Presidenziali 2017

Présidentielle 2017 termina qui, Macron vince la sua scommessa

Questa è l’ultima newsletter sulle elezioni presidenziali francesi che riceverete. La prima è stata inviata il 25 settembre alle 53 persone che si sono iscritte sulla fiducia leggendo un mio post su Facebook. Questa è stata appena inviata a 1492 persone, un numero per me altissimo e inaspettato. Da allora ho inviato 39 puntate settimanali e 7 numeri straordinari. Da marzo la newsletter è stata pubblicata integralmente da IL, il mensile del Sole24Ore, grazie alla geniale intuizione di Christian Rocca, che ringrazio; è stata citata da molti giornali come esempio di giornalismo innovativo; mi ha consentito di andare in radio, televisione e di fare dei piccoli tour in giro per l’Italia a spiegare cosa stesse succedendo Oltralpe, altra cosa per me inaspettata e molto divertente. E, soprattutto, mi ha dato l’occasione di girare la Francia in lungo e in largo (sono diventato un esperto di stazioni ferroviarie) e capire meglio un paese che conoscevo solo grazie ai miei anni universitari a Parigi. Che non è la Francia (luogo comune, ma vero). È quindi il momento dei ringraziamenti, perché questo piccolo esperimento di giornalismo non sarebbe stato possibile senza le centinaia di email che avete scritto in questi mesi per consigliarmi un articolo, pormi delle questioni a cui non avevo pensato, criticare un singolo punto della newsletter oppure una tutta intera. Grazie anche a Hookii, il sito dei commentatori che ha contribuito alla crescita di questo esperimento. Con alcuni di voi sono anche diventato amico nella vita reale ed è una cosa che mi ha reso molto felice, con altri lo sono in maniera virtuale ma prima o poi ci si incontrerà.
Se mia zia, che fa la musicista, non avesse riletto ogni newsletter cercando refusi e concetti spiegati male o poco, avrei commesso molti più errori e approssimazioni. Il più grande ringraziamento va quindi a lei (che legge questa parte con voi, non essendo presente nella bozza), e eventuali errori sono chiaramente da attribuire soltanto a me che spesso ho cambiato frasi all’ultimo secondo.

Veniamo a noi.

1-Macron ottiene la maggioranza all’Assemblea

La grande scommessa di Emmanuel Macron è vinta. Lo sapevamo già, visti i risultati del primo turno, ora è certo. I numeri ufficiali della XV legislatura della repubblica francese sono questi:

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Il grafico è del Figaro

Al netto dell’alta astensione (57,4 per cento) su cui devono evidentemente interrogarsi tutti i partiti, la Francia consegna una maggioranza meno ampia di quanto avevano registrato i sondaggi di domenica scorsa, ma è comunque talmente grande da non porre alcun problema: En Marche! conquista 308 seggi, maggioranza assoluta anche senza gli alleati MoDem, che eleggono 42 deputati. Dei problemi abbiamo ampiamente parlato nelle scorse settimane, e posso capire anche i dubbi sollevati sulla maggioranza schiacciante che ha ottenuto il presidente con un numero di voti relativamente basso. È interessante però confrontare la nuova critica “Macron ha troppi parlamentari” con quelle lette spesso in questi mesi. Prima si diceva “Macron non sarà mai candidato”, poi “non sarà mai qualificato al secondo turno”, poi “non vincerà mai”, infine “può anche vincere, ma non avrà nessuna maggioranza in parlamento”, e ancora “deve dimostrare di essere in grado gestire i summit internazionali” e dopo aver fugato i dubbi “va bene sul piano internazionale, molto bravo, ma governare è un’altra cosa”. Vi cito tutto questo semplicemente per farvi invertire il giudizio: vediamo che fa, come governa, e poi giudichiamo l’efficacia delle sue politiche. Non siamo francesi, quindi ci interessa relativamente, però un fenomeno come quello di Macron può dare degli spunti interessanti anche alla politica italiana.

Infine, il fatto che Macron non abbia un’opposizione fortissima in Parlamento non vuol dire che l’opposizione non esista. Il Senato è al momento controllato dai repubblicani (si vota, con un’elezione indiretta, a settembre), le regioni quasi tutte dai repubblicani, le grandi città sono governate da sindaci iscritti ai partiti tradizionali,. In più la stampa francese è abbastanza aggressiva e alcuni media sono molto famosi per le inchieste (in particolare il Canard Enchainé e Mediapart).

2-La Francia è in declino?
La campagna elettorale è stata lunga e a tratti aggressiva, ma sembra abbia risvegliato un sentimento di speranza nei francesi, che sono un popolo caratterizzato da un pessimismo abbastanza radicato (a questo proposito vi consiglio, se leggete il francese, Comprendre le malheur français di Marcel Gauchet). Come vedete, il bipolarismo ottimismo/pessimismo del quale avevo già scritto in questa puntata della newsletter è sempre presente nell’elettorato francese.

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Questo grafico e i seguenti sono elaborati dal sondaggio dell’istituto Ipsos

Il 53 per cento degli elettori di En Marche! pensa che la Francia non sia in declino e il 42 per cento crede che il Paese sia sì in declino ma che la situazione possa cambiare. Dati opposti si leggono nell’elettorato del Front National: solo il 9 per cento di chi ha votato per il partito di Marine Le Pen crede che la Francia non sia in declino. L’altro dato interessante è quello che considera l’evoluzione di queste opinioni negli anni. Come vedete dall’aprile del 2016 ad oggi è molto calato il numero di francesi che crede che la Francia sia in una situazione di declino irreversibile, e allo stesso tempo è aumentato chi crede che il paese possa rialzarsi.
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Questo vuol dire che i messaggi di speranza che hanno caratterizzato alcune proposte politiche – quello di Macron, ma anche la promessa di una “sesta repubblica” di Mélenchon o il reddito universale di esistenza di Hamon – hanno contribuito a modificare i pregiudizi degli elettori.

L’altra percezione interessante da sottolineare è quella delle speranze che suscita il nuovo presidente. Il 34 per cento dell’elettorato è convinto che Macron migliorerà la Francia, numero superiore al risultato del presidente al primo turno delle presidenziali (24 per cento) e al risultato del suo partito al primo turno delle legislative (28 per cento). Questo si spiega con il buon risultato che Macron ottiene tra gli elettori degli altri partiti, a dimostrazione che il presidente gode di un’approvazione abbastanza diffusa, per il momento. L’altro dato interessante è che il 44 per cento dei francesi non crede che Macron migliorerà la situazione, ma nemmeno che renderà peggiori le cose. Questo è importante perché probabilmente indica il sentimento di attesa che anima gran parte del paese, curioso di capire come governerà il nuovo presidente.

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Qualche notizia sui candidati di peso. Manuel Valls è stato eletto per 139 voti nel suo collegio, ma l’avversaria, Farida Amrani della France insoumise, non ha riconosciuto il risultato e ha annunciato un ricorso. Myriam El Khomri, ex ministro del Lavoro che aveva ricevuto il sostegno del presidente non è stata eletta; Najat Vallaud-Belkacem, ex ministro dell’Istruzione, e Marisol Touraine, ex ministro della sanità, entrambe socialiste, perdono i rispettivi ballottaggi. Stessa sorte per Nathalie Kosciusko-Morizet, sconfitta nella seconda circoscrizione di Parigi da Gilles Le Gendre, candidato di En Marche!. Florian Philippot è l’altro grande sconfitto, il vicepresidente del Front national subisce un duro colpo e con lui, probabilmente, la linea anti-euro egemonica nel partito negli ultimi anni. Infine, tutti i ministri candidati sono stati eletti, così come i due leader dell’opposizione Marine Le Pen (eletta per la prima volta) e Jean-Luc Mélenchon.

Il personaggio della settimana

Laurent Wauquiez è un repubblicano considerato molto vicino a Nicolas Sarkozy. La sua è una linea di opposizione molto dura a Emmanuel Macron e negli anni è diventato un personaggio gradito anche al Front national. Marion Maréchal Le Pen, nipote di Marine e esponente della linea più cattolica-conservatrice del partito, ha detto più volte di poter lavorare senza problemi con Wauquiez se si dovesse creare un nuovo movimento di destra patriota. Offerta rispedita al mittente ma che fa capire cosa potrebbe succedere nei prossimi mesi, quando s’imporrà una profonda ricostruzione sia per il Front national che per i repubblicani. Wauquiez è rimasto molto discreto dopo la sconfitta alle presidenziali, e ha deciso di non candidarsi all’Assemblea Nazionale per rimanere al suo posto di presidente della regione Auvergne-Rhône-Alpes. A fine novembre c’è il congresso del partito e Wauqiez è uno dei favoriti.

Consigli di lettura

-Parla per la prima volta François Fillon in un lungo articolo del JDD che ricostruisce i difficili mesi di campagna elettorale vissuti dai repubblicani dopo le rivelazioni sugli impieghi fittizi;

-A che servono i gruppi parlamentari? Perché è così importante costituirne uno? Un’analisi, sempre del JDD;

-Il Figaro si chiede quali siano le radici dell’ideologia di Emmanuel Macron, di destra sull’economia, di sinistra sui temi di società.

Présidentielle 2017 termina qui, per ovvie ragioni di cronologia. Non vi abbandono però: continuerò a raccontare la Francia in altri modi dal prossimo autunno e, anzi, se avete qualche idea o consiglio scrivetemi perché ne ho bisogno. Passerò l’estate a pensare ad un nuovo formato che possa rendere interessante il racconto anche senza una campagna elettorale, ma più idee mi sottoponete meglio è. Nel frattempo mi sono trasferito momentaneamente a Roma a lavorare per il Foglio, che mi ha incaricato di scrivere le brevi che trovate nella quinta colonna a destra in prima pagina. Ogni tanto troverete anche il mio nome in calce a qualche pezzo.

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, trentottesima settimana: Macron stravince, il vecchio sistema è annichilito

Trentottesima edizione della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

“Se i francesi eleggono Macron è perché vogliono che governi. Se ti eleggono poi ti danno il potere, è sempre successo così. Anche se candidassimo lei che è italiano in un collegio, e il collegio è competitivo, sarebbe eletto”. Così rispondeva un deputato molto vicino a Macron ai miei dubbi sulla capacità di En Marche! di riuscire ad ottenere la maggioranza assoluta all’Assemblea. Era inizio aprile e il deputato aveva ragione da vendere.

Emmanuel Macron ha utilizzato e compreso appieno il sistema istituzionale della V Repubblica immaginato da Charles de Gaulle nel 1958 e completato con l’introduzione dell’elezione diretta del Capo dello Stato nel 1962. Ha capitalizzato la riforma del 2002 che ha equiparato il mandato dell’Assemblea e del Presidente (prima il secondo durava 7 anni, due in più del Parlamento), e ha beneficiato del “fatto maggioritario”: chi vince le presidenziali vince anche le successive elezioni legislative. Come vedete la proiezione in seggi fa quasi impressione.

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Questi invece i risultati sul piano nazionale, che vedono En Marche! ampiamente in testa ma con il 28 per cento. Nelle cifre fornite dal ministero dell’interno, da cui è catturato lo screenshot, si vede bene anche il peso dell’astensione. Che è notevole e supera il 50 per cento degli aventi diritto.

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Nel prossimo grafico vedete invece i duelli che si terranno al secondo turno, con un solo triangolare tra un candidato En Marche!, un repubblicano e uno del Front National; 273 duelli tra un candidato En Marche! e un repubblicano; 134 tra un candidato En Marche! e un candidato della France Insoumise; 99 duelli tra En Marche! e Front national; 20 duelli tra un repubblicano e France Insoumise; 6 duelli tra un candidato socialista e Front National; 4 duelli tra un  candidato repubblicano e Front national; 2 duelli tra un candidato socialista e Front National, un solo duello tra France insoumise e Front national.

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L’infografica è del Monde

La grandissima vittoria è senza precedenti se consideriamo il contesto, un presidente giovanissimo, a capo di un partito nato un anno fa con candidati totalmente sconosciuti nei collegi, senza alcuna struttura territoriale e senza soldi. Non è senza precedenti però rispetto ai numeri, visto che nel 1993 la destra conquistò 472 deputati su 577 (sommando i due partiti dell’epoca, l’UDF di Giscard d’Estaing e il RPR di Chirac), nel 2002 la maggioranza di Jacques Chirac, rieletto presidente contro Jean-Marie Le Pen, ottenne 398 seggi su 577.

Per Emmanuel Macron non sarà facile gestire una maggioranza così ampia, per i motivi già descritti venerdì scorso, ma è un problema che qualunque politico vorrebbe dover risolvere. Diverso è il discorso sul dibattito democratico del paese, che rischia di spostarsi al di fuori dell’Assemblea Nazionale, ma per questo vi rinvio alla newsletter di venerdì. In più, nota di colore, esiste un problema logistico: la sala più grande dei vari palazzi di proprietà dell’Assemblea Nazionale è la Victor Hugo, che però ha 350 posti. Il gruppo di En Marche! dovrà quindi trovare un posto dove riunirsi.

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La Bérézina del Partito Socialista

Il 23 novembre 1812 Napoleone si sta lentamente ritirando dopo la disastrosa campagna di Russia quando, tallonato dagli eserciti dello Zar, si trova di fronte al fiume Beresina, impossibile da attraversare velocemente perché non completamente ghiacciato. L’imperatore è dunque costretto a dare battaglia, riuscendo a vincere ma perdendo quasi 50.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri. Insomma un disastro militare, il vero simbolo della folle spedizione in Russia, diventato paradigmatico: “c’est une Bérézina” dicono i francesi quando devono indicare una sconfitta senza appello, come la nostra Caporetto.

È quanto titolano i giornali di oggi sul Partito socialista, che conosce la sua peggiore sconfitta dalla fondazione nel 1971. Nemmeno nel 1993, anno orribile nella memoria dei dirigenti socialisti, la sconfitta fu così cocente, con i socialisti che portarono a casa 57 deputati. Stavolta le proiezioni dicono che il PS otterrà tra i 15 e i 25 seggi, e il primo turno ha emesso una serie di sentenze molto dure. Sono già eliminati Jean Christophe Cambadélis, il segretario del partito; Benoit Hamon, il candidato all’elezione presidenziale, Aurelie Filippetti, ex ministro della cultura, Matthias Fekl, ex ministro degli interni, Gérard Bapt, eletto ininterrottamente dal 1978. Il partito ottiene 1.685.773 voti, cioè 10.000 in meno di Nicolas Dupont-Aignan alle presidenziali, il leader della destra indipendente alleatosi poi con Marine Le Pen.

Se è vero che il Partito socialista non esiste più, non si può dire lo stesso delle idee e dell’elettorato. Il reddito universale di esistenza ha monopolizzato il dibattito pubblico per due mesi durante la campagna presidenziale, segno che delle idee in attesa di trovare una rappresentanza politica adeguata esistono. Per la sinistra si pone quindi, come spesso accade, il problema di raccogliere le varie esperienze e federarle per proporre una reale alternativa di governo. La vittoria di Macron lascia molto tempo per riflettere sul da farsi.

La sconfitta netta del Front national

Il Front national continua il suo periodo di grande difficoltà. Dopo anni in cui sembrava “alle porte del potere” o comunque in grado di conquistare un numero di seggi sufficiente a contare parecchio nel dibattito in Assemblea, il partito di Marine Le Pen realizza un risultato assimilabile a quello del 2012, quando raggiunse il 13, 6 per cento. La differenza rispetto a cinque anni fa, a dimostrazione di come il partito sia molto cambiato, riuscendo a radicarsi in alcuni territori, specialmente nel nord-est, è la quantità di collegi in cui è presente al ballottaggio: da 61 circoscrizioni a 120, come potete vedere dalle mappe seguenti.

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L’infografica è del Figaro

Le proiezioni non stimano il Front national in grado di costituire un gruppo parlamentare, è quindi una grande sconfitta per Marine Le Pen, che ha visto i suoi elettori scomparire dopo la cocente delusione del 7 maggio. Se è vero che il marchio Le Pen è al momento impossibile da separare dal Front national (ma per le imprese impossibili bussare al temporaneo inquilino del 55 Rue du Faubourg Saint-Honoré), Marine deve almeno vincere nella sua circoscrizione per evitare di essere messa seriamente in discussione. È arrivata in testa con il 46 per cento dei voti, e affronterà la candidata di En Marche! che ha raccolto il 16,4 per cento: è favorita, ma ha raggiunto un risultato molto simile a quello del 2012 (42 per cento), quando mancò poi la vittoria per una manciata di voti al ballottaggio contro il socialista Philippe Kemel.

Chi farà l’opposizione?

I repubblicani, come previsto alla vigilia, subiscono un forte arretramento rispetto al 2012, ma non ci sono particolari notizie da segnalare, se non che moltissimi candidati di peso sono in grande difficoltà. Presente in più di 300 ballottaggi, il partito è in misura di vincerne poco più di 100, secondo tutte le proiezioni. Da lunedì prossimo le difficoltà rimarranno le stesse: come fare ad opporsi ad una maggioranza presidenziale guidata da un uomo di destra, che in materia di economia e lavoro conduce politiche da anni richieste a gran voce dalla destra e che ha due uomini di destra a Bercy?

Jean-Luc Mélenchon ha invece fallito la scommessa di diventare il primo gruppo di opposizione alle politiche di Emmanuel Macron, seppure supera definitivamente il Partito socialista, suo sogno da decenni. È favorito nel suo collegio, a Marsiglia, ma riuscirà a stento a costituire un gruppo parlamentare (servono 15 deputati), e difficilmente potrà apparire come un profilo in grado di federare una nuova forza di sinistra, visto che ha passato questo mese a insultare tutti i membri del partito socialista e ha rotto la sua alleanza con il partito comunista. Il suo partito, la France Insoumise, ha perso quasi 10 punti rispetto alle presidenziali.

Emmanuel Macron ha utilizzato a fondo gli strumenti del vecchio sistema per distruggere i partiti tradizionali, che appaiono annichiliti dalla sua proposta di centro radicale, e gli estremi, che pagano la disorganizzazione e le difficoltà di uno scrutinio a doppio turno. Il suo primo mese di presidenza è stato esemplare, e ciò ha sicuramente contribuito, se non alla vittoria in sé, all’ampiezza della stessa. Questo non vuol dire che la Francia è stata completamente sedotta. Lo sono i media, lo è Parigi, lo sono il mondo dell’arte e dello spettacolo, ma alle legislative c’è stato il record storico di astensione e la vittoria si è costruita anche e soprattutto sui difetti degli altri.

Ne abbiamo parlato a sufficienza durante le presidenziali, e alle legislative è accaduto più o meno lo stesso: in un ballottaggio con la sinistra, la destra vota per En Marche!, in un ballottaggio con la destra, la sinistra vota per En Marche!, in un ballottaggio con il Front national, tutti gli altri votano per En Marche!. È il premio al radical center, ad un messaggio radicale, coerente, che non è mai cambiato durante la campagna elettorale e che non si smentisce nemmeno in queste prime settimane di governo.

L’adesione però è un’altra cosa, e nelle nostre società così indecise e liquide non è assolutamente scontato che arriverà durante i cinque anni. Emmanuel Macron ha dimostrato di essere un talento puro nel conquistare il potere e per ora anche nel saper gestire degli incontri internazionali. Avrà talento anche nel governare? Questo non lo sappiamo ancora e mi asterrei da valutazioni precoci, vedremo cosa farà. E con questa maggioranza non ha scuse.

Il personaggio della settimana

Laetitia Avia è candidata con En Marche! nell’ottava circoscrizione di Parigi. È arrivata in testa con il 39,59 e affronterà Valérie Montandon, repubblicana, arrivata al 15,43 per cento. Intervistata stamattina da Franceinfo ha fatto capire che per alcuni deputati di En Marche! non è affatto scontato sostenere tutte le leggi che proporrrà il governo: “abbiamo una personalità, sfideremo il governo perché questo è il nostro ruolo, abbiamo il dovere di controllarlo. Potremmo opporci ad una legge, siamo eletti per fare l’interesse della Nazione, dopotutto”. Potrebbe essere una dichiarazione di circostanza, ma non è detto. Abbiamo di fronte il primo accenno di fronda?

Consigli di lettura

-Dopo le legislative il Partito socialista potrebbe perdere quasi 100 milioni di finanziamento pubblico ai partiti;

-Matthieu Croissandeau, direttore dell’Obs, spiega quali sono i problemi di una maggioranza troppo ampia per Macron, e quali le insidie dello stato di grazia di inizio impero;

-Come sarebbe l’Assemblea Nazionale con la proporzionale? E con un sistema come il Mattarellum? Ha provato a rispondere FranceInfo, con delle mappe interessanti;

I ballottaggi da tenere d’occhio domenica prossima, secondo il JDD.

Noi ci sentiamo direttamente lunedì prossimo, se non ci sono particolari novità durante questa settimana. Se dovesse succedere qualcosa di veramente interessante mi farò vivo!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, edizione straordinaria: al voto al voto (di nuovo)

Edizione straordinaria della newsletter sulle presidenziali francesi

Mesi fa, quando è iniziato ad apparire chiaro che Macron aveva serie possibilità di vittoria alle presidenziali, moltissime analisi (comprese le mie) dubitavano di una vittoria alle successive elezioni legislative. Il ragionamento era che un movimento poco strutturato sul territorio, molto giovane, che aveva basato tutto il suo successo sulla capacità del proprio leader, non sarebbe stato così competitivo in un’elezione che è sì nazionale, ma ha una notevole componente locale data dal collegio uninominale. Si diceva, all’epoca, che già raggiungere la maggioranza relativa sarebbe stato un grande successo, visto anche l’annunciato exploit del Front National e la storica competitività dei repubblicani alle legislative. Parlando con più deputati macronisti mi veniva invece spiegato che le legislative non sarebbero state un problema, perché “se i francesi ti fanno vincere alle presidenziali poi ti danno anche i mezzi per governare”.

A quanto sembra a En Marche! avevano ragione e noi giornalisti, politologi e analisti torto. Come vedete le proiezioni sono abbastanza evidenti e segnalano una maggioranza da record all’Assemblea Nazionale. Tanto che secondo il Canard Énchainé il presidente avrebbe detto in privato di essere “preoccupato” di una maggioranza così ampia. Perché la preoccupazione? En Marche! ha fatto del rinnovamento uno dei pilastri della sua campagna elettorale: metà dei candidati all’Assemblea non hanno mai avuto mandati elettivi, meno del 10 per cento è deputato uscente. Questo però pone un problema, soprattutto in un gruppo così grande: come si gestiscono persone che non sanno come funziona la vita di un gruppo parlamentare e hanno una grande autonomia personale, venendo dal mondo delle professioni?

Sondaggio 1

La proiezione dei seggi dopo i due turni delle legislative

Intendiamoci, avere un solido mestiere oltre alla politica è una cosa positiva, però può aumentare il rischio di fronda su alcuni provvedimenti. Anche perché la provenienza politica dei candidati è molto eterogenea: come annunciato da En Marche! sarà la Francia sedicente progressista a comporre la maggioranza presidenziale, persone di destra, di sinistra e di centro unite dalla volontà di attuare il programma del presidente. Più facile a dirsi che a farsi: non è detto che i vari deputati andranno sempre d’accordo e anzi è possibile immaginare che le discussioni saranno abbastanza accese; in questo senso sarà molto importante capire chi diventerà il presidente del gruppo parlamentare, visto che il ruolo sarà molto delicato e spesso decisivo. Un conto è gestire i 300 deputati necessari per avere una maggioranza tranquilla, altra questione è gestirne quasi 400.

I rischi che un gruppo di maggioranza così ampio (siamo sul 65 per cento dei seggi) porta con sé sono principalmente due, oltre alle difficoltà di gestione. Il primo è che il dibattito democratico si sposti da una dinamica maggioranza-opposizione che si affrontano secondo i rispettivi ruoli, ad una dinamica di discussione tutta interna alla maggioranza. Questo non è un bene per la democrazia che ha bisogno di un pluralismo di opinioni e soprattutto per un paese come la Francia, dove il problema della mancanza della rappresentanza è molto dibattuto e sentito dai cittadini. Il secondo rischio, direttamente legato al primo, è che l’opposizione non trovi altro modo che manifestarsi in piazza, visto che all’Assemblea il secondo gruppo, quello repubblicano, non è giudicato in grado di fare un’opposizione molto dura (alcuni candidati si sono detti pronti a votare molte leggi proposte da Macron). Una situazione del genere potrebbe presentarsi già nei prossimi mesi sulla grande riforma del mercato del lavoro: l’introduzione della flexisecurity promessa dal presidente è uno dei temi che più divide l’opinione pubblica, e le forze che le sono avverse rischiano di essere poco rappresentate in parlamento.

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Le intenzioni di voto a livello nazionale

La crisi dei partiti tradizionali

Socialisti e repubblicani si trovano in una situazione di grande difficoltà, seppure con gradazioni diverse. I socialisti rischiano la scomparsa, con le proiezioni che attribuiscono meno di 40 seggi al partito che durante la Quinta Repubblica ha espresso due presidenti della repubblica e nove primi ministri. Personalità storiche rischiano di perdere il proprio collegio (come l’ex primo ministro Manuel Valls, il candidato alle presidenziali Benoît Hamon o l’ex ministro dell’istruzione Najat Vallaud-Belkacem), e il partito è vittima del “grand remplacement”, della grande sostituzione con En Marche!, come ha efficacemente titolato il Figaro.

I gollisti tengono nelle intenzioni di voto rispetto alle presidenziali ma sono sotto shock, rischiando di passare dai 229 deputati eletti nel 2012, quando pure erano stati sconfitti alle presidenziali, ad un  piccolo gruppo di 150. Gli elettori di destra sono molto confusi: hanno visto il loro candidato, favorito dopo la vittoria alle primarie, eliminato dal primo turno, e hanno ricevuto incessanti segnali nella composizione del nuovo governo di Macron, che potrebbero giudicare non così distante dalle loro idee. Il primo ministro è stato segretario generale dell’UMP (la formazione post gollista immaginata da Chirac e Juppé), e il ministero dell’Economia è interamente nelle mani degli ex repubblicani Le Maire e Darmanin. Come vedete, la metà degli elettori repubblicani preferisce Edouard Philippe come primo ministro a François Baroin, che è il leader del partito.

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È proprio la leadership un altro punto di debolezza dei socialisti e dei repubblicani. Bernard Cazeneuve, capo della campagna socialista ed ex primo ministro molto apprezzato durante la fine della presidenza Hollande, ha deciso di non ricandidarsi all’Assemblea Nazionale e ha fatto capire che dopo le elezioni andrà a lavorare in uno studio legale. François Baroin ha invece detto più volte che potrebbe tornare a fare semplicemente il sindaco di Troyes e occuparsi dell’associazione dei sindaci di Francia di cui è presidente, lasciando addirittura il Senato (ad oggi è senatore-sindaco).

Tutti segnali di precarietà e confusione che de-mobilitano un elettorato già fortemente disilluso dopo la vittoria di Emmanuel Macron, e che potrebbe pensare di dare una chance al giovane presidente.

La vera opposizione

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Chi incarna al meglio l’opposizione a Macron?

Front national e France insoumise sono due partiti molto penalizzati dal modo di scrutinio maggioritario a doppio turno. Possono da un lato rallegrarsi vista la credibilità acquisita e riconosciuta dai francesi di vera forza di opposizione a Emmanuel Macron, anche perché questo sentimento diffuso potrebbe essere molto utile se sfruttato alle elezioni locali che si tengono durante i cinque anni di presidenza. D’altro canto quest’elezione rischia di essere molto complessa e un cattivo risultato sembra difficile da evitare.

Jean-Luc Mélenchon si è trovato subito di fronte ad un dilemma: come capitalizzo il 19,5 per cento ottenuto al primo turno delle presidenziali? Il leader della France Insoumise ha scelto l’opposizione frontale e l’innalzamento dei toni: ha deciso di rompere il fronte repubblicano contro Marine Le Pen, non dichiarando il proprio voto a favore di Emmanuel Macron; ha rinnegato l’accordo con il Partito comunista che lo aveva sostenuto alle presidenziali presentando un suo candidato in quasi tutti i collegi; ha iniziato ad attaccare ferocemente l’ex primo ministro Bernard Cazeneuve che si sarebbe “occupato dell’assassinio di Rémi Fraisse” un manifestante ucciso da un poliziotto durante la protesta contro la costruzione della diga di Sivens. La dichiarazione è stata molto criticata dalla stampa e ha contribuito a far riaffiorare l’aggressività del personaggio, un attributo smorzato durante la campagna presidenziale e che era stato a lungo considerato il principale punto debole di Mélenchon.

Per il Front national la questione è relativamente diversa. Il partito è sempre stato un movimento di protesta nazionale, e abbiamo già notato come il doppio turno e l’incapacità di fare alleanze larghe impediscono a Marine Le Pen di arrivare a vincere le elezioni. L’elezione presidenziale poi, ha sì fatto segnare dei record in termini di percentuale e di voti assoluti, ma è stata vissuta come una sconfitta dalla base e dal gruppo dirigente. Al Front National si aspettavano un risultato sopra il 40 per cento, tra il primo e il secondo turno si parlava di un obiettivo di 80 deputati all’Assemblea, mentre il dibattito disastroso e il risultato al di sotto delle aspettative hanno prodotto, nell’ordine:

-Il ritiro temporaneo dalla politica di Marion Maréchal Le Pen, il volto molto mediatico e conservatore del partito, eletta all’Assemblea Nazionale nel 2012 e fondamentale per gli equilibri politici nel sud est, dove il Front National ha sempre ottenuto ottimi risultati ma oggi non ha candidati forti nei collegi favorevoli;

-La polemica molto aspra tra Florian Philippot, il braccio destro di Marine Le Pen, e il resto del partito sulla posizione da tenere sull’euro. Philippot ha fondato una sua associazione politica autonoma (Les Patriotes) e ha minacciato di lasciare il partito se la posizione dell’uscita dall’euro dovesse essere abbandonata, ricevendo risposte del tipo “che faccia pure, non abbiamo bisogno di lui”;

-La fine della brevissima alleanza con Nicolas Dupont-Aignan, unico candidato alle presidenziali a schierarsi per Marine Le Pen al secondo turno che ha abbandonato subito la nave e ha presentato candidati in tutte le circoscrizioni;

-Una grande difficoltà nei sondaggi con le proiezioni che danno il Front National a rischio persino nella costituzione di un gruppo parlamentare (servono 15 deputati).

Il partito sta iniziando a ragionare seriamente del proprio futuro, ed è previsto un congresso ad inizio 2018. L’obiettivo è arrivarci meno divisi di ora e con la leadership dell’opposizione alla presidenza Macron. Vaste programme.

Per oggi è tutto, domenica si vota, io sarò la mattina ospite di Omnibus La7 e seguirò lo spoglio a Roma su Radio 1, per chi vuole. Sabato scorso ho passato una giornata con il ministro dell’economia, Bruno Le Maire, che ho intervistato per Pagina99. Qui l’inizio dell’articolo, che trovate sul numero digitale e in edicola.

Tutti i sondaggi citati sono stati realizzati da Ifop per Le Figaro

Noi ci sentiamo lunedì, per commentare il voto!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, trentasettesima settimana: è Macron il nuovo leader dell’Occidente?

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Macron ha terminato il suo primo giro di incontri internazionali. L’esercizio è riuscito molto bene al nuovo presidente francese, che dopo la decisione di Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo sul clima si sta ponendo come nuovo leader dell’Occidente. Ma è stato soprattutto l’incontro con Vladimir Putin a far capire che tipo di atteggiamento terrà Macron nelle relazioni diplomatiche con gli altri paesi.

Emmanuel Macron è un presidente che intende utilizzare la storia del suo paese per legittimare le sue azioni. È una questione di comunicazione, certo, ma è soprattutto un modo di “riempire” le sue posizioni politiche e, in un certo senso, spersonalizzarle: Macron parla per la Francia ed è il garante di un percorso molto più grande di lui e finora questa attitudine è stata molto apprezzata sia dalla stampa interna che da quella internazionale. Dopo aver utilizzato il Louvre per inaugurare la sua presidenza, Macron ha subito utilizzato la reggia di Versailles per sottolineare una nuova fase nelle relazioni diplomatiche franco-russe. Lunedì scorso infatti, Vladimir Putin è stato ricevuto nel palazzo immaginato da Luigi XIV per il primo incontro con il nuovo presidente francese, che ha così terminato la sua settimana internazionale dopo la visita di Donald Trump, il summit della NATO a Bruxelles e il G7 di Taormina.

Nel maggio del 1717 lo Zar Pietro il Grande visitò per la prima volta Parigi accolto dall’ancora bambino Luigi XV e dal suo reggente, il duca d’Orleans. Pietro il Grande, che aveva già visitato l’Europa una ventina d’anni prima ma non era riuscito ad ottenere un’udienza da Luigi XIV, cercava appoggi politici e logistici per ammodernare il suo impero e cercare di importare il modello culturale europeo, e in particolare francese, in Russia. Dopo la visita francese lo zar creò l’Accademia delle scienze di Russia, sul modello dell’Académie Française e si ispirò a Versailles per completare la costruzione della reggia di Peterhof. La visita di Pietro fu l’inizio della “finestra aperta sull’Europa” e l’ingresso della Russia nel concerto delle grandi potenze europee.

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Da quel momento le relazioni franco-russe sono state segnate da alti e bassi, tra l’invasione di Napoleone e l’alleanza militare tra il 1892 e il 1917 (simboleggiata dal ponte Alexandre III a Parigi), ma è evidente il fascino che i paesi esercitano reciprocamente. I due modelli politici sono molto più simili di quanto si pensi: il peso dello Stato centrale, la grande rivoluzione, l’impero, la presidenza reale, per non parlare della grandissima influenza francese nella letteratura russa e viceversa. Emmanuel Macron ha ripreso tutte queste suggestioni e ha fatto capire che con lui i rapporti saranno franchi, ma distesi.

L’occasione, l’inaugurazione della mostra sul primo viaggio dello zar, proprio a Versailles, ha aiutato Emmanuel Macron a ricordare implicitamente le posizioni politiche difese da Putin nei primi anni al Cremlino, quando la politica estera russa era guidata dalla volontà di avvicinarsi all’Unione Europea e alla Nato. Non solo, è un fatto noto che Pietro è il sovrano che Putin preferisce, come ha spiegato al Figaro Francine-Dominique Liechtenhan biografa della dinastia Romanov: “Putin è nato a San Pietroburgo, la città fondata da Pietro il Grande nel 1708. Riceve regolarmente alla reggia di Peterhof e venera questo autocrate riformatore perché è colui che ha fatto entrare la Russia nella modernità”. Il presidente russo ha infatti molto apprezzato la visita, ricordando che le relazioni tra i due paesi sono persino più antiche della visita dello zar e che ha apprezzato molto il tentativo di riavvicinamento di Macron.

Con questo atteggiamento il presidente francese ha, ancora una volta, deciso di seguire le orme di Charles de Gaulle, che invitò Nikita Chruščёv proprio a Versailles nel 1960. La visita fu organizzata in un momento molto teso delle trattative della divisione di Berlino (all’epoca ancora sotto le zone di influenza francese, inglese, americana e, naturalmente, sovietica) e consentì al generale di porre le basi per i futuri rapporti con i sovietici, rapporti che furono mantenuti da tutti i presidenti successivi, in particolare da Jacques Chirac, che consegnò a Putin la legione d’onore nel 2006 (la più alta onorificenza francese) dopo averlo invitato alla commemorazione del sessantesimo anniversario dello sbarco in Normandia nel 2004.

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Chruščёv e de Gaulle a Versailles nel 1960

Il riferimento a de Gaulle non è casuale, Macron riceve Putin subito dopo aver incontrato tutti i leader della Nato, ponendosi in questo modo come portavoce delle potenze occidentali. Macron, dopo una presidenza molto ostile alla Russia e insolitamente vicina agli Stati Uniti, ha voluto ristabilire la tradizionale posizione francese in politica estera: sì alleati degli americani ma autonomi e indipendenti, capaci di avere un rapporto costruttivo con la Russia a prescindere da cosa pensa Washington. D’altronde, secondo de Gaulle, l’Europa era compresa tra l’Atlantico e gli Urali, e l’evocazione di Pietro il grande implica San Pietroburgo e non Mosca: in un momento in cui la Russia sta cercando un interlocutore in Occidente, vista la tradizionale freddezza britannica, la posizione molto dura di Angela Merkel e l’inaffidabilità di Donald Trump, la mano tesa di Macron è benvenuta.

La Francia torna quindi a discutere con la Russia dopo che Hollande aveva chiuso tutti i canali diplomatici con Putin, una relazione mai decollata che aveva trovato il suo punto più basso a novembre, quando Putin decise di non partecipare all’inaugurazione del centro culturale e spirituale ortodosso di Parigi lo scorso novembre. Molte analisi dei giorni successivi hanno sottolineato come Macron abbia capito perfettamente qual è il modo in cui ragiona Putin: il presidente russo comprende i rapporti di forza, e ha capito che con il presidente francese potrà avere un rapporto franco e diretto.

Diretto al punto da tracciare una nuova linea rossa: l’uso delle armi chimiche in Siria non sarà tollerato, la Francia è pronta ad intervenire militarmente per sanzionarne un nuovo utilizzo; i diritti della comunità LGBT in Cecenia e delle ONG in Russia vanno salvaguardati, e la Francia veglierà affinché non vengano violati in continuazione come negli ultimi mesi. Infine, uno dei momenti più tesi: l’evocazione dell’ influenza russa durante la campagna elettorale. Macron ha esplicitamente criticato le due agenzie di stampa RT e Sputnik che “non fanno giornalismo e quindi non hanno potuto avere accesso al Quartier Generale di En Marche!”, un passaggio che è stato molto ripreso dai telegiornali e dalle televisioni di tutto il mondo

Infine, giovedì sera è arrivata la decisione ufficiale di Donald Trump: gli Stati Uniti non onoreranno l’impegno preso dall’amministrazione Obama con il trattato Cop21, l’accordo mondiale sul contrasto ai cambiamenti climatici. Appena il presidente americano ha terminato il suo discorso alla Casa Bianca, l’Eliseo ha annunciato che il presidente Macron avrebbe reagito con un messaggio alla nazione. Macron ha prima parlato in francese, criticando la decisione degli Stati Uniti, giudicandola incomprensibile, poi in inglese, rivolgendosi direttamente agli americani e invitando tutti gli scienziati che vogliono continuare a impegnarsi per il pianeta a venire in Francia, dove avranno la possibilità di farlo (cosa che aveva già fatto, sempre in inglese, durante la campagna elettorale). La conclusione “make our planet great again” è stata un attacco diretto e quasi personale a Donald Trump, che non avrà gradito l’ennesima provocazione del giovane presidente francese.

 

È chiaro che Macron, in questo momento di campagna elettorale, stia sfruttando la scena internazionale per consolidare il proprio vantaggio nei sondaggi, che lo danno già tranquillo vincitore delle elezioni legislative in programma la settimana prossima. Ma c’è qualcosa di più: il presidente ha deciso di raccogliere il testimone di Barack Obama e accreditarsi come nuovo leader mondiale, un ruolo che ha sempre rivendicato di voler esercitare, per se stesso e per il suo paese. Per ora l’obiettivo sembra riuscito, ma le sfide più grandi sono ancora davanti a lui.

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Il sondaggio è stato effettuato dall’istituto Ipsos

Il personaggio della settimana

 

Nathalie Kosciusko-Morizet è una delle figure politiche di primo piano più a rischio in queste elezioni legislative. È candidata nella seconda circoscrizione di Parigi, un collegio considerato blindato dalla destra gollista ed ex circoscrizione di François Fillon. Si dice che questo sia uno dei motivi per cui non ha mai abbandonato la campagna presidenziale nemmeno nei momenti più critici, nonostante avesse poco in comune con toni e programma. NKM, come viene spesso abbreviato il suo nome, ha infatti difeso una posizione liberale-libertaria durante le primarie della destra di novembre, e ha sostenuto Alain Juppé al secondo turno. Nonostante la posizione conciliante nei confronti di Emmanuel Macron deve affrontare un candidato di En Marche! oltre a due candidati vicini ai repubblicani (tra cui Henri Guaino, ex consigliere di Sarkozy). I sondaggi dicono che perderà le elezioni (al ballottaggio il candidato di En Marche!, Gilles Le Gendre, la batterebbe 68 per cento a 32 per cento): se dovesse accadere il collegio sarebbe uno dei simboli della “caduta del vecchio mondo”. Peccato che a farne le spese sia uno dei volti più interessanti della destra repubblicana.

Consigli di lettura

-Ne ho già scritto la settimana scorsa, ma qui trovate un utilissimo riassunto dell’affaire Ferrand, lo scandalo che sta mettendo in discussione la posizione del ministro per la coesione territoriale;

Secondo il New Statesman il discorso con cui Emmanuel Macron ha reagito all’annuncio di Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dalla Cop21 è quello che tutti noi attendevamo da un giovane leader progressista. Però potrebbe non essere il miglior modo di trattare con Trump, e quindi essere controproducente;

La lunga intervista concessa da Vladimir Putin al Figaro, il giorno dopo l’incontro di Versailles. Vale l’abbonamento, così come vale l’abbonamento il racconto di come si prepara un’intervista del genere;

-La cronaca della visita di Pietro il Grande a Parigi nel 1917, in un bellissimo articolo scritto dal Monde Diplomatique nel 1959, alla vigilia della visita di Chruščёv.

Per oggi è tutto, noi ci sentiamo venerdì mattina per fare il punto prima del voto di domenica!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, trentaseiesima settimana: i primi problemi per Macron

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1-Richard Ferrand, ministro della coesione territoriale e uno degli uomini più vicini a Emmanuel Macron, è coinvolto in un piccolo scandalo che potrebbe danneggiare il presidente. Di che si tratta?

2-Le legislative si avvicinano, mancano due settimane e En Marche! sembra essere in grado di raggiungere la maggioranza assoluta.

1-C’è un FerrandGate?

La prima grande legge della presidenza Macron sarà una “legge sulla moralizzazione della vita pubblica”. Il testo, che è frutto dell’alleanza elettorale che ha concluso il nuovo presidente con François Bayrou, prevede una serie di misure molto restrittive per i parlamentari come l’obbligo di non avere processi in corso, un limite  di tre mandati consecutivi, il divieto di assumere i familiari come assistenti parlamentari e il divieto o la forte restrizione dell’attività di consulenza durante il mandato. La legge, che mira a evitare il ripetersi di scandali come quello di François Fillon, mette d’accordo un po’ tutti, cittadini e partiti politici, e serve a Emmanuel Macron anche per mostrare concretamente che i privilegi utilizzati dai vecchi partiti non saranno più tollerati.

Fin qui tutto bene, se non fosse che mercoledì scorso il Canard enchaîné, il settimanale satirico che ha rivelato il Penelope Gate, ha accusato Richard Ferrand, ministro della coesione territoriale, segretario di En Marche! e uno degli uomini più vicini al presidente,  di essere protagonista di una “saga di affitti familiari”. Il giornale si riferisce a dei fatti del 2011 quando Ferrand era direttore generale delle Mutuelles de Bretagne (ruolo che ha occupato dal 1993 al 2012, quando è stato eletto deputato), un organo che raggruppa tutte le mutuelles del dipartimento Finistère. La mutuelle è una società senza scopo di lucro che consente ai soci di avere dei vantaggi in termini di prezzi o prestazioni nell’ambito in cui la società è attiva, in questo caso nella sanità.

A gennaio 2011 la società decide di aprire una nuova sede per un centro di ricovero a Brest e pubblica quindi una gara per decidere da chi affittare il locale da utilizzare. Tra le tre offerte ricevute viene scelta all’unanimità quella di una società civile immobiliare chiamata SACA, che propone un affitto di 42000 euro l’anno. Il motivo della scelta è che la proposta è la più conveniente dal punto di vista economico. Nulla di male se non fosse che la stessa società, che fa capo alla moglie del direttore generale, Richard Ferrand, al momento dell’accordo non esista ancora legalmente e non abbia nemmeno acquistato i locali che propone in locazione. Secondo il Canard enchaîné è proprio grazie a questo accordo che Sandrine Doucen (la moglie di Ferrand), riesce ad aprire la società immobiliare e comprare la sede di Brest: i 402000 euro di mutuo concessi dal Credit Agricole sono pari al 100 per cento della somma necessaria all’acquisto del locale che poi verrà affittato alla mutuelle: “un trattamento riservato solo a chi ha un affittuario il cui reddito è garantito”, come spiega il settimanale.

Inoltre il locale comprato dalla moglie di Ferrand è stato rinnovato con dei lavori pari a 184000 euro totalmente a carico della mutuelle senza alcuna contropartita che ha consentito un aumento di valore della società civile immobiliare di 3000 volte, sempre secondo il settimanale. Infine il ministro della coesione territoriale ha assunto suo figlio come assistente parlamentare per quattro mesi, durante l’estate del 2013, per la gestione dei suoi profili social media e per la manutenzione del suo sito web, pratica ormai stigmatizzata, ma assolutamente legale (non sembra ci siano sospetti sull’effettiva realizzazione del lavoro).

I due “affaires” non sono tali dal punto di vista legale; nel caso dell’impiego del figlio non sembrano esserci problemi, nel caso delle mutuelles non si tratta di denaro pubblico e quindi il Parquet National Financier, la procura istituita da François Hollande per trattare gli scandali che riguardano l’utilizzo a fini personali delle finanze dello Stato, ha dichiarato di non essere competente a riguardo, così come la procura di Brest. Ciò detto, è innegabile che la storia ponga un problema: François Bayrou, durante la conferenza stampa in cui ha annunciato la sua alleanza con Macron, a febbraio, ha dichiarato che una legge sulla “moralizzazione della vita pubblica” era stata una delle contropartite da lui richieste. Le parole contano, non è una legge che intende solo regolamentare la vita pubblica, ma intende “moralizzarla”: il suo obiettivo è più ampio, morale vuol dire etica, dei concetti astratti e simbolici per un potere che si pretende nuovo e vuole rompere con le pratiche del passato. In questo senso la posizione di Ferrand è delicata, Emmanuel Macron non si è espresso e l’Eliseo ha fatto capire che non lo farà, il primo ministro Édouard Philippe ha chiarito che la sorte di Ferrand sarà decisa dagli elettori, visto che il ministro è candidato nella sesta circoscrizione di Finistère, e Christophe Castaner, il portavoce del governo ha ammesso che la situazione è spiacevole perché “aggiunge sospetto in una situazione generale di sospetto”.

La questione non è di facile gestione per l’Eliseo anche perché Ferrand è uno degli uomini più vicini al presidente: è stato il primo deputato a lasciare il PS per En Marche! ed è il segretario del movimento. Se l’affaire dovesse montare con altre rivelazioni o dovesse iniziare a creare divisioni all’interno del Governo (François Bayrou, che è il ministro della giustizia, non ha ancora commentato) le legislative potrebbero essere l’occasione per risolvere il problema: storicamente il governo viene “aggiustato” a seguito delle elezioni, tenuto conto dei nuovi equilibri che si creano in Assemblea, e tenuto conto di qualche ministro candidato che, come abbiamo chiarito la settimana scorsa, se dovesse perdere il collegio dovrebbe automaticamente dimettersi. Il 18 giugno potrebbe quindi essere chiesto a Ferrand di fare un passo indietro.

2-Le legislative si avvicinano

È ancora presto per avere dei sondaggi accurati, anche perché oltre un terzo dei deputati uscenti non si ricandida (ed è un record storico) e quindi nelle circoscrizioni ci sono moltissimi volti nuovi. Chiaramente i sondaggi che contano davvero non sono quelli che valutano le intenzioni di voto a livello nazionale (che pure indicano le tendenze) ma quelli che vengono effettuati nelle singole circoscrizioni; di per sé non è un esercizio semplice per i sondaggisti e stavolta è ulteriormente complicato dalla confusa situazione politica. Innanzitutto il progetto centrale di Emmanuel Macron incoraggia la grande liquidità dell’elettorato francese sottolineata più volte durante la campagna presidenziale. In 50 circoscrizioni su 577 non sono presenti i candidati di En Marche! ma dei candidati considerati macron-compatibili; alcuni di questi hanno sul proprio manifesto l’indicazione “maggioranza presidenziale” (è il caso di Bruno Le Maire, ex repubblicano, ministro dell’economia di Macron non investito ufficialmente da En Marche!), altri no, pur non avendo nessun candidato di Macron nel proprio collegio (è il caso di Stéphane Le Folle, ex ministro dell’agricoltura con Hollande rimasto nel Partito socialista).

A complicare ancora il quadro sono le divisioni interne ai partiti tradizionali: alcuni candidati con il simbolo dei repubblicani hanno un atteggiamento conciliante nei confronti di Macron (ad esempio l’ex primo ministro Jean Pierre Raffarin) e si dicono disposti a collaborare con il suo governo una volta eletti, altri candidati con lo stesso simbolo vogliono invece una politica intransigente nei confronti del presidente (i deputati vicini a Laurent Wauquiez). Insomma, votare repubblicano in un collegio non è la stessa cosa che votare repubblicano in un altro.

A questa situazione di per sé confusa si aggiunge l’imbroglio dei manifesti elettorali. In molte circoscrizioni alcuni candidati che hanno, appunto, posizioni concilianti nei confronti di Macron, ma che hanno allo stesso tempo un candidato En Marche! come avversario, hanno ritoccato i loro manifesti in maniera molto ambigua, con l’indicazione di “maggioranza presidenziale” e senza simboli di partito. Erwann Binet è un candidato del Partito socialista che ha come avversaria une candidata de la République en marche, Caroline Abadie. Ecco il suo manifesto, notate qualcosa di strano?

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O ancora Anthony Pitalier, investito dai socialisti e con un candidato di En Marche! a contendergli il collegio, gioca la carta della “maggioranza presidenziale” senza essere stato invitato a farlo.

Capite che in queste condizioni chi non segue moltissimo le dinamiche può essere abbastanza confuso.

Come detto, le intenzioni di voto a livello nazionale non aiutano moltissimo nel capire quanti seggi possono essere attribuiti, ma possiamo registrare una dinamica favorevole al presidente: dato intorno al 22 per cento subito dopo la vittoria alle presidenziali (quindi più o meno in linea con il suo risultato al primo turno) in un sondaggio condotto da Opinion Way per Les Echos è stimato al 28 per cento, mentre i repubblicani, che sono al momento il suo avversario più temibile al 20 per cento.

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Il sondaggio più interessante è però il seguente, che indica quanti francesi gradirebbero una maggioranza solida per Emmanuel Macron. La percentuale è piuttosto alta perché va molto al di là delle intenzioni di voto per En Marche! registrate dallo stesso sondaggio. Ciò vuol dire che non solo il partito del presidente è in questo momento in grado di mobilitare i propri elettori, ma che ci sono elettori di altri partiti che in fondo potrebbero pensare di “dare una chance” a En Marche!, essendo quindi meno motivati ad andare a votare contro i candidati della maggioranza presidenziale. Le elezioni legislative in Francia si giocano su entrambe le attitudini, e Emmanuel Macron ha lanciato tutti i messaggi possibili pur di “smobilitare” il centro-destra: il primo ministro repubblicano, l’economia ad una figura di spicco della destra, la postura di capo dell’esercito molto apprezzata dai gollisti storici.

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Il personaggio della settimana

Mounir Mahjoubi è uno dei volti nuovissimi portati da Emmanuel Macron al governo. È stato nominato sottosegretario di Stato al digitale, ha 33 anni, è figlio di immigrati marocchini ed è stato a capo del Conseil national du numérique, la commissione creata da François Hollande per valutare l’efficacia delle politiche pubbliche in materia di innovazione e tecnologia digitale. Ha raggiunto En Marche! occupandosi della campagna dal punto di vista digitale a gennaio 2017, e ha contribuito a sventare l’attacco informatico di cui è stato vittima il comitato elettorale alla vigilia delle elezioni. È inoltre candidato in una circoscrizione molto simbolica, la sedicesima di Parigi, che comprende il 19éme e il 20éme arrondissement ed è una storica roccaforte della sinistra. Al primo turno Jean-Luc Mélenchon è arrivato in testa con il 30 per cento dei voti, di poco avanti Emmanuel Macron, ma è soprattutto la circoscrizione dove è candidato il segretario del partito socialista, Jean Christophe Cambadélis. Venerdì sono andato ad un evento organizzato in un bar del quartiere e nel suo discorso il sottosegretario ha più volte sottolineato l’importanza simbolica di voltare pagina eleggendo lui al posto di Cambadélis, deputato del collegio, sempre rieletto dal 1997.

Consigli di lettura

-Se vi divertono tutti i manifesti elettorali ambigui c’è un articolo divertente pubblicato dall’Obs che vi consiglio (e che ho ampiamente utilizzato per la seconda parte);

-Il filosofo Guillaume Perrault analizza il cambiamento delle campagne elettorali dai tempi dei romani fino ad oggi, passando per la rivoluzione del 1789;

-Una lunga intervista alla filosofa Sandra Laugier, che ha partecipato attivamente alla campagna elettorale di Benoît Hamon e spiega le ragioni delle sconfitta.

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, trentacinquesima settimana: il primo governo dell’era Macron

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1-Emmanuel Macron ha nominato Édouard Philippe primo ministro e  insieme hanno formato il nuovo governo: che tipo di squadra è?

2-L’11 e il 18 giugno si vota per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale. In genere un’elezione scontata, questa volta è imprevedibile. Quali sono le strategie del presidente per ottenere la maggioranza?

1-Il governo di Emmanuel Macron

La nomina del nuovo primo ministro e della squadra di governo è stato l’evento politico della settimana: ho scritto una lunga analisi per Gli Stati Generali con un ritratto di tutte le personalità che ne fanno parte, chi vuole puòapprofondire cliccando qui. La squadra è composta da 22 persone, 11 uomini e 11 donne, metà provenienti dalla società civile, seppure tutt’altro che a digiuno di affari pubblici: in molti hanno avuto ruoli apicali nei ministeri o in organismi statali. Come promesso il governo è composto da profili molto diversi, c’è la destra, la sinistra, il centro e l’ecologia: un esperimento di biodiversità, come l’ha definito il nuovo ministro dell’ambiente, Nicolas Hulot.

L’idea di mettere insieme personalità così diverse senza esserne costretti da un risultato elettorale e da accordi serrati con le segreterie degli altri partiti è nuova e trasgressiva, e conferma l’impressione che Macron fa sul serio: il suo progetto è incentrato su un cambiamento radicale delle regole non scritte del gioco. I tratti comuni dei ministri sono, oltre a una competenza media molto alta, un certo pragmatismo e l’europeismo. Sono tutte persone che hanno dato prova di riuscire a lavorare con politici o personaggi di idee differenti e che hanno più volte dichiarato alla stampa in tempi non sospetti che il settarismo partigiano ha impedito di portare a termine le riforme necessarie al paese.

 

C’è un fatto che però va ricordato: finora il presidente non ha incontrato grandissime difficoltà, ha anzi beneficiato di una serie di casi e fortune che hanno reso possibile la sua cavalcata trionfale. La realtà però presenta spesso situazioni imprevedibili e nessuno è immune alla sfortuna. Noi immaginiamo che i ministri siano stati scelti sulla base del programma del presidente, e sappiano perfettamente quali sono le riforme che dovranno guidare, con che tempi e in che maniera. Questo dovrebbe risolvere il più grande problema che ha avuto Hollande per esempio: eletto su un programma molto di sinistra ha poi cambiato completamente linea politica dopo due anni senza mai spiegarlo non solo ai suoi elettori, ma nemmeno ai suoi ministri. Come si comporteranno quando dovranno affrontare imprevisti, crisi e scelte politiche controverse?

La composizione eterogenea potrebbe funzionare per quanto già è stato previsto, ma potrebbe mostrare i propri limiti con il passare del tempo. Non è vero che destra e sinistra non esistono più, non è vero che le differenze si sono annullate nel nuovo bipolarismo apertura/chiusura e globalismo/nazionalismo. Questa nuova semplificazione serve in campagna elettorale, specie contro un avversario come il Front National, ma non può riassumere e contenere tutte le differenze di una società, quella francese, molto frammentata. Per funzionare questo esperimento ha bisogno di grande pragmatismo da parte dei ministri, di capacità di mediazione da parte del primo ministro e, appunto, di un po’ di fortuna: fortuna che tutto accada come previsto o come prevedibile.

“Non voglio generali bravi, ma generali fortunati” pare abbia detto Napoleone. Non sono riuscito a trovare la fonte, ma il concetto mi pare esemplificativo.

Il nuovo primo ministro è bravissimo nelle imitazioni 

Infine, una delle incognite di questo governo è la cosiddetta “dottrina Juppé”. Ci sono alcuni ministri anche candidati alle legislative, e l’Eliseo ha chiarito che in caso di sconfitta nel loro collegio dovranno dimettersi in automatico come successe ad Alain Juppé nel 2007. Juppé, nominato ministro dell’ecologia, fu costretto a dimettersi dopo aver perso contro la socialista Michèle Delaunay. In particolare le posizioni sensibili sono quelle di Christophe Castaner, nominato in un ruolo delicatissimo e candidato nel collegio Alpes-de-Haute-Provence, una circoscrizione dove Emmanuel Macron è arrivato terzo al primo turno e ha vinto al secondo di pochissimi voti, e Bruno Le Maire, ministro dell’Economia candidato alla successione di se stesso nella prima circoscrizione dell’Eure; in questo collegio Marine Le Pen è arrivata in testa al primo turno con il 29,2 per cento dei voti. Sono impegnati alle legislative anche Marielle de Sarnez, Richard Ferrand, Annick Girardin e Mounir Mahjoubi (quest’ultimo a Parigi contro il segretario del Partito Socialista, Jean Christophe Cambadélis). È chiaro che una o più sconfitte potrebbero scatenare un effetto domino e costringere presidente e primo ministro a cambiare completamente la squadra di governo.

2-Comincia una nuova campagna elettorale

Come sa bene chi è iscritto da un po’ a questa newsletter, l’11 e il 18 giugno i francesi voteranno per rinnovare la loro camera bassa, l’Assemblée Nationale. L’Assemblea dà la fiducia al Governo ed è la sede principale del potere legislativo che è esercitato, in un sistema di bicameralismo imperfetto, insieme al Senato. Queste elezioni, finora abbastanza noiose e scontate, sono diventate importanti quasi quanto le presidenziali.
Dal 2002 al 2012 le elezioni legislative sono state poco importanti perché “confermative”. Si giocavano in un contesto tendenzialmente bipolare, e seguivano il risultato dell’elezione presidenziale tenutasi il mese precedente. Nel 2002 vinse le presidenziali Jacques Chirac, che riuscì ad ottenere la maggioranza dei seggi in Parlamento il mese dopo (398 seggi su 577); nel 2007 le presidenziali videro l’affermazione di Nicolas Sarkozy, che vinse anche le legislative successive (345 seggi su 577); stessa cosa è accaduta a François Hollande nel 2012, con 331 deputati su 577. Stavolta le cose sono diverse, perché il sistema politico su cui si regge la V Repubblica è completamente saltato.

Come si vota?

Il territorio francese è diviso in 577 collegi uninominali a doppio turno assegnati con il meccanismo seguente: se nessun candidato arriva al 50 per cento dei voti espressi da almeno il 25 per cento degli elettori iscritti alle liste elettorali al primo turno, si qualificano al secondo tutti i candidati che hanno ottenuto almeno il 12,5 per cento degli iscritti alle liste elettorali, il che vuol dire, con l’astensione, più o meno il 20 per cento dei voti validi. Se nessun candidato ottiene una tale percentuale (quindi in casi di astensione altissima) si qualificano al ballottaggio i due candidati che hanno ottenuto la maggioranza dei voti espressi.

È quindi possibile che al secondo turno si verifichino, oltre alle sfide 1 contro 1, dei ballottaggi triangolari e in alcuni casi eccezionali quadrangolari; in questi ultimi due casi non serve raggiungere il 50 per cento più 1 dei voti per essere eletti, ma basta ottenerne la maggioranza relativa. Il territorio francese diventa quindi teatro di 577 mini-presidenziali, ma va da sé che in una situazione politica in cui il territorio è diviso asimmetricamente tra le varie forze politiche, le mini-presidenziali si giocano tra candidati di caratura diversa e tra candidati di partiti diversi. Così può capitare che ci siano dei ballottaggi En Marche! contro Front National, come accaduto al secondo turno, ma anche ballottaggi Les Républicains contro la France Insoumise, o alcuni collegi dove il candidato socialista riesce ad accedere al secondo turno, altri dove i candidati di Macron non sono nemmeno presenti.

Il movimento di Emmanuel Macron infatti, ribattezzato La République En Marche, ha investito 526 deputati su 577, lasciando quindi 51 collegi liberi. Le circoscrizioni senza candidato non sono casuali, ma vedono concorrenti di peso giudicati Macron-compatibili per il loro profilo politico e per le loro dichiarazioni di collaborazione.

I soli due ministri non targati En Marche! candidati sono Bruno Le Maire e Ericka Bareigts, che non hanno nessun concorrente En Marche! ovviamente. Stessa cosa per Agnès Firmin Le Bodo, che sostituisce il primo ministro Édouard Philippe nel suo ex collegio nella Senna Marittima. Sono risparmiati anche profili molto interessanti, come Thierry Solère, organizzatore delle primarie della destra, che ha dichiarato di “non essere all’opposizione di questo governo”, o i deputati che prendono il posto di Xavier Bertrand, repubblicano e presidente della regione Hauts-de-France, a lungo corteggiato (apparentemente senza successo) da Macron e Christian Estrosi, repubblicano, ex presidente della regione Provence-Alpes-Côte d’Azur e ora tornato a fare il sindaco di Nizza.

Ma Macron non ha risparmiato solo repubblicani: gli ex ministri di Hollande Stephane Le Foll, Miriam El Khomri e Marisol Touraine non hanno concorrenti nel loro collegio così come Sylvia Pinel, ex candidata alle primarie del partito socialista in gennaio e presidente del Parti Radical de Gauche. L’obiettivo è quindi cercare di vincere la maggioranza delle circoscrizioni in cui En Marche! ha presentato candidati avendo una sorta di riserva rappresentata dai personaggi sopra citati. È chiaro che però, in alcuni casi, il sostegno alla maggioranza presidenziale verrà concesso dopo accordi su ministeri o punti specifici del programma.

Il caso Valls
Manuel Valls è stato primo ministro per due anni e mezzo durante la presidenza di Hollande, per poi dimettersi a dicembre per partecipare alle primarie del partito socialista, primarie che ha perso contro Benoît Hamon. Dopo lunghi mesi passati in silenzio ha deciso di non rispettare l’impegno preso durante la competizione interna (chi perde si impegna, chiaramente, a sostenere il vincitore) e dichiarare il proprio sostegno a Macron. Questa scelta ha poi determinato un’accelerazione a partire dal giorno successivo l’elezione, quando Valls ha esplicitamente detto in radio di essere il candidato della maggioranza presidenziale nella sua circoscrizione dell’Essonne. La dichiarazione ha creato non pochi problemi nell’entourage di Macron che detesta l’ex primo ministro. Per due giorni si sono succeduti in tv tutti i luogotenenti a colpi di “non ci risulta”, “non ha i requisiti”, “Valls non è un profilo diverso dagli altri, deve depositare la sua candidatura e noi dobbiamo esaminarla”, “non siamo un impianto di riciclaggio”. Insomma un “grazie ma no, grazie”.

Alla fine il problema è stato risolto da Emmanuel Macron in persona. Macron, che non ama (eufemismo) Valls, ha ben presente che la sua maggioranza potrà essere precaria, o che in ogni caso cinque anni sono lunghi e la sua presidenza avrà bisogno di tutti. Alla fine è stato trovato un compromesso: Valls non è candidato di La République En Marche ma non avrà alcun marcheur a contendergli la circoscrizione. La stessa scelta è stata fatta dal Partito socialista. Se è vero che questa può sembrare un’investitura mascherata, sarà difficile che Valls crei un gruppo parlamentare all’Assemblea: tutti i deputati considerati “vallsisti” hanno un candidato En Marche! avversario nella loro circoscrizione. Insomma la scommessa di Manuel Valls, cioè creare un gruppo all’Assemblea per essere determinante negli equilibri di governo, sembra difficile da vincere.

I problemi dei repubblicani

L’irruzione di una forza politica come En Marche! al centro ha prima vampirizzato i socialisti e ora sta causando grandi difficoltà ai Repubblicani. Il leader designato dall’ufficio politico del partito per le prossime legislative è François Baroin, chirachiano prima, sarkozysta poi, al fianco di Fillon durante lo scandalo della moglie. Baroin è interprete di una linea di dura opposizione a Macron, ha votato per lui al ballottaggio come tutto il partito, ma non intende collaborare con il nuovo presidente e sta conducendo una campagna con l’obiettivo di ottenere la maggioranza assoluta all’Assemblea e imporre una coabitazione a Macron.

La nomina di Philippe come primo ministro, e dei repubblicani Le Maire e Darmanin in due ministeri chiave (Economia e Budget) è chiaramente un forte segnale per gli elettori della destra moderata e costringerà i repubblicani a condurre una campagna sempre più intransigente e a destra per recuperare i voti del Front National. Un ulteriore passo verso un’opposizione a prescindere e una radicalizzazione del partito e del suo elettorato di riferimento già denunciata da Alain Juppé durante la campagna presidenziale. In questo senso la strategia di Macron pone un problema più a lungo termine: svuotando e inglobando i partiti tradizionali si rischia di lasciare l’alternanza agli estremi e non ad un altro partito di governo. È forse presto per parlarne in maniera approfondita, ma è uno degli effetti collaterali del macronismo da iniziare a considerare.

Il personaggio della settimana

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David Pujadas è uno dei volti televisivi più noti. È uno dei due conduttori de L’Émission Politique, il lungo talk show più volte citato in questa newsletter, ma è soprattutto il presentatore storico del tg delle 20 di France 2. Mercoledì è stato annunciato che non presenterà più il tg e sarà sostituito da Anne-Sophie Lapix, la presentatrice di C à Vous, un programma di attualità molto conosciuto. Non sono state date spiegazioni dalla direzione di France Televisions oltre ad una generica volontà di ringiovanire la rete. Pujadas è una sorta di Enrico Mentana francese, è giusto quindi che voi sappiate chi sia.

Consigli di lettura

Un lungo riassunto del JDD su tutte le circoscrizioni lasciate libere da La République En Marche e sui motivi che hanno portato a queste scelte, molto diversi a seconda dei casi;

-Il filosofo Raphaël Glucksmann ragiona sulla scelta dei simboli di Emmanuel Macron, e si augura un nuovo rinascimento europeo;

-Ellen Salvi ha scritto un lungo ritratto di Édouard Philippe, nuovo primo ministro di Macron con cui condivide un carattere trasgressivo e spesso sopra le righe;

-Per Bruno Le Maire essere stato nominato ministro dell’Economia è una rivincita personale. La storia è raccontata da Judith Waintraub, la giornalista del Figaro che si occupa della destra.

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

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