Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, edizione straordinaria: al voto al voto (di nuovo)

Edizione straordinaria della newsletter sulle presidenziali francesi

Mesi fa, quando è iniziato ad apparire chiaro che Macron aveva serie possibilità di vittoria alle presidenziali, moltissime analisi (comprese le mie) dubitavano di una vittoria alle successive elezioni legislative. Il ragionamento era che un movimento poco strutturato sul territorio, molto giovane, che aveva basato tutto il suo successo sulla capacità del proprio leader, non sarebbe stato così competitivo in un’elezione che è sì nazionale, ma ha una notevole componente locale data dal collegio uninominale. Si diceva, all’epoca, che già raggiungere la maggioranza relativa sarebbe stato un grande successo, visto anche l’annunciato exploit del Front National e la storica competitività dei repubblicani alle legislative. Parlando con più deputati macronisti mi veniva invece spiegato che le legislative non sarebbero state un problema, perché “se i francesi ti fanno vincere alle presidenziali poi ti danno anche i mezzi per governare”.

A quanto sembra a En Marche! avevano ragione e noi giornalisti, politologi e analisti torto. Come vedete le proiezioni sono abbastanza evidenti e segnalano una maggioranza da record all’Assemblea Nazionale. Tanto che secondo il Canard Énchainé il presidente avrebbe detto in privato di essere “preoccupato” di una maggioranza così ampia. Perché la preoccupazione? En Marche! ha fatto del rinnovamento uno dei pilastri della sua campagna elettorale: metà dei candidati all’Assemblea non hanno mai avuto mandati elettivi, meno del 10 per cento è deputato uscente. Questo però pone un problema, soprattutto in un gruppo così grande: come si gestiscono persone che non sanno come funziona la vita di un gruppo parlamentare e hanno una grande autonomia personale, venendo dal mondo delle professioni?

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La proiezione dei seggi dopo i due turni delle legislative

Intendiamoci, avere un solido mestiere oltre alla politica è una cosa positiva, però può aumentare il rischio di fronda su alcuni provvedimenti. Anche perché la provenienza politica dei candidati è molto eterogenea: come annunciato da En Marche! sarà la Francia sedicente progressista a comporre la maggioranza presidenziale, persone di destra, di sinistra e di centro unite dalla volontà di attuare il programma del presidente. Più facile a dirsi che a farsi: non è detto che i vari deputati andranno sempre d’accordo e anzi è possibile immaginare che le discussioni saranno abbastanza accese; in questo senso sarà molto importante capire chi diventerà il presidente del gruppo parlamentare, visto che il ruolo sarà molto delicato e spesso decisivo. Un conto è gestire i 300 deputati necessari per avere una maggioranza tranquilla, altra questione è gestirne quasi 400.

I rischi che un gruppo di maggioranza così ampio (siamo sul 65 per cento dei seggi) porta con sé sono principalmente due, oltre alle difficoltà di gestione. Il primo è che il dibattito democratico si sposti da una dinamica maggioranza-opposizione che si affrontano secondo i rispettivi ruoli, ad una dinamica di discussione tutta interna alla maggioranza. Questo non è un bene per la democrazia che ha bisogno di un pluralismo di opinioni e soprattutto per un paese come la Francia, dove il problema della mancanza della rappresentanza è molto dibattuto e sentito dai cittadini. Il secondo rischio, direttamente legato al primo, è che l’opposizione non trovi altro modo che manifestarsi in piazza, visto che all’Assemblea il secondo gruppo, quello repubblicano, non è giudicato in grado di fare un’opposizione molto dura (alcuni candidati si sono detti pronti a votare molte leggi proposte da Macron). Una situazione del genere potrebbe presentarsi già nei prossimi mesi sulla grande riforma del mercato del lavoro: l’introduzione della flexisecurity promessa dal presidente è uno dei temi che più divide l’opinione pubblica, e le forze che le sono avverse rischiano di essere poco rappresentate in parlamento.

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Le intenzioni di voto a livello nazionale

La crisi dei partiti tradizionali

Socialisti e repubblicani si trovano in una situazione di grande difficoltà, seppure con gradazioni diverse. I socialisti rischiano la scomparsa, con le proiezioni che attribuiscono meno di 40 seggi al partito che durante la Quinta Repubblica ha espresso due presidenti della repubblica e nove primi ministri. Personalità storiche rischiano di perdere il proprio collegio (come l’ex primo ministro Manuel Valls, il candidato alle presidenziali Benoît Hamon o l’ex ministro dell’istruzione Najat Vallaud-Belkacem), e il partito è vittima del “grand remplacement”, della grande sostituzione con En Marche!, come ha efficacemente titolato il Figaro.

I gollisti tengono nelle intenzioni di voto rispetto alle presidenziali ma sono sotto shock, rischiando di passare dai 229 deputati eletti nel 2012, quando pure erano stati sconfitti alle presidenziali, ad un  piccolo gruppo di 150. Gli elettori di destra sono molto confusi: hanno visto il loro candidato, favorito dopo la vittoria alle primarie, eliminato dal primo turno, e hanno ricevuto incessanti segnali nella composizione del nuovo governo di Macron, che potrebbero giudicare non così distante dalle loro idee. Il primo ministro è stato segretario generale dell’UMP (la formazione post gollista immaginata da Chirac e Juppé), e il ministero dell’Economia è interamente nelle mani degli ex repubblicani Le Maire e Darmanin. Come vedete, la metà degli elettori repubblicani preferisce Edouard Philippe come primo ministro a François Baroin, che è il leader del partito.

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È proprio la leadership un altro punto di debolezza dei socialisti e dei repubblicani. Bernard Cazeneuve, capo della campagna socialista ed ex primo ministro molto apprezzato durante la fine della presidenza Hollande, ha deciso di non ricandidarsi all’Assemblea Nazionale e ha fatto capire che dopo le elezioni andrà a lavorare in uno studio legale. François Baroin ha invece detto più volte che potrebbe tornare a fare semplicemente il sindaco di Troyes e occuparsi dell’associazione dei sindaci di Francia di cui è presidente, lasciando addirittura il Senato (ad oggi è senatore-sindaco).

Tutti segnali di precarietà e confusione che de-mobilitano un elettorato già fortemente disilluso dopo la vittoria di Emmanuel Macron, e che potrebbe pensare di dare una chance al giovane presidente.

La vera opposizione

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Chi incarna al meglio l’opposizione a Macron?

Front national e France insoumise sono due partiti molto penalizzati dal modo di scrutinio maggioritario a doppio turno. Possono da un lato rallegrarsi vista la credibilità acquisita e riconosciuta dai francesi di vera forza di opposizione a Emmanuel Macron, anche perché questo sentimento diffuso potrebbe essere molto utile se sfruttato alle elezioni locali che si tengono durante i cinque anni di presidenza. D’altro canto quest’elezione rischia di essere molto complessa e un cattivo risultato sembra difficile da evitare.

Jean-Luc Mélenchon si è trovato subito di fronte ad un dilemma: come capitalizzo il 19,5 per cento ottenuto al primo turno delle presidenziali? Il leader della France Insoumise ha scelto l’opposizione frontale e l’innalzamento dei toni: ha deciso di rompere il fronte repubblicano contro Marine Le Pen, non dichiarando il proprio voto a favore di Emmanuel Macron; ha rinnegato l’accordo con il Partito comunista che lo aveva sostenuto alle presidenziali presentando un suo candidato in quasi tutti i collegi; ha iniziato ad attaccare ferocemente l’ex primo ministro Bernard Cazeneuve che si sarebbe “occupato dell’assassinio di Rémi Fraisse” un manifestante ucciso da un poliziotto durante la protesta contro la costruzione della diga di Sivens. La dichiarazione è stata molto criticata dalla stampa e ha contribuito a far riaffiorare l’aggressività del personaggio, un attributo smorzato durante la campagna presidenziale e che era stato a lungo considerato il principale punto debole di Mélenchon.

Per il Front national la questione è relativamente diversa. Il partito è sempre stato un movimento di protesta nazionale, e abbiamo già notato come il doppio turno e l’incapacità di fare alleanze larghe impediscono a Marine Le Pen di arrivare a vincere le elezioni. L’elezione presidenziale poi, ha sì fatto segnare dei record in termini di percentuale e di voti assoluti, ma è stata vissuta come una sconfitta dalla base e dal gruppo dirigente. Al Front National si aspettavano un risultato sopra il 40 per cento, tra il primo e il secondo turno si parlava di un obiettivo di 80 deputati all’Assemblea, mentre il dibattito disastroso e il risultato al di sotto delle aspettative hanno prodotto, nell’ordine:

-Il ritiro temporaneo dalla politica di Marion Maréchal Le Pen, il volto molto mediatico e conservatore del partito, eletta all’Assemblea Nazionale nel 2012 e fondamentale per gli equilibri politici nel sud est, dove il Front National ha sempre ottenuto ottimi risultati ma oggi non ha candidati forti nei collegi favorevoli;

-La polemica molto aspra tra Florian Philippot, il braccio destro di Marine Le Pen, e il resto del partito sulla posizione da tenere sull’euro. Philippot ha fondato una sua associazione politica autonoma (Les Patriotes) e ha minacciato di lasciare il partito se la posizione dell’uscita dall’euro dovesse essere abbandonata, ricevendo risposte del tipo “che faccia pure, non abbiamo bisogno di lui”;

-La fine della brevissima alleanza con Nicolas Dupont-Aignan, unico candidato alle presidenziali a schierarsi per Marine Le Pen al secondo turno che ha abbandonato subito la nave e ha presentato candidati in tutte le circoscrizioni;

-Una grande difficoltà nei sondaggi con le proiezioni che danno il Front National a rischio persino nella costituzione di un gruppo parlamentare (servono 15 deputati).

Il partito sta iniziando a ragionare seriamente del proprio futuro, ed è previsto un congresso ad inizio 2018. L’obiettivo è arrivarci meno divisi di ora e con la leadership dell’opposizione alla presidenza Macron. Vaste programme.

Per oggi è tutto, domenica si vota, io sarò la mattina ospite di Omnibus La7 e seguirò lo spoglio a Roma su Radio 1, per chi vuole. Sabato scorso ho passato una giornata con il ministro dell’economia, Bruno Le Maire, che ho intervistato per Pagina99. Qui l’inizio dell’articolo, che trovate sul numero digitale e in edicola.

Tutti i sondaggi citati sono stati realizzati da Ifop per Le Figaro

Noi ci sentiamo lunedì, per commentare il voto!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, trentacinquesima settimana: il primo governo dell’era Macron

Trentacinquesima edizione della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

1-Emmanuel Macron ha nominato Édouard Philippe primo ministro e  insieme hanno formato il nuovo governo: che tipo di squadra è?

2-L’11 e il 18 giugno si vota per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale. In genere un’elezione scontata, questa volta è imprevedibile. Quali sono le strategie del presidente per ottenere la maggioranza?

1-Il governo di Emmanuel Macron

La nomina del nuovo primo ministro e della squadra di governo è stato l’evento politico della settimana: ho scritto una lunga analisi per Gli Stati Generali con un ritratto di tutte le personalità che ne fanno parte, chi vuole puòapprofondire cliccando qui. La squadra è composta da 22 persone, 11 uomini e 11 donne, metà provenienti dalla società civile, seppure tutt’altro che a digiuno di affari pubblici: in molti hanno avuto ruoli apicali nei ministeri o in organismi statali. Come promesso il governo è composto da profili molto diversi, c’è la destra, la sinistra, il centro e l’ecologia: un esperimento di biodiversità, come l’ha definito il nuovo ministro dell’ambiente, Nicolas Hulot.

L’idea di mettere insieme personalità così diverse senza esserne costretti da un risultato elettorale e da accordi serrati con le segreterie degli altri partiti è nuova e trasgressiva, e conferma l’impressione che Macron fa sul serio: il suo progetto è incentrato su un cambiamento radicale delle regole non scritte del gioco. I tratti comuni dei ministri sono, oltre a una competenza media molto alta, un certo pragmatismo e l’europeismo. Sono tutte persone che hanno dato prova di riuscire a lavorare con politici o personaggi di idee differenti e che hanno più volte dichiarato alla stampa in tempi non sospetti che il settarismo partigiano ha impedito di portare a termine le riforme necessarie al paese.

 

C’è un fatto che però va ricordato: finora il presidente non ha incontrato grandissime difficoltà, ha anzi beneficiato di una serie di casi e fortune che hanno reso possibile la sua cavalcata trionfale. La realtà però presenta spesso situazioni imprevedibili e nessuno è immune alla sfortuna. Noi immaginiamo che i ministri siano stati scelti sulla base del programma del presidente, e sappiano perfettamente quali sono le riforme che dovranno guidare, con che tempi e in che maniera. Questo dovrebbe risolvere il più grande problema che ha avuto Hollande per esempio: eletto su un programma molto di sinistra ha poi cambiato completamente linea politica dopo due anni senza mai spiegarlo non solo ai suoi elettori, ma nemmeno ai suoi ministri. Come si comporteranno quando dovranno affrontare imprevisti, crisi e scelte politiche controverse?

La composizione eterogenea potrebbe funzionare per quanto già è stato previsto, ma potrebbe mostrare i propri limiti con il passare del tempo. Non è vero che destra e sinistra non esistono più, non è vero che le differenze si sono annullate nel nuovo bipolarismo apertura/chiusura e globalismo/nazionalismo. Questa nuova semplificazione serve in campagna elettorale, specie contro un avversario come il Front National, ma non può riassumere e contenere tutte le differenze di una società, quella francese, molto frammentata. Per funzionare questo esperimento ha bisogno di grande pragmatismo da parte dei ministri, di capacità di mediazione da parte del primo ministro e, appunto, di un po’ di fortuna: fortuna che tutto accada come previsto o come prevedibile.

“Non voglio generali bravi, ma generali fortunati” pare abbia detto Napoleone. Non sono riuscito a trovare la fonte, ma il concetto mi pare esemplificativo.

Il nuovo primo ministro è bravissimo nelle imitazioni 

Infine, una delle incognite di questo governo è la cosiddetta “dottrina Juppé”. Ci sono alcuni ministri anche candidati alle legislative, e l’Eliseo ha chiarito che in caso di sconfitta nel loro collegio dovranno dimettersi in automatico come successe ad Alain Juppé nel 2007. Juppé, nominato ministro dell’ecologia, fu costretto a dimettersi dopo aver perso contro la socialista Michèle Delaunay. In particolare le posizioni sensibili sono quelle di Christophe Castaner, nominato in un ruolo delicatissimo e candidato nel collegio Alpes-de-Haute-Provence, una circoscrizione dove Emmanuel Macron è arrivato terzo al primo turno e ha vinto al secondo di pochissimi voti, e Bruno Le Maire, ministro dell’Economia candidato alla successione di se stesso nella prima circoscrizione dell’Eure; in questo collegio Marine Le Pen è arrivata in testa al primo turno con il 29,2 per cento dei voti. Sono impegnati alle legislative anche Marielle de Sarnez, Richard Ferrand, Annick Girardin e Mounir Mahjoubi (quest’ultimo a Parigi contro il segretario del Partito Socialista, Jean Christophe Cambadélis). È chiaro che una o più sconfitte potrebbero scatenare un effetto domino e costringere presidente e primo ministro a cambiare completamente la squadra di governo.

2-Comincia una nuova campagna elettorale

Come sa bene chi è iscritto da un po’ a questa newsletter, l’11 e il 18 giugno i francesi voteranno per rinnovare la loro camera bassa, l’Assemblée Nationale. L’Assemblea dà la fiducia al Governo ed è la sede principale del potere legislativo che è esercitato, in un sistema di bicameralismo imperfetto, insieme al Senato. Queste elezioni, finora abbastanza noiose e scontate, sono diventate importanti quasi quanto le presidenziali.
Dal 2002 al 2012 le elezioni legislative sono state poco importanti perché “confermative”. Si giocavano in un contesto tendenzialmente bipolare, e seguivano il risultato dell’elezione presidenziale tenutasi il mese precedente. Nel 2002 vinse le presidenziali Jacques Chirac, che riuscì ad ottenere la maggioranza dei seggi in Parlamento il mese dopo (398 seggi su 577); nel 2007 le presidenziali videro l’affermazione di Nicolas Sarkozy, che vinse anche le legislative successive (345 seggi su 577); stessa cosa è accaduta a François Hollande nel 2012, con 331 deputati su 577. Stavolta le cose sono diverse, perché il sistema politico su cui si regge la V Repubblica è completamente saltato.

Come si vota?

Il territorio francese è diviso in 577 collegi uninominali a doppio turno assegnati con il meccanismo seguente: se nessun candidato arriva al 50 per cento dei voti espressi da almeno il 25 per cento degli elettori iscritti alle liste elettorali al primo turno, si qualificano al secondo tutti i candidati che hanno ottenuto almeno il 12,5 per cento degli iscritti alle liste elettorali, il che vuol dire, con l’astensione, più o meno il 20 per cento dei voti validi. Se nessun candidato ottiene una tale percentuale (quindi in casi di astensione altissima) si qualificano al ballottaggio i due candidati che hanno ottenuto la maggioranza dei voti espressi.

È quindi possibile che al secondo turno si verifichino, oltre alle sfide 1 contro 1, dei ballottaggi triangolari e in alcuni casi eccezionali quadrangolari; in questi ultimi due casi non serve raggiungere il 50 per cento più 1 dei voti per essere eletti, ma basta ottenerne la maggioranza relativa. Il territorio francese diventa quindi teatro di 577 mini-presidenziali, ma va da sé che in una situazione politica in cui il territorio è diviso asimmetricamente tra le varie forze politiche, le mini-presidenziali si giocano tra candidati di caratura diversa e tra candidati di partiti diversi. Così può capitare che ci siano dei ballottaggi En Marche! contro Front National, come accaduto al secondo turno, ma anche ballottaggi Les Républicains contro la France Insoumise, o alcuni collegi dove il candidato socialista riesce ad accedere al secondo turno, altri dove i candidati di Macron non sono nemmeno presenti.

Il movimento di Emmanuel Macron infatti, ribattezzato La République En Marche, ha investito 526 deputati su 577, lasciando quindi 51 collegi liberi. Le circoscrizioni senza candidato non sono casuali, ma vedono concorrenti di peso giudicati Macron-compatibili per il loro profilo politico e per le loro dichiarazioni di collaborazione.

I soli due ministri non targati En Marche! candidati sono Bruno Le Maire e Ericka Bareigts, che non hanno nessun concorrente En Marche! ovviamente. Stessa cosa per Agnès Firmin Le Bodo, che sostituisce il primo ministro Édouard Philippe nel suo ex collegio nella Senna Marittima. Sono risparmiati anche profili molto interessanti, come Thierry Solère, organizzatore delle primarie della destra, che ha dichiarato di “non essere all’opposizione di questo governo”, o i deputati che prendono il posto di Xavier Bertrand, repubblicano e presidente della regione Hauts-de-France, a lungo corteggiato (apparentemente senza successo) da Macron e Christian Estrosi, repubblicano, ex presidente della regione Provence-Alpes-Côte d’Azur e ora tornato a fare il sindaco di Nizza.

Ma Macron non ha risparmiato solo repubblicani: gli ex ministri di Hollande Stephane Le Foll, Miriam El Khomri e Marisol Touraine non hanno concorrenti nel loro collegio così come Sylvia Pinel, ex candidata alle primarie del partito socialista in gennaio e presidente del Parti Radical de Gauche. L’obiettivo è quindi cercare di vincere la maggioranza delle circoscrizioni in cui En Marche! ha presentato candidati avendo una sorta di riserva rappresentata dai personaggi sopra citati. È chiaro che però, in alcuni casi, il sostegno alla maggioranza presidenziale verrà concesso dopo accordi su ministeri o punti specifici del programma.

Il caso Valls
Manuel Valls è stato primo ministro per due anni e mezzo durante la presidenza di Hollande, per poi dimettersi a dicembre per partecipare alle primarie del partito socialista, primarie che ha perso contro Benoît Hamon. Dopo lunghi mesi passati in silenzio ha deciso di non rispettare l’impegno preso durante la competizione interna (chi perde si impegna, chiaramente, a sostenere il vincitore) e dichiarare il proprio sostegno a Macron. Questa scelta ha poi determinato un’accelerazione a partire dal giorno successivo l’elezione, quando Valls ha esplicitamente detto in radio di essere il candidato della maggioranza presidenziale nella sua circoscrizione dell’Essonne. La dichiarazione ha creato non pochi problemi nell’entourage di Macron che detesta l’ex primo ministro. Per due giorni si sono succeduti in tv tutti i luogotenenti a colpi di “non ci risulta”, “non ha i requisiti”, “Valls non è un profilo diverso dagli altri, deve depositare la sua candidatura e noi dobbiamo esaminarla”, “non siamo un impianto di riciclaggio”. Insomma un “grazie ma no, grazie”.

Alla fine il problema è stato risolto da Emmanuel Macron in persona. Macron, che non ama (eufemismo) Valls, ha ben presente che la sua maggioranza potrà essere precaria, o che in ogni caso cinque anni sono lunghi e la sua presidenza avrà bisogno di tutti. Alla fine è stato trovato un compromesso: Valls non è candidato di La République En Marche ma non avrà alcun marcheur a contendergli la circoscrizione. La stessa scelta è stata fatta dal Partito socialista. Se è vero che questa può sembrare un’investitura mascherata, sarà difficile che Valls crei un gruppo parlamentare all’Assemblea: tutti i deputati considerati “vallsisti” hanno un candidato En Marche! avversario nella loro circoscrizione. Insomma la scommessa di Manuel Valls, cioè creare un gruppo all’Assemblea per essere determinante negli equilibri di governo, sembra difficile da vincere.

I problemi dei repubblicani

L’irruzione di una forza politica come En Marche! al centro ha prima vampirizzato i socialisti e ora sta causando grandi difficoltà ai Repubblicani. Il leader designato dall’ufficio politico del partito per le prossime legislative è François Baroin, chirachiano prima, sarkozysta poi, al fianco di Fillon durante lo scandalo della moglie. Baroin è interprete di una linea di dura opposizione a Macron, ha votato per lui al ballottaggio come tutto il partito, ma non intende collaborare con il nuovo presidente e sta conducendo una campagna con l’obiettivo di ottenere la maggioranza assoluta all’Assemblea e imporre una coabitazione a Macron.

La nomina di Philippe come primo ministro, e dei repubblicani Le Maire e Darmanin in due ministeri chiave (Economia e Budget) è chiaramente un forte segnale per gli elettori della destra moderata e costringerà i repubblicani a condurre una campagna sempre più intransigente e a destra per recuperare i voti del Front National. Un ulteriore passo verso un’opposizione a prescindere e una radicalizzazione del partito e del suo elettorato di riferimento già denunciata da Alain Juppé durante la campagna presidenziale. In questo senso la strategia di Macron pone un problema più a lungo termine: svuotando e inglobando i partiti tradizionali si rischia di lasciare l’alternanza agli estremi e non ad un altro partito di governo. È forse presto per parlarne in maniera approfondita, ma è uno degli effetti collaterali del macronismo da iniziare a considerare.

Il personaggio della settimana

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David Pujadas è uno dei volti televisivi più noti. È uno dei due conduttori de L’Émission Politique, il lungo talk show più volte citato in questa newsletter, ma è soprattutto il presentatore storico del tg delle 20 di France 2. Mercoledì è stato annunciato che non presenterà più il tg e sarà sostituito da Anne-Sophie Lapix, la presentatrice di C à Vous, un programma di attualità molto conosciuto. Non sono state date spiegazioni dalla direzione di France Televisions oltre ad una generica volontà di ringiovanire la rete. Pujadas è una sorta di Enrico Mentana francese, è giusto quindi che voi sappiate chi sia.

Consigli di lettura

Un lungo riassunto del JDD su tutte le circoscrizioni lasciate libere da La République En Marche e sui motivi che hanno portato a queste scelte, molto diversi a seconda dei casi;

-Il filosofo Raphaël Glucksmann ragiona sulla scelta dei simboli di Emmanuel Macron, e si augura un nuovo rinascimento europeo;

-Ellen Salvi ha scritto un lungo ritratto di Édouard Philippe, nuovo primo ministro di Macron con cui condivide un carattere trasgressivo e spesso sopra le righe;

-Per Bruno Le Maire essere stato nominato ministro dell’Economia è una rivincita personale. La storia è raccontata da Judith Waintraub, la giornalista del Figaro che si occupa della destra.

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, settima settimana: dibattito equilibrato ma Sarkozy può recuperare

Settima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Di cosa parliamo questa settimana?

1-Naturalmente di com’è andato il dibattito dei Repubblicani, che ha visto una buona performance di tutti i candidati. Ognuno ha dei motivi per uscire contento dal confronto televisivo, che però potrebbe leggermente spostare gli equilibri a favore di Nicolas Sarkozy.

2-Un breve accenno su Marine Le Pen, dalle molte domande che mi arrivano ho capito che è un argomento che interessa parecchio, e me ne occuperò. Se finora non l’ho fatto c’è una ragione. Chi vuole approfondire il personaggio però può leggere un mio lungo ritratto, che trovate cliccando questo link.

3-Ho scritto una lunga spiegazione di cos’è la “Giungla” di Calais (chi segue dall’inizio, sa che l’avevo promesso), che è stata smantellata in queste settimane. L’articolo lo trovate cliccando qui.

1-Chi ha vinto il dibattito?

È difficile da dire, ogni candidato arrivava al confronto con aspettative e obiettivi diversi, e non ci sono stati particolari errori da parte di nessuno. Stando così le cose, probabilmente non è nemmeno tanto utile chiederselo, così come non è utile che io vi racconti per filo e per segno cos’è successo. È interessante dar conto invece degli atteggiamenti dei candidati, specialmente i favoriti, per capire se la partita è ancora aperta o no.

A-Tutti contro Sarkozy

Questa è, se vogliamo, la notizia. Alla vigilia ci si aspettava un duello tra i due favoriti, Alain Juppé e Nicolas Sarkozy. L’ex presidente, in difficoltà nei sondaggi, aveva tutto da guadagnare rispetto ad uno scenario del genere: si pensava Sarkozy ingaggiasse battaglia e Juppé provasse in qualche modo a chiamarsi fuori. Il duello invece non c’è stato, perché gli outsider non l’hanno consentito. Le Maire, Copé e Nathalie Kosciusko-Morizet hanno deciso di giocare la carta “tutti contro Sarkozy”. Sarkozy ha provato a rispondere col solito atteggiamento “paternalista”, dopotutto chi lo attaccava è stato ministro durante la sua presidenza, ma gli altri tre sono stati bravi a confinarlo nel suo ruolo di candidato.

Juppé, posizionato all’estrema sinistra dello schermo, è stato lasciato in pace, e ogni tanto guardava gli scontri (mai esagerati, ma comunque duri) di cui erano protagonisti gli altri con malcelata soddisfazione. Perché dico che è la notizia più rilevante? Perché un atteggiamento del genere è insolito, in genere è il favorito a subire attacchi. E poi perché paradossalmente un copione del genere ha aiutato Sarkozy e forse, ma ci arriviamo, in fin dei conti danneggiato Juppé. Due sono i motivi: il primo è che grazie ai continui attacchi l’ex presidente ha potuto mostrarsi combattivo, rispondendo col sorriso alle critiche di chi ha condiviso con lui un lungo percorso politico. Sarkozy è parso molto a suo agio (nel primo dibattito era decisamente più teso) e spesso ha volto le critiche a suo favore, come potete notare da questo scambio con Bruno Le Maire.

 

 

Il secondo motivo è più politico: essere il bersaglio di tutti gli attacchi aiuta molto l’ex presidente per il primo turno. Come abbiamo detto settimana scorsa, Sarkozy è il candidato più identitario, la sua base è praticamente inossidabile: Sarkozy mobilita. Il suo comitato è il più organizzato e in un’elezione con relativamente pochi partecipanti riuscire a portare le persone a votare è fondamentale. Certo, su una platea di 4 milioni questo vantaggio peserà di meno, ma non è assolutamente certo che l’affluenza sarà così alta. È la prima volta che a destra organizzano le primarie, non c’è un precedente.

Le analisi, mie comprese, sono tarate sul “sentimento” dei francesi, sulla loro opinione. Ma alle primarie della destra votano gli elettori della destra, non tutti i francesi. È vero che nelle ultime settimane Juppé ha aumentato il vantaggio nei sondaggi grazie alla mobilitazione dell’elettorato centrista in funzione anti-Sarkozy, ma è una mobilitazione che avviene tra quelli che rispondono al sondaggio seduti in poltrona. Andranno davvero a votare? La risposta che danno dal quartier generale di Sarkozy è: “meno di quanto vi aspettate”. Hanno ragione? Questo lo sapremo il 20 novembre. Per ora, vista anche la buona performance nel dibattito, possiamo ragionare su alcuni sondaggi pubblicati subito dopo il dibattito dall’istituto Elab.

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Come si vede Juppé è il candidato che riscuote più successo tra i francesi in generale, guardando solo gli elettori di centro-destra si scopre che Sarkozy è in testa. Il problema, e qui sta il paradosso, si porrebbe dopo il primo turno. Un voto fortemente identitario in un quadro di pochi partecipanti favorisce Sarkozy, ma allo stesso tempo lo isola. Se tutti gli altri candidati scelgono di votare Juppé al secondo turno la partita è tendenzialmente chiusa. Bisogna tenere conto del fatto che non si vince mai da soli in un’elezione a due turni.

B-Juppé-Fillon: gli uomini di Stato

Nei commenti a caldo, appena finito il dibattito, diversi giornalisti hanno fatto notare un atteggiamento simile da parte di Alain Juppé e François Fillon: cercare di evitare la polemica con gli altri candidati, parlando dei propri programmi e delle proprie idee. In questo sono stati aiutati dalla dinamica del confronto: non dovendo mai difendersi dagli attacchi, tutti concentrati su Sarkozy, hanno potuto coltivare la loro figura al di sopra delle parti. Juppé ha chiarito di essere candidato contro il Front National e Hollande, non contro Sarkozy, Fillon ha spiegato che il presidente è “il leader di tutti e non della propria parte o dei propri amici”. Come abbiamo visto, Juppé è molto alto nei sondaggi (mediamente conserva 6-7 punti di vantaggio su Sarkozy). L’obiettivo, come nel primo dibattito, era evitare di perdere punti, cosa che non pare essere accaduta. Paradossalmente, essere stato risparmiato da tutti gli attacchi può aver dato l’impressione che il sindaco di Bordeaux sia poco combattivo, oltre che poco temuto dagli altri.

Allo stesso tempo questo ha però contribuito a consolidare la sua immagine da presidente in pectore, che è stata confermata da un piccolo scambio avvenuto appena finito il dibattito. È una cosa piccola, però dà il senso. Usciti dalla Salle Wagram, dove si è tenuto il confronto, i candidati venivano avvicinati dai giornalisti per scambiare due battute. Prima che qualcuno potesse chiedigli qualcosa,  Juppé, a favore di telecamere, è stato fermato da una poliziotta, che gli ha chiesto un incontro per discutere della risoluzione di una serie di problemi legati alla polizia “visto che siamo convinti che lei sarà il prossimo presidente” e Hollande non è capace. Il sindaco di Bordeaux è stato molto disponibile e le ha chiesto il contatto in modo da organizzare l’incontro. Insomma, uno spot gratis a reti unificate.

Un altro momento interessante è stato quando i candidati hanno risposto rispetto alla loro idea sulla funzione presidenziale. Juppé ha detto più volte di voler fare un solo mandato, senza aver l’ansia di essere rieletto e di basare le sue politiche anche su questo. La questione, legittima, che si può porre è: perché ci insiste tanto, visto il rischio di trovarsi una guerra per la sua successione dal giorno dopo le elezioni? In realtà il proposito è abbastanza coerente visto che, come abbiamo visto nella prima puntata, uno dei punti deboli di Juppé è l’età, e lui ne è consapevole. Tra l’altro, secondo il politologo Pascal Perrineau, i francesi si attendono dei mandati corti per dar respiro alla democrazia, la riforma che ha portato il mandato da 7 anni a 5 del presidente fu infatti accolta con favore. Sul terreno del mandato unico Juppé è stato affiancato da Fillon e Sarkozy, convinti della bontà della decisione. In questo il sindaco di Bordeaux è stato capace quindi di dettare l’agenda.

 

 

 

 

Yves Thréard, acuto analista del Figaro, dice la sua

Per quanto riguarda Fillon invece, il secondo dibattito ha confermato la tendenza delle ultime due settimane. Dopo l’ottima performance del suo intervento all’Émission Politique della settimana scorsa, ha continuato a coltivare il suo profilo: competente, moderato, affidabile. Non ha sfondato, e d’altronde non è nella sua natura, ma è parso molto credibile sia in politica estera che sulle questioni della riforma scolastica e della funzione presidenziale.  Altro indicatore, che non conta moltissimo, ma può dare l’idea dell’incisività dell’ex primo ministro: Fillon è stato il nome più citato su twitter pur non essendo il candidato più presente sui social network. Stamattina, intervistato, si è detto molto soddisfatto per il successo che la sua candidatura sta avendo nel paese. È vero che Fillon sta recuperando ma, come abbiamo appena analizzato nel punto A, Sarkozy è parso tutt’altro che in crisi.

C-La polemica su Bayrou

Ho spesso citato François Bayrou nelle puntate precedenti. Sindaco di Pau (una piccola città del sud della Francia) è il leader del movimento centrista Modem, si è candidato al primo turno delle presidenziali più volte, senza mai arrivare al secondo turno ma ottenendo sempre dei risultati comunque importanti. Tradizionalmente alleato della destra gollista, alle presidenziali 2012 è stato protagonista di un piccolo tradimento: ha sostenuto Hollande al secondo turno contro Sarkozy, che infatti lo detesta.
Bayrou è da mesi grande sponsor di Juppé: nel caso in cui il sindaco Bordeaux sarà candidato, non si presenterà al primo turno delle presidenziali.

La cosa ha visibilmente innervosito Sarkozy, che durante il dibattito l’ha duramente attaccato: “non sono contro l’alleanza con il centro con cui abbiamo tra l’altro già governato. Non ho problemi personali con François Bayrou ma mi domando cos’è che abbiamo in comune con lui”. L’atteggiamento era ampiamente previsto, ma ha dato modo di rispondere a Alain Juppé che ha definitivamente spento la polemica “ho fatto una campagna molto attiva per Sarkozy nel 2012, non condividendo la scelta di Bayrou all’epoca” ha detto il sindaco di Bordeaux “ma in tutte le elezioni locali siamo stati ben felici di allearci con Bayrou”.

L’argomento, che può sembrare  di “politique politicienne” ed in effetti lo è, ha comunque tenuto banco per mezz’ora, a dimostrare quanto il leader centrista sia un personaggio rilevante. In più il suo nome è stato protagonista di uno degli scambi più divertenti del dibattito, vista la somiglianza del suo cognome con quello di Baroin, importante sostenitore di Sarkozy (che lo ha sostenuto alle elezioni locali).

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D-Le Maire, Nathalie Kosciusko-Morizet, Jean-François Copé: gli outsider

Ne avevamo avuto le avvisaglie già nel primo dibattito, quando Sarkozy era apparso come uno dei candidati e non come il presidente uscente. Il secondo dibattito ha confermato l’impressione: il timore reverenziale verso l’ex presidente è svanito. Gli ex ministri Bruno Le Maire e Nathalie Kosciusko-Morizet e l’ex presidente del partito Jean-François Copé, come detto prima, lo hanno incalzato a turno, in continuazione.

La più offensiva è stata la deputata, che pur essendo stata la portavoce di Sarkozy durante la campagna elettorale del 2012 e a lungo sua protetta, non ha esitato a metterlo in difficoltà, accusandolo di non aver portato avanti sino in fondo le sue riforme ecologiste.” Sarkozy ha attaccato:”non sono pentito della tua nomina ministeriale, ma non sono sicuro che lo rifarò”. Ma NKM (i francesi adorano le abbreviazioni) ha subito replicato “non ne avrai l’occasione”, probabilmente rivelando, in maniera tutt’altro che ingenua, chi sosterrà al secondo turno. La Morizet ha delle convinzioni forti, le porta avanti con convinzione, parla di cose del futuro più degli altri, è stata molto netta sul Front National, rifiutando categoricamente la possibilità di un voto al partito di Marine Le Pen ai ballottaggi.

 

Bruno Le Maire, dal canto suo, ha provato più volte ad attaccare l’ex presidente, ma senza grande successo. Anzi, ha consentito a Sarkozy di rispondere in maniera brillante ad una sua provocazione, nello scambio che vedete di seguito. Insomma, l’ex ministro dell’agricoltura non è parso spaesato come nel primo dibattito, ma sembra aver perso la possibilità di agganciare Fillon e accreditarsi come “terzo uomo”.

2-Un piccolo accenno sul Front National e Marine Le Pen

È vero, ne abbiamo parlato poco, e almeno sino alla fine delle primarie continueremo a dedicarle poco spazio. Un po’ perché non voglio scrivere delle newsletter troppo lunghe, un po’ perché il silenzio dell’eurodeputata è parte della sua strategia. Lo ripeto ancora una volta per chi arriva solo adesso: il Front National ritiene che i fatti parlino per Marine. Il problema immigrazione, dopo lo sgombero della “giungla”, diventerà reale anche nelle zone più periferiche della Francia come ho spiegato in questo lungo articolo per Gli Stati Generali, e nei villaggi rurali il Front National va fortissimo. L’altro tema su cui spingono i frontisti è che destra e sinistra sono uguali e ormai la sfida è Front National vs Resto del Mondo. Così sembra un po’ una caricatura, e lo è, però se ascoltate Florian Philippot nel video che viene di seguito capite che i frontisti sanno essere abbastanza efficaci su questi argomenti.

 

 

 

Per chi non conosce il francese, Philippot ironizza sul fatto che gli oppositori del Front National organizzano tre primarie, una della destra, un’altra socialista e la terza al primo turno delle presidenziali. Non serve, tanto già sanno che al secondo turno si alleeranno per battere Marine Le Pen.

In settimana si è in ogni modo parlato del fatto che Marine Le Pen deve restituire 339.000 euro al Parlamento Europeo. In breve: secondo il Parlamento i suoi due assistenti, pagati appunto dall’istituzione europea, lavoravano per attività politiche diverse da quelle del Parlamento, cosa illegittima. Naturalmente la leader del Front National ha negato le accuse, ma nessuno nega che la cosa sia un problema per lei. Se volete approfondire ne ha scritto Il Post, in italiano. Se volete sapere se è una notizia che può danneggiarla politicamente, la risposta è non moltissimo: è vero che al momento i frontisti hanno pochi soldi e stanno faticando a trovarne, ma i giornali francesi ne hanno parlato davvero poco. Per saperne di più bisogna dunque aspettare.

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

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