interesse (durante il dibattito il suo nome è stato il più cercato in Francia su Google). Ha ottenuto il  37% di opinioni favorevoli subito dopo il dibattito ed è sembrato piuttosto a suo agio e per nulla intimidito dalla notorietà dei suoi avversari. Si è distinto per le sue posizioni poco allineate agli altri (vuole abolire i matrimoni gay, ma si è detto contrario al divieto dei Burkini), e per sua fortuna non è stato costretto ad approfondire temi su cui ha posizioni piuttosto estreme: è famoso per la sua posizione di sostegno ad Assad e a Donald Trump, ritiene l’Islam non compatibile con la repubblica, è molto conservatore sui temi della famiglia. Può diventare ministro in caso di vittoria del centro-destra alle presidenziali? Questa è la domanda circolata sui social e sui giornali tra venerdì e sabato.

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Detto ciò, quanto possono essere determinanti i dibattiti? Poco, la storia insegna che le tendenze dei sondaggi difficilmente vengono invertite dai dibattiti, semmai confermate. Hollande era in vantaggio prima dei dibattiti alle primarie del PS nel 2011 e poi ha vinto; Bersani era in vantaggio rispetto a Renzi alle primarie del PD del 2012 e poi ha vinto. Insomma non dovrebbe cambiare molto. Certamente però, i dibattiti costituiscono una grande vetrina per due motivi: il partito ne esce molto rafforzato sia economicamente (d’altronde si paga 2 euro per votare e in due turni ci si aspettano 7-8 milioni di persone) che politicamente (oltre che del libro di Hollande in Francia al momento non si parla d’altro); sono poi un’occasione per i candidati più piccoli: grazie alla grande audience è facile farsi conoscere meglio dal grande pubblico, e utilizzare la notorietà acquisita in futuro. Per esempio, Manuel Valls con il suo 5% alle primarie PS del 2011 è stato prima ministro dell’interno e poi Primo Ministro. Per molti (specialmente Le Maire e Natalie Kosciusko-Morizet per ovvie ragioni d’età) c’est ne qu’un début.

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

Qui trovate le puntate precedenti.

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