Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, edizione straordinaria: i socialisti al voto!

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Di cosa parliamo oggi?

1-Domani c’è il primo turno delle primarie del Partito Socialista. Analizziamo le ultime notizie e gli ultimi sondaggi, la partita è davvero aperta

2-Il 19 gennaio è stato pubblicato un sondaggio molto accurato sulle intenzioni di voto al primo turno delle presidenziali, Marine Le Pen è in testa e François Fillon in flessione: lo commentiamo insieme.

1-Le Primarie del Partito Socialista

Come sapete, domani i socialisti voteranno per il primo turno delle primarie. I seggi saranno aperti sino alle 19, e conosceremo i primi risultati reali in un paio d’ore. È molto difficile prevedere l’affluenza, secondo un sondaggio Elabe pubblicato mercoledì i partecipanti dovrebbero superare i due milioni. È sufficiente? L’ho chiesto al direttore dell’Istituto Ipsos, Brice Teinturier, che mi ha spiegato che con due milioni e mezzo di partecipanti i socialisti potranno dire di aver raggiunto la partecipazione di cinque anni fa alle primarie che vinse François Hollande, e dunque rivendicare un risultato “onorevole”. Se però l’affluenza dovesse essere inferiore ai due milioni, il PS andrebbe incontro ad un “fallimento colossale”, sia dal punto di vista economico che politico. 

Gli unici dati certi che abbiamo sinora sono quelli dei dibattiti: l’ultimo confronto televisivo, andato in onda giovedì sera su France 2, è stato guardato da 3,1 milioni di telespettatori (15% di share), 2 milioni in meno rispetto al terzo dibattito delle primarie della destra. Gli altri due dibattiti erano stati seguiti da 3,8 milioni (giovedì scorso) e 1,7 milioni (domenica sera). I francesi dimostrano un minore interesse rispetto alle primarie della destra ma, visti i contesti e le prospettive differenti in cui si sono svolte le due consultazioni, non è una sorpresa. Una visione più ottimistica della partecipazione viene invece registrata da un sondaggio Ifop realizzato per il Figaro (di seguito l’infografica).

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È interessante soffermarsi sulle due motivazioni date dagli elettori per spiegare la loro partecipazione: il 49% degli intervistati risponde che voterà perché si sente vicino ai valori di sinistra mentre il 48% andrà a votare perché gli viene data l’occasione di scegliere il prossimo Presidente della Repubblica. È questa la chiave delle primarie di domenica: se gli elettori di sinistra voteranno per chi credono abbia più chance di competere alle presidenziali o addirittura vincere, allora dovrebbe essere avvantaggiato Manuel Valls, visto il suo profilo di uomo di Stato e i suoi migliori risultati nei sondaggi; se invece sceglieranno in base alla loro sensibilità politica, designando il candidato capace di rappresentare al meglio i valori di sinistra, il vantaggio sarà di Hamon e Montebourg. Un’indicazione interessante su questa tendenza la forniscono da un lato gli ultimi sondaggi, dall’altro le rilevazioni effettuate subito dopo i dibattiti: la dinamica di Benoit Hamon raccontata la settimana scorsa è confermata.

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Come vedete da questo sondaggio di Elabe (pubblicato il 18, quindi prima dell’ultimo dibattito), Valls e Hamon sono a pari merito nelle intenzioni di voto del primo turno, seguiti a poca distanza da Arnaud Montebourg. La differenza sta nell’evoluzione: Hamon avanza di tre punti rispetto all’ultima rilevazione, Valls arretra. L’ex ministro dell’istruzione ha fatto un’ottima campagna elettorale, ha trovato un tema forte che lo identifica (la sua proposta di reddito universale) ed è cresciuto costantemente sia nei sondaggi che nella partecipazione ai suoi incontri (mercoledì ha riempito l’Institut National de Judo, a Parigi, con più di 3000 persone). Anche nell’ultimo dibattito Hamon è stato molto apprezzato, specialmente tra gli elettori che si dichiarano più di sinistra.

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Interessante è, come risulta da questo sondaggio effettuato immediatamente dopo il dibattito, il miglioramento netto della percezione dei telespettatori rispetto ad alcune qualità di Hamon, specularmente alla difficoltà di Manuel Valls, che non ha commesso grandi errori ma è comunque parso meno credibile.

Senza fare una cronaca dell’ultimo dibattito, è secondo me importante sottolineare come in massima parte la proposta di reddito universale incondizionato di Benoit Hamon, abbia catalizzato le critiche di tutti gli altri candidati, segno di quanto sia un tema sentito in un paese come la Francia che ha una disoccupazione molto alta e stenta a trovare soluzioni. Per chi arriva adesso ricordo che Hamon propone l’instaurazione di un reddito universale senza condizioni, proposta che in questi mesi stanno applicando in Finlandia con un esperimento rivolto a duemila persone. La sua diagnosi è che l’economia digitale distruggerà più posti di lavoro di quanti ne creerà anche sul lungo periodo, va quindi totalmente ripensato il welfare, senza temere di ammettere che l’idea del lavoro al centro della vita degli esseri umani potrebbe diventare un concetto superato.

Questa proposta, oltre alle visioni totalmente differenti su immigrazione e sicurezza da parte di tutti i candidati, rende l’idea di quanto sia diviso il Partito Socialista. Restando al tema del lavoro è molto difficile che una proposta come quella del reddito universale proposta da Hamon possa andare d’accordo con quella basata sullo stimolo alla competitività interna abbassando le tasse sulle imprese e defiscalizzando gli straordinari immaginata da Valls; con l’idea di protezionismo economico e grandi investimenti pubblici per creare occupazione di Montebourg o con quella del lavoro come architrave della società al centro della filosofia di Vincent Peillon.

Come sottolineato la settimana scorsa non ci sono stati grandi scontri durante i dibattiti, visto che i candidati hanno fatto molta attenzione a non mostrare un partito diviso. Se però si leggono i programmi o le varie dichiarazioni ci si rende conto di quanto il tema delle “sinistre irreconciliabili” teorizzate proprio da Manuel Valls pochi anni fa sia attuale e ineludibile. A questo punto non resta che aspettare domenica sera per avere un quadro più chiaro della situazione; lunedì mattina analizzeremo il risultato alla luce dei due candidati qualificati al ballottaggio e della partecipazione che, come detto in apertura, è molto rilevante.

2-È stato pubblicato un sondaggio molto accurato

Il sondaggio è stato realizzato da Ipsos in collaborazione con Le Monde. Sono stati intervistati 15.921 francesi dal 10 al 15 gennaio. Ipsos farà un’inchiesta approfondita sulle intenzioni e motivazioni di voto una volta al mese da qui sino a giugno, qui trovate l’analisi del Monde con alcune infografiche.

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Analizziamo alcune tendenze:

A- Macron è stabilmente terzo, come spiegato più volte ha una base elettorale maggiore nel caso in cui non si dovesse presentare François Bayrou, presidente del partito centrista MoDem e grande sostenitore di Alain Juppé alle primarie della destra. Al momento non è ancora chiaro cosa farà, ma ha poco tempo: le candidature devono essere ufficializzate entro il 17 marzo.

Finora il leader di En Marche! ha condotto una campagna quasi perfetta, aiutata dalla grande attenzione della stampa: per curiosità sono andato a contare il numero di copertine dedicategli nel 2016 dai settimanali francesi, arrivato a 40 la mia reazione è stata: “ok sono tantissime forse è meglio che torno a scrivere”. Va detto che Macron fa di tutto per inserirsi nel dibattito quotidiano: se è vero che la sua ascesa è già una notizia, ogni giorno trova un modo per far parlare di sé: in settimana è andato a Berlino, lodando pubblicamente la politica di accoglienza di Angela Merkel, ha riempito un teatro a Lille (una città teoricamente a lui ostile) con più di 5000 persone, ogni giorno una personalità politica di un certo peso dichiara di sostenerlo o si aggiunge alla sua équipe.

La strategia non è però solo comunicativa; certo, avere i titoli di giornali, radio e televisione aiuta, ma Macron persegue anche un altro obiettivo: vuole dare la sensazione di essere alla guida di una squadra di alto livello, non solo un bravo candidato. Così, quando arriverà il momento, non avrà difficoltà a spiegare con chi governerà, domanda scomoda per un personaggio che ha fondato un suo movimento a meno di un anno dalle presidenziali e non si è mai candidato ad una carica elettiva.

B-Fillon è in relativa difficoltà

François Fillon è in difficoltà nei sondaggi. Come avrete notato, nelle intenzioni di voto perde tra i 3 e i 4 punti rispetto a dicembre (se vi interessa il sondaggio Ipsos di dicembre lo trovate qui) a seconda dell’offerta politica in campo. Non è solo nelle intenzioni di voto che l’ex primo ministro di Nicolas Sarkozy mostra una flessione: nel barometro mensile pubblicato dal Figaro Magazine il candidato repubblicano perde ben 11 punti nell’“inchiesta sull’avvenire” (la domanda che viene posta in questi sondaggi è se, secondo l’intervistato, il personaggio politico considerato giocherà un ruolo rilevante nei prossimi mesi/anni); in un sondaggio simile realizzato da Ifop per Paris Match Fillon perde 8 punti di fiducia tra le classi popolari, dal 19 all’11%. Cosa sta succedendo? In parte un arretramento nei sondaggi è fisiologico: dopo la vittoria alle primarie il candidato repubblicano ha avuto una relativa luna di miele con i francesi che, vista la sorpresa per la sua vittoria, non conoscevano bene le sue proposte.

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Il barometro mensile del Figaro

Ma va considerato che tra dicembre e gennaio Fillon è stato il bersaglio preferito di tutti i candidati e di parte della stampa. Le critiche al suo programma “brutale” e “troppo radicale” sono arrivate persino da alcuni esponenti della sua stessa forza politica e molti elettori che potevano trovare il suo progetto interessante si sono spostati verso Macron (soprattutto i liberali a disagio con le posizioni molto conservatrici in tema di società). Delle sue difficoltà parleremo meglio nelle prossime puntate, anche perché Fillon ha già dimostrato di non tenere in grandissima considerazione i sondaggi e gli interessi dei media “sono io che fisso la mia agenda, non i giornalisti”; dopotutto in alcuni sondaggi di quest’estate non era nemmeno considerato, e abbiamo visto com’è andata a finire.

C-Marine Le Pen è straordinariamente alta nei sondaggi

Non abbiamo parlato molto di Marine Le Pen nelle ultime settimane, se non rispetto ad alcune questioni abbastanza specifiche: un candidato della destra per lei più ostico di Juppé o Sarkozy, la polemica tra Marion Maréchal Le Pen e Florian Philippot, i problemi di finanziamento del partito, a cui le banche francesi non fanno credito, l’ascesa di Macron, con la conseguente attenzione della stampa.

Tutte queste cose avevano portato Marine Le Pen a cambiare leggermente la sua strategia, fino ad ora incentrata su una “dieta mediatica” piuttosto strana per un candidato alle presidenziali: poche apparizioni televisive, pochissime interviste sui giornali e pochi tour elettorali sino al 5 febbraio, quando inizierà ufficialmente la campagna elettorale a Lione. L’idea era far parlare i fatti: i problemi dell’immigrazione, l’emergenza terrorismo, l’occupazione che stenta a ripartire, il “popolo che prende in mano il suo destino” con la Brexit e l’elezione di Donald Trump, tutti avvenimenti predetti o auspicati dal Front National, che dunque non aveva bisogno di saturare i media per essere al centro del dibattito pubblico.

Visti i problemi sottolineati poco fa e la concorrenza inaspettata di Macron e Fillon, Marine Le Pen ha deciso di anticipare alcuni suoi interventi pubblici (ne avevamo parlato qui), proprio per evitare di perdere terreno rispetto agli avversari. Evidentemente non ce n’era bisogno, e questo è piuttosto sorprendente: senza fare campagna elettorale il Front National è primo partito, rimanendo stabile o addirittura guadagnando uno/due punti percentuali. Cosa succederà dopo delle grandi manifestazioni e un paio di grandi interviste in prima serata?

3-Una notizia flash

-Manuel Valls ha preso uno schiaffo da un estremista di destra bretone, nel corso di un suo tour elettorale in Bretagna. Non è la prima volta che l’ex primo ministro viene contestato duramente durante le sue passeggiate elettorali, ma non aveva mai subito violenza fisica finora. Tutti hanno condannato il gesto, chiaramente, ma conferma una fase di difficoltà per Valls, che ieri sera ha terminato a Parigi la sua campagna elettorale e ha visto il suo discorso interrotto più volte da una serie di contestatori.

Ringraziamenti, doverosi

Francesco Costa, che molti di voi già conoscono, ha segnalato questa newsletter nella sua ultima/prima puntata. A lui va un ringraziamento speciale, sia per questo ulteriore aiuto che per i consigli e la disponibilità che ha sempre mostrato nei miei confronti. Se non siete già iscritti alla sua newsletter potete farlo qui, se poi volete aiutarlo economicamente per il grandissimo lavoro che fa e che chiaramente ha dei costi potete farlo seguendo questo link.

Infine, grazie a tutti quelli che si sono iscritti e si stanno iscrivendo in queste ore semplicemente sulla fiducia, senza conoscermi. Cominciate ad essere tanti e io mi sento sempre più responsabile.

Per oggi è tutto, a lunedì, quando commenteremo i risultati del primo turno!

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Giornalismo

È internet la causa dell’ignoranza?

L’obiettivo di chi scrive articoli di opinione, gli editoriali, è in genere quello di far ragionare il lettore. E infatti non li scrivono tutti. Che poi adesso ci sono i blog e quindi trovare opinioni è più facile di quanto non lo fosse dieci anni fa è un tema, ma qui ciò che interessa è altro. Per far ragionare il lettore, dicevo, c’è bisogno che il giornalista sia in grado di interpretare il mondo in cui viviamo: la sua funzione è far arrivare chi legge dove da solo non sarebbe arrivato.

È indubbiamente una cosa difficile, perché si richiede che il giornalista sia anche in qualche modo un intellettuale, oggi un titolo non amatissimo ma tant’è: definisce proprio questo. Ora, in Italia abbiamo una grossissima crisi di autorevolezza dei giornali che è (molto) responsabile della (molto) bassa qualità della nostra democrazia. Parte di questa crisi è dovuta allo scarso ricambio generazionale che c’è tra chi commenta la realtà sui giornali, cosa che è un po’ comune a tutti i settori nevralgici della vita pubblica italiana. Domanda da un milione di dollari: non c’è ricambio perché chi è più anziano non si fa da parte, oppure di persone giovani in grado di fare analisi complesse ce ne sono poche? Non sta a me rispondere, ed è una cosa che ci dirà il tempo, probabilmente.

Accade che su uno dei maggiori settimanali italiani, l’Espresso, ci sia un dibattito tra due intellettuali sul ruolo di internet rispetto all’ignoranza, generalizzata, delle giovani generazioni italiane.

Tutto nasce da una puntata de L’eredità (il video è abbastanza famoso) in cui viene chiesto ai quattro concorrenti “quando fosse stato nominato cancelliere Hitler”. Le risposte possibili sono: 1933, 1948, 1964 e 1979. Nessuno dei primi tre, qui sta la notizia, risponde correttamente.

Umberto Eco ragiona così:

“Ovvio sbigottimento di Conti e – a dire la verità – di tanti che reagiscono alla notizia di Youtube, ma il problema rimane, ed è che per quei quattro soggetti tra i venti e trent’anni – che non è illecito considerare rappresentativi di una categoria – le quattro date proposte, tutte evidentemente anteriori a quelle della loro nascita, si appiattivano per loro in una sorta di generico passato, e forse sarebbero caduti nella trappola anche se tra le soluzioni ci fosse stato il 1492.”

La parte che mi interessa è il passaggio in cui lo scrittore ritiene “non illecito considerare rappresentativi di una categoria” quei quattro soggetti tra i venti e i trent’anni. La chiave di lettura di quella puntata dell’Eredità è che tendenzialmente i giovani tra i venti e i trent’anni sono degli ignoranti senza redenzione alcuna. E quindi chi, viceversa, conosce la data in cui Hitler diventa cancelliere, o la rivoluzione francese o la scoperta dell’America, sia un’eccezione. Se così fosse anche il sottoscritto dovrebbe considerarsi tale: essere definito “eccezionale” da Eco gratificherebbe senza dubbio il mio ego, non lo nego, ma temo che la situazione sia un po’ più complessa di così. Umberto Eco invece non ritiene di dover approfondire il tema; il video e le risposte bastano. È la sua, legittima, interpretazione della realtà, appunto.

Sollecitato dall’articolo di Eco, anche Eugenio Scalfari riflette su quello che può rappresentare una trasmissione tv in cui tre candidati non hanno la minima idea di quando Hitler sia diventato cancelliere. Il fondatore di Repubblica ha ben chiaro il responsabile di una degenerazione del genere: il pezzo si intitola “È internet la causa dell’ignoranza”:

La tecnologia della memoria artificiale è la causa prima dell’appiattimento sul presente o almeno una delle cause principali. La conoscenza artificiale esonera i frequentatori della Rete da ogni responsabilità: non hanno nessun bisogno di ricordare, il clic sul computer gli fornisce ciò di cui in quel momento hanno bisogno. C’è chi ricorda per te e tanto basta e avanza.”

La condanna è assoluta. La più grande invenzione “collettiva” della storia dell’uomo dopo la stampa viene vista come un danno che ha distrutto le nostre coscienze e la nostra memoria. A internet Scalfari attribuisce anche un’altra responsabilità (ma è una cosa che va di moda): se siamo più soli è perché “molti fruitori della Rete infatti hanno smesso di frequentare il prossimo”. Anche qui, tra le tante interpretazioni possibili Scalfari ne ha scelta una, quella che ha ritenuto più vicina al suo sentire.

Ho amato Scalfari e Eco, tanto. Ma leggendoli mi sono semplicemente chiesto: quanto aderisce alla realtà il ragionamento portato avanti dai due intellettuali? Supponendo che loro interpretazione sia effettivamente scollegata dalla realtà che intendono spiegare, possiamo dire che ciò accade perché sono nati rispettivamente nel 1924 e nel 1932? Hanno gli strumenti, in questo contesto (non in generale, ci mancherebbe), per riuscire a far arrivare il lettore dove da solo non sarebbe arrivato? Davvero considerare da un lato tre depensanti in un quiz come “rappresentativi di una generazione” e additare dall’altro internet come causa dell’ignoranza può soddisfare chi legge e vuole “di più”?

Per dare il senso di quanto queste interpretazioni siano lontane dalla realtà che provano a spiegare cito un pezzo di Francesco Costa, giornalista del Post. Costa racconta il suo viaggio a Cuba, dove accedere ad internet è difficilissimo, se non impossibile. Anche lui parla di ignoranza e anche lui parla di relazioni umane.

L’assenza di Internet ha reso indubbiamente il mio viaggio più povero. Moltissime volte mi sono imbattuto in posti e cose di cui avrei voluto conoscere la storia, meglio di come l’avrei trovata su una guida o di come me l’avrebbe raccontata un passante: cosa vuol dire quella frase? quando è stato costruito quel monumento? chi è l’architetto di quel palazzo? in che anno esattamente è morto Che Guevara? Sono sull’autobus e vedo un manifesto di propaganda sull’anniversario dell’attentato di Barbados, di cui so pochissimo. Passo davanti allo stadio olimpico costruito per i giochi panamericani del 1991, vorrei sapere come viene usato adesso. Vedo ovunque manifesti sui Cinque. Se avessi Internet in tre minuti ne conoscerei le cose essenziali, senza Internet resto nella mia ignoranza. Al museo della rivoluzione trovo racconti della famosa arringa di quattro ore con cui Castro si difese in tribunale dopo l’attacco alla caserma Moncada – “la storia mi assolverà” — e vorrei finalmente leggerla tutta: se avessi Internet troverei il testo integrale in pochi secondi, senza Internet ho dovuto comprare il libro, altrimenti sarei rimasto nella mia ignoranza. Cose del genere sono capitate più volte ogni giorno.


La verità è che (molto) banalmente, si sta parlando di un mezzo. Un mezzo che è potentissimo. E come qualunque mezzo non ha un valore di per sé, il valore glielo attribuiamo noi con l’uso che decidiamo di farne. E, per dire, senza internet, non avrei visto il video de L’eredità, avrei perso le riflessioni di Eco e Scalfari, Francesco Costa non farebbe il giornalista al Post che è un giornale online e voi non leggereste queste 6945 battute. E l’altra verità è che in questo caso saremmo tutti più poveri.

 

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