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Di cosa parliamo oggi?
1-Emmanuel Macron ha ricevuto il sostegno di Manuel Valls. Perché questa scelta?
2-Mélenchon continua a salire nei sondaggi, ora è al 15 per cento e minaccia addirittura la terza posizione di Fillon;
3-A proposito di Fillon, al candidato repubblicano mancano 10 punti percentuali rispetto all’elettorato 2012 di Nicolas Sarkozy. Per chi votano queste persone?
1-Valls vota per Macron ma non lo sostiene
(chi ha letto il mio post su Facebook di mercoledì può andare al punto 2 senza perdersi granché)
Manuel Valls, che è stato primo ministro di Hollande dal 2014 sino al dicembre 2016, è il rappresentante della destra socialista, ed è stato sconfitto da Benoît Hamon alle primarie del Partito Socialista che si sono svolte a fine gennaio, ha dichiarato che voterà per Emmanuel Macron fin dal primo turno.
La sua scelta ha sicuramente delle motivazioni sincere. Manuel Valls è davvero convinto che il Front National sia “alle porte del potere” come ripete ormai da anni, e che ci sia bisogno di alleanze straordinarie per fermarlo; una scelta del genere è poi coerente con le sue idee, molto più vicine a quelle di Macron che a quelle di Hamon, più volte definito “settario” e “fuori dalla realtà”. Infine, Valls detesta personalmente Hamon (lo ha definito “microbo” in privato), e non ha dimenticato che il candidato ha passato due anni e mezzo all’Assemblea Nazionale cercando di sabotare il suo governo, contro cui ha anche firmato e promosso una mozione di sfiducia.
I motivi sono però più profondi, e di questo è consapevole anche Macron, che ha convocato una conferenza stampa il martedì proprio per anticipare la dichiarazione di Valls, avvenuta mercoledì, fissando tre regole per il post presidenziali, cucite su misura per l’ex primo ministro. Primo: chi si candida con me lo fa sotto il mio simbolo, con la mia maggioranza presidenziale; secondo: nessuno al governo che sia già stato ministro, tranne il capo del governo che avrà esperienza politica; terzo: i sostegni valgono un voto, non un’investitura alle legislative.
Tra Valls e Macron non corre buon sangue, visto il grande scontro che hanno animato quand’erano primo ministro e ministro dell’economia: Macron era quasi riuscito a portare a casa la riforma che porta il suo nome con una maggioranza trasversale all’Assemblea Nazionale ma Valls, per evitare il successo del suo rivale interno, scelse il ricorso al 49.3, cioè la questione di fiducia, facendo cadere gli emendamenti comuni e approvando la legge così com’era, senza compromessi, mandando su tutte le furie l’inquilino di Bercy.
Quando martedì, alla conferenza stampa, ho chiesto a un deputato vicino a Macron come avrebbero gestito il sostegno di Valls mi ha risposto “ma Manuel e Emmanuel sono molto amici, non c’è nessun problema”. Momento di silenzio e poi risate sia sue che dei giornalisti che stavano ascoltando, “dovreste prendere più sul serio i vostri interlocutori” ha scherzato prima di rientrare al QG.
Con ogni probabilità quindi Valls non sarà candidato con En Marche! anche perché la prima reazione del Partito Socialista, nelle parole del suo segretario, Jean Christophe Cambadélis è stata di “tristezza per la scelta” condita da “un appello alla calma”, ma senza alcun riferimento ad un’eventuale espulsione.
Perché questa scelta, allora? La scommessa di Valls è che Macron sarà eletto presidente della Repubblica, ma non avrà una maggioranza solida all’Assemblea Nazionale, motivo per cui un gruppo social-liberale da lui guidato potrebbe rivelarsi preziosissimo, sia in Parlamento che al Governo. Insomma Valls, dopo aver archiviato definitivamente la (breve) avventura di Hamon, ormai quinto nei sondaggi e autore di una campagna elettorale poco entusiasmante, sta cercando di sabotare il progetto politico di Macron, votandolo, ma scommettendo sul suo fallimento quando dovrà formare la maggioranza parlamentare. A completamento di quest’analisi basta vedere la dichiarazione di Didier Guillaume, presidente del gruppo socialista al Senato e direttore della campagna di Valls alle scorse primarie, che ha chiarito che i vallsisti si candideranno in autonomia, ma con “vocazione” a governare in una maggioranza con Emmanuel Macron.
2-La dinamica di Mélenchon continua
Il candidato della France Insoumise è il candidato che più ha guadagnato nei sondaggi nelle ultime settimane. Jean-Luc Mélenchon, per chi non lo conoscesse, è il leader della sinistra radicale francese. Dopo essere stato uno degli animatori del trotzkismo francese nei primi anni ’70, entra nel Partito Socialista attirato dal progetto politico di François Mitterrand. Ministro dell’istruzione tra il 2000 e 2002 durante il governo di Lionel Jospin, ha rappresentato la minoranza di sinistra del socialismo post-Mitterrand sino alla decisione di abbandonarlo nel 2008 per fondare il Front de Gauche, unione delle varie anime che compongono la galassia alla sinistra del Partito Socialista. Per il Front de Gauche è stato candidato al primo turno delle presidenziali del 2012, ed è candidato anche ora ma in autonomia, sostenuto dal Partito Comunista francese.
Quando il primo febbraio l’istituto IFOP ha cominciato il suo “rolling-poll” in collaborazione con Paris Match, cioè la pubblicazione di un sondaggio quotidiano per registrare le oscillazioni e le tendenze delle intenzioni di voto, Mélenchon era stimato al 9 per cento ma scontava la grande attenzione mediatica riservata a Benoît Hamon, che aveva appena vinto le primarie e raccoglieva il 18 per cento delle intenzioni di voto. Dopo un fisiologico riavvicinamento tra i due candidati di sinistra, due settimane fa è successo qualcosa: il 17 marzo Mélenchon ha tenuto un grande comizio in Place de la Bastille, la piazza storica della sinistra francese, e soprattutto ha partecipato al dibattito tv, risultando molto efficace e a suo agio. E infatti la curva nei sondaggi si è invertita, come potete notare il leader della sinistra radicale distanzia Hamon di cinque punti ed è protagonista di una progressione che a questo punto minaccia persino la terza posizione di François Fillon.

Come c’è riuscito? Innanzitutto Mélenchon beneficia del disastro che in questo momento rappresenta il Partito Socialista in sé, dilaniato dalle lotte interne e portatore di un bilancio, quello di François Hollande, complicatissimo da difendere. La campagna poco entusiasmante di Benoît Hamon, di cui abbiamo già parlato in questa puntata, ha dato il colpo di grazia all’immagine dei socialisti e reso Mélenchon il vero campione della sinistra, che per ora perde, ma quantomeno perde bene. Infine, e probabilmente cosa più importante, Jean-Luc Mélenchon, come Marine Le Pen, è alla sua seconda campagna presidenziale e parte da un ottimo risultato: nel 2012 raccolse l’11,1 per cento, una percentuale di tutto rispetto soprattutto vista la campagna di François Hollande, molto a sinistra e facilitata dalla volontà di farla finita con Sarkozy.
La scelta di dove e quando organizzare le riunioni pubbliche, di come dosare le energie e utilizzare la possibilità data dalla televisione per crever l’écran, “bucare lo schermo”, è fondamentale per chiudere la campagna in crescendo puntando, stavolta, sulla capacità di rassicurare piuttosto che sulla postura protestataria per cui era famoso anni fa: “Jean-Luc è più forza tranquilla che rumore e furore adesso” ha spiegato all’Obs Eric Coquerel, uno dei suoi principali sostenitori; “Sono più filosofo che mai e meno impetuoso, la conflittualità ha mostrato i suoi limiti e io ho 65 anni, l’età ha avuto un’influenza su di me” ha detto oggi in una lunga intervista concessa al JDD.
3-Dove sono andati a finire gli elettori della destra gollista?
Nel 2012 Nicolas Sarkozy ha perso le elezioni ma di poco e con un risultato al primo turno che oggi gli invidierebbero tutti: il 27,1 per cento. Oggi François Fillon, che ha strappato la candidatura alle presidenziali eliminando proprio Sarkozy al primo turno delle primarie, è stimato intorno al 17 per cento, punto più punto meno: dove sono finiti i quasi dieci punti che gli mancano?
Secondo i dati elaborati dal sondaggista Yves-Marie Cann su una serie di sondaggi del suo istituto, Elabe, dal 14 al 21 marzo, solo il 52 per cento degli elettori dell’ex presidente francese è disposto a votare per il suo ex primo ministro, mentre l’altro 48 per cento è diviso tra Emmanuel Macron (18 per cento), Marine Le Pen (12 per cento), gli altri candidati (12 per cento), più un 5 per cento tra scheda bianca e astensione. Insomma il 43 per cento di chi ha votato Sarkozy nel 2012 ha intenzione di votare per il candidato di un altro partito nel 2017.

I dati forniti da Cann evidenziano due grandi spaccature tra l’elettorato di Fillon e quello di Sarkozy. La prima è generazionale, e ce se ne può rendere conto semplicemente andando a guardare un comizio di Fillon. Al di sotto dei 50 anni solo un terzo dell’elettorato sarkozysta è ancora disposto a votare il candidato post gollista, cifra che sale alla metà tra i 50 e i 65 anni e raggiunge il suo massimo, con il 68 per cento, tra gli elettori con più di 65 anni. Fillon è molto solido negli over 65 soprattutto perché rappresentano l’elettorato storico repubblicano, ma anche perché i profili dei suoi principali avversari sono a loro volta respingenti: Emmanuel Macron parla di un futuro che i pensionati non comprendono e può risultare poco esperto e arrogante; Marine Le Pen sconta il passato del suo partito, percepito come un pericolo e come una parte vergognosa della storia di Francia. Sono infine impauriti dalle sue proposte radicali sull’Europa che rappresenta ancora una grande conquista per chi è nato nell’immediato dopoguerra e ha toccato con mano i suoi benefici.
Questo atteggiamento mi ha fatto molto riflettere su Brexit, dove invece è stato determinante il voto degli anziani mentre i giovani hanno votato in massa per rimanere in Europa: in Francia il 30 per cento dei giovani che vota per la prima volta è per il Front National che è rigettato dai pensionati (in totale solo il 16 per cento dei pensionati dichiara di voler votare per Marine Le Pen, secondo l’ultimo sondaggio IFOP). È un punto in più che va considerato nelle analisi sull’internazionale populista che si starebbe formando in giro per il mondo: ogni paese ha il suo particolare movimento sovranista/populista con le sue specificità e le sue ragioni, ridurre tutto in un unico calderone è un errore che non aiuta a comprendere il fenomeno, secondo me.

Il comizio di Tolone, dove sono andato venerdì: cercate qualcuno con meno di 65 anni
L’altra grande spaccatura, che riflette in parte quella generazionale, è dettata dalla sociologia elettorale. Come vedete dal prossimo grafico, Fillon raccoglie i due terzi dell’elettorato Sarkozysta già in pensione, ma è in difficoltà con i CSP+, cioè la classe media (42 per cento) e crolla tra i CSP-, cioè le classi popolari composte da impiegati meno qualificati e operai, con il 33 per cento.

Come si posizionano questi elettori nei confronti di Emmanuel Macron e Marine Le Pen?
Come può essere abbastanza intuitivo, Macron va molto bene nella classe media, dove convince il 28 per cento degli elettori ex sarkozysti, e nel voto giovanile, visto che parla al 32 per cento degli elettori under 35 che scelsero Sarkozy nel 2012, mentre Marine Le Pen ottiene un buon risultato nelle fasce più popolari con il 25 per cento e batte Macron nella fascia d’età compresa tra i 50 e i 65 anni con il 19 per cento contro il 15. Ciononostante, come potete notare, il leader di En Marche! non è così distanziato nelle categorie popolari, essendo solo 5 punti dietro alla candidata del Front National, ma è molto in vantaggio tra i giovani e nelle classi medie. Insomma Macron ha un fortissimo ascendente sulla parte più aperta e agiata dell’elettorato di Nicolas Sarkozy, confermando, in parte, chi vede in lui un profilo non poi così distante dall’ex presidente, che d’altronde ha più volte invitato l’ex ministro dell’economia a lavorare per lui (senza risultato).

Le difficoltà di Fillon in questi segmenti più contendibili dell’elettorato si spiegano sicuramente con il PenelopeGate, ma ciò non è sufficiente. Il punto è che ormai la campagna si sta strutturando sui due progetti di società, radicalmente alternativi, che propongono Marine Le Pen ed Emmanuel Macron, a loro agio in uno scontro forze del bene contro forze del male, a seconda di come la si pensi. L’ho già scritto: Le Pen e Macron si sono scelti, gli argomenti dell’uno danno forza alle ragioni all’altro e i sondaggi che li vedono appaiati in testa completano il quadro. In questo contesto Fillon ha difficoltà a posizionarsi, perché si trova incastrato tra i due e non riesce più a far passare il messaggio di forte rottura che contiene il suo programma, cioè grande riduzione della spesa pubblica attraverso tagli di spesa strutturale e diminuzione dei funzionari pubblici (la famosa proposta di sopprimere 500mila posti nella pubblica amministrazione).
Consapevole di questo il candidato repubblicano ha introdotto un nuovo tema che sarà molto importante nelle prossime settimane: “sono l’unico candidato in grado di vincere le legislative e quindi governare una volta eletto presidente, mentre gli altri non ne sono in grado”. Domenica 9 aprile è previsto un grande meeting a Parigi, a porte de Versailles, dove schiererà dietro di sé i 577 candidati investiti dai repubblicani e dai centristi che si presenteranno alle elezioni legislative. Il messaggio sarà piuttosto chiaro.
Il personaggio della settimana
Alexis Corbière è il portavoce di Jean-Luc Mélenchon e uno dei suoi strateghi più importanti, è molto bravo in televisione ed è uno degli artefici del grande recupero del suo candidato. È vero che le elezioni presidenziali sono l’incontro tra un uomo e il suo popolo, come diceva de Gaulle ma per un candidato è importantissimo avere consiglieri all’altezza e persone in grado di difendere le loro idee in televisione.
Infine, alcune informazioni di servizio. Da lunedì scorso la mia newsletter è pubblicata interamente su IL-idee e lifestyle del Sole 24 Ore, che ha deciso di scommettere su questo piccolo progetto editoriale. Insomma: viva la newsletter! Per chi vuole, mercoledì sono a Napoli al Chiajatime a via Bausan 17, a parlare (novità!) di elezioni francesi.
Consigli di lettura
-Su Mediapart due economisti analizzano la crisi del modello di democrazia francese, in difficoltà per l’assenza di un blocco sociale dominante e omogeneo. Grazie a Giovanni per la segnalazione;
–Una lunga intervista al filosofo Alain Finkielkraut che critica il dibattito pubblico semplificato intorno all’idea populismo e sovranismo contro progresso e mondializzazione;
-L’astensione può giocare un ruolo fondamentale nel voto del 23 e 7 maggio. Un fisico ha analizzato la possibile incidenza dell’astensione in favore di Marine Le Pen. Grazie all’utente Twitter Jack P. e Francesca per la segnalazione
I grafici del terzo punto di questa newsletter sono stati elaborati da Yves-Marie Cann, nel suo articolo su Medium.
Per oggi è tutto, a domenica prossima!
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