Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, edizione straordinaria: i socialisti al voto!

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Di cosa parliamo oggi?

1-Domani c’è il primo turno delle primarie del Partito Socialista. Analizziamo le ultime notizie e gli ultimi sondaggi, la partita è davvero aperta

2-Il 19 gennaio è stato pubblicato un sondaggio molto accurato sulle intenzioni di voto al primo turno delle presidenziali, Marine Le Pen è in testa e François Fillon in flessione: lo commentiamo insieme.

1-Le Primarie del Partito Socialista

Come sapete, domani i socialisti voteranno per il primo turno delle primarie. I seggi saranno aperti sino alle 19, e conosceremo i primi risultati reali in un paio d’ore. È molto difficile prevedere l’affluenza, secondo un sondaggio Elabe pubblicato mercoledì i partecipanti dovrebbero superare i due milioni. È sufficiente? L’ho chiesto al direttore dell’Istituto Ipsos, Brice Teinturier, che mi ha spiegato che con due milioni e mezzo di partecipanti i socialisti potranno dire di aver raggiunto la partecipazione di cinque anni fa alle primarie che vinse François Hollande, e dunque rivendicare un risultato “onorevole”. Se però l’affluenza dovesse essere inferiore ai due milioni, il PS andrebbe incontro ad un “fallimento colossale”, sia dal punto di vista economico che politico. 

Gli unici dati certi che abbiamo sinora sono quelli dei dibattiti: l’ultimo confronto televisivo, andato in onda giovedì sera su France 2, è stato guardato da 3,1 milioni di telespettatori (15% di share), 2 milioni in meno rispetto al terzo dibattito delle primarie della destra. Gli altri due dibattiti erano stati seguiti da 3,8 milioni (giovedì scorso) e 1,7 milioni (domenica sera). I francesi dimostrano un minore interesse rispetto alle primarie della destra ma, visti i contesti e le prospettive differenti in cui si sono svolte le due consultazioni, non è una sorpresa. Una visione più ottimistica della partecipazione viene invece registrata da un sondaggio Ifop realizzato per il Figaro (di seguito l’infografica).

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È interessante soffermarsi sulle due motivazioni date dagli elettori per spiegare la loro partecipazione: il 49% degli intervistati risponde che voterà perché si sente vicino ai valori di sinistra mentre il 48% andrà a votare perché gli viene data l’occasione di scegliere il prossimo Presidente della Repubblica. È questa la chiave delle primarie di domenica: se gli elettori di sinistra voteranno per chi credono abbia più chance di competere alle presidenziali o addirittura vincere, allora dovrebbe essere avvantaggiato Manuel Valls, visto il suo profilo di uomo di Stato e i suoi migliori risultati nei sondaggi; se invece sceglieranno in base alla loro sensibilità politica, designando il candidato capace di rappresentare al meglio i valori di sinistra, il vantaggio sarà di Hamon e Montebourg. Un’indicazione interessante su questa tendenza la forniscono da un lato gli ultimi sondaggi, dall’altro le rilevazioni effettuate subito dopo i dibattiti: la dinamica di Benoit Hamon raccontata la settimana scorsa è confermata.

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Come vedete da questo sondaggio di Elabe (pubblicato il 18, quindi prima dell’ultimo dibattito), Valls e Hamon sono a pari merito nelle intenzioni di voto del primo turno, seguiti a poca distanza da Arnaud Montebourg. La differenza sta nell’evoluzione: Hamon avanza di tre punti rispetto all’ultima rilevazione, Valls arretra. L’ex ministro dell’istruzione ha fatto un’ottima campagna elettorale, ha trovato un tema forte che lo identifica (la sua proposta di reddito universale) ed è cresciuto costantemente sia nei sondaggi che nella partecipazione ai suoi incontri (mercoledì ha riempito l’Institut National de Judo, a Parigi, con più di 3000 persone). Anche nell’ultimo dibattito Hamon è stato molto apprezzato, specialmente tra gli elettori che si dichiarano più di sinistra.

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Interessante è, come risulta da questo sondaggio effettuato immediatamente dopo il dibattito, il miglioramento netto della percezione dei telespettatori rispetto ad alcune qualità di Hamon, specularmente alla difficoltà di Manuel Valls, che non ha commesso grandi errori ma è comunque parso meno credibile.

Senza fare una cronaca dell’ultimo dibattito, è secondo me importante sottolineare come in massima parte la proposta di reddito universale incondizionato di Benoit Hamon, abbia catalizzato le critiche di tutti gli altri candidati, segno di quanto sia un tema sentito in un paese come la Francia che ha una disoccupazione molto alta e stenta a trovare soluzioni. Per chi arriva adesso ricordo che Hamon propone l’instaurazione di un reddito universale senza condizioni, proposta che in questi mesi stanno applicando in Finlandia con un esperimento rivolto a duemila persone. La sua diagnosi è che l’economia digitale distruggerà più posti di lavoro di quanti ne creerà anche sul lungo periodo, va quindi totalmente ripensato il welfare, senza temere di ammettere che l’idea del lavoro al centro della vita degli esseri umani potrebbe diventare un concetto superato.

Questa proposta, oltre alle visioni totalmente differenti su immigrazione e sicurezza da parte di tutti i candidati, rende l’idea di quanto sia diviso il Partito Socialista. Restando al tema del lavoro è molto difficile che una proposta come quella del reddito universale proposta da Hamon possa andare d’accordo con quella basata sullo stimolo alla competitività interna abbassando le tasse sulle imprese e defiscalizzando gli straordinari immaginata da Valls; con l’idea di protezionismo economico e grandi investimenti pubblici per creare occupazione di Montebourg o con quella del lavoro come architrave della società al centro della filosofia di Vincent Peillon.

Come sottolineato la settimana scorsa non ci sono stati grandi scontri durante i dibattiti, visto che i candidati hanno fatto molta attenzione a non mostrare un partito diviso. Se però si leggono i programmi o le varie dichiarazioni ci si rende conto di quanto il tema delle “sinistre irreconciliabili” teorizzate proprio da Manuel Valls pochi anni fa sia attuale e ineludibile. A questo punto non resta che aspettare domenica sera per avere un quadro più chiaro della situazione; lunedì mattina analizzeremo il risultato alla luce dei due candidati qualificati al ballottaggio e della partecipazione che, come detto in apertura, è molto rilevante.

2-È stato pubblicato un sondaggio molto accurato

Il sondaggio è stato realizzato da Ipsos in collaborazione con Le Monde. Sono stati intervistati 15.921 francesi dal 10 al 15 gennaio. Ipsos farà un’inchiesta approfondita sulle intenzioni e motivazioni di voto una volta al mese da qui sino a giugno, qui trovate l’analisi del Monde con alcune infografiche.

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Analizziamo alcune tendenze:

A- Macron è stabilmente terzo, come spiegato più volte ha una base elettorale maggiore nel caso in cui non si dovesse presentare François Bayrou, presidente del partito centrista MoDem e grande sostenitore di Alain Juppé alle primarie della destra. Al momento non è ancora chiaro cosa farà, ma ha poco tempo: le candidature devono essere ufficializzate entro il 17 marzo.

Finora il leader di En Marche! ha condotto una campagna quasi perfetta, aiutata dalla grande attenzione della stampa: per curiosità sono andato a contare il numero di copertine dedicategli nel 2016 dai settimanali francesi, arrivato a 40 la mia reazione è stata: “ok sono tantissime forse è meglio che torno a scrivere”. Va detto che Macron fa di tutto per inserirsi nel dibattito quotidiano: se è vero che la sua ascesa è già una notizia, ogni giorno trova un modo per far parlare di sé: in settimana è andato a Berlino, lodando pubblicamente la politica di accoglienza di Angela Merkel, ha riempito un teatro a Lille (una città teoricamente a lui ostile) con più di 5000 persone, ogni giorno una personalità politica di un certo peso dichiara di sostenerlo o si aggiunge alla sua équipe.

La strategia non è però solo comunicativa; certo, avere i titoli di giornali, radio e televisione aiuta, ma Macron persegue anche un altro obiettivo: vuole dare la sensazione di essere alla guida di una squadra di alto livello, non solo un bravo candidato. Così, quando arriverà il momento, non avrà difficoltà a spiegare con chi governerà, domanda scomoda per un personaggio che ha fondato un suo movimento a meno di un anno dalle presidenziali e non si è mai candidato ad una carica elettiva.

B-Fillon è in relativa difficoltà

François Fillon è in difficoltà nei sondaggi. Come avrete notato, nelle intenzioni di voto perde tra i 3 e i 4 punti rispetto a dicembre (se vi interessa il sondaggio Ipsos di dicembre lo trovate qui) a seconda dell’offerta politica in campo. Non è solo nelle intenzioni di voto che l’ex primo ministro di Nicolas Sarkozy mostra una flessione: nel barometro mensile pubblicato dal Figaro Magazine il candidato repubblicano perde ben 11 punti nell’“inchiesta sull’avvenire” (la domanda che viene posta in questi sondaggi è se, secondo l’intervistato, il personaggio politico considerato giocherà un ruolo rilevante nei prossimi mesi/anni); in un sondaggio simile realizzato da Ifop per Paris Match Fillon perde 8 punti di fiducia tra le classi popolari, dal 19 all’11%. Cosa sta succedendo? In parte un arretramento nei sondaggi è fisiologico: dopo la vittoria alle primarie il candidato repubblicano ha avuto una relativa luna di miele con i francesi che, vista la sorpresa per la sua vittoria, non conoscevano bene le sue proposte.

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Il barometro mensile del Figaro

Ma va considerato che tra dicembre e gennaio Fillon è stato il bersaglio preferito di tutti i candidati e di parte della stampa. Le critiche al suo programma “brutale” e “troppo radicale” sono arrivate persino da alcuni esponenti della sua stessa forza politica e molti elettori che potevano trovare il suo progetto interessante si sono spostati verso Macron (soprattutto i liberali a disagio con le posizioni molto conservatrici in tema di società). Delle sue difficoltà parleremo meglio nelle prossime puntate, anche perché Fillon ha già dimostrato di non tenere in grandissima considerazione i sondaggi e gli interessi dei media “sono io che fisso la mia agenda, non i giornalisti”; dopotutto in alcuni sondaggi di quest’estate non era nemmeno considerato, e abbiamo visto com’è andata a finire.

C-Marine Le Pen è straordinariamente alta nei sondaggi

Non abbiamo parlato molto di Marine Le Pen nelle ultime settimane, se non rispetto ad alcune questioni abbastanza specifiche: un candidato della destra per lei più ostico di Juppé o Sarkozy, la polemica tra Marion Maréchal Le Pen e Florian Philippot, i problemi di finanziamento del partito, a cui le banche francesi non fanno credito, l’ascesa di Macron, con la conseguente attenzione della stampa.

Tutte queste cose avevano portato Marine Le Pen a cambiare leggermente la sua strategia, fino ad ora incentrata su una “dieta mediatica” piuttosto strana per un candidato alle presidenziali: poche apparizioni televisive, pochissime interviste sui giornali e pochi tour elettorali sino al 5 febbraio, quando inizierà ufficialmente la campagna elettorale a Lione. L’idea era far parlare i fatti: i problemi dell’immigrazione, l’emergenza terrorismo, l’occupazione che stenta a ripartire, il “popolo che prende in mano il suo destino” con la Brexit e l’elezione di Donald Trump, tutti avvenimenti predetti o auspicati dal Front National, che dunque non aveva bisogno di saturare i media per essere al centro del dibattito pubblico.

Visti i problemi sottolineati poco fa e la concorrenza inaspettata di Macron e Fillon, Marine Le Pen ha deciso di anticipare alcuni suoi interventi pubblici (ne avevamo parlato qui), proprio per evitare di perdere terreno rispetto agli avversari. Evidentemente non ce n’era bisogno, e questo è piuttosto sorprendente: senza fare campagna elettorale il Front National è primo partito, rimanendo stabile o addirittura guadagnando uno/due punti percentuali. Cosa succederà dopo delle grandi manifestazioni e un paio di grandi interviste in prima serata?

3-Una notizia flash

-Manuel Valls ha preso uno schiaffo da un estremista di destra bretone, nel corso di un suo tour elettorale in Bretagna. Non è la prima volta che l’ex primo ministro viene contestato duramente durante le sue passeggiate elettorali, ma non aveva mai subito violenza fisica finora. Tutti hanno condannato il gesto, chiaramente, ma conferma una fase di difficoltà per Valls, che ieri sera ha terminato a Parigi la sua campagna elettorale e ha visto il suo discorso interrotto più volte da una serie di contestatori.

Ringraziamenti, doverosi

Francesco Costa, che molti di voi già conoscono, ha segnalato questa newsletter nella sua ultima/prima puntata. A lui va un ringraziamento speciale, sia per questo ulteriore aiuto che per i consigli e la disponibilità che ha sempre mostrato nei miei confronti. Se non siete già iscritti alla sua newsletter potete farlo qui, se poi volete aiutarlo economicamente per il grandissimo lavoro che fa e che chiaramente ha dei costi potete farlo seguendo questo link.

Infine, grazie a tutti quelli che si sono iscritti e si stanno iscrivendo in queste ore semplicemente sulla fiducia, senza conoscermi. Cominciate ad essere tanti e io mi sento sempre più responsabile.

Per oggi è tutto, a lunedì, quando commenteremo i risultati del primo turno!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, diciassettesima settimana: le primarie dei socialisti, domenica prossima

Diciassettesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui. 

Le notizie sono moltissime, ed è complicato riuscire a spiegare tutto senza rendere la newsletter lunghissima e forse ad un certo punto anche noiosa. Per cui oggi affronteremo solo i socialisti, rimandando le notizie sugli altri candidati. Com’è accaduto per le primarie dei repubblicani, la settimana prossima riceverete due newsletter, una sabato e una lunedì, avremo quindi modo di affrontare per bene anche il resto.

1-Manca una settimana al primo turno delle primarie

Giovedì i socialisti hanno tenuto il loro primo dibattito. L’audience è stata di 3,8 milioni di telespettatori, 18% di share; sono due milioni in meno rispetto al primo dibattito dei repubblicani, visto da 5,6 milioni di persone con il 26,3% di share. Il dibattito è stato meno seguito anche rispetto al 2011, durante le primarie che incoronarono François Hollande. In quel caso si registrarono quasi 5 milioni di telespettatori.

Il confronto è stato molto lungo e francamente un po’ artificiale. Come analizzato in precedenza, i programmi sono molto diversi, eppure i candidati hanno accuratamente evitato di attaccare gli altri, tendendo più a recitare una serie di piccoli monologhi che a dialogare con chi avevano di fianco. Per farvi capire il clima, alla prima domanda Manuel Valls ha iniziato a rispondere chiarendo subito di “non avere nemici né avversari stasera”, immediatamente seguito dai vari appelli all’unità di tutti gli altri. Il momento più polemico è stato forse quando Benoit Hamon ha criticato il progetto di décheance de nationalité (la possibilità di privare della cittadinanza francese i condannati per terrorismo), facendo reagire in modo molto sorpreso Manuel Valls (che però si è limitato a qualche smorfia, senza replicare direttamente).

Il paragone con le primarie e i dibattiti dei repubblicani è naturale, ed è difficile da sostenere. I candidati della destra erano politici di peso: oltre ai due ex primi ministri (Fillon e Juppé) e un ex Presidente della Repubblica (Sarkozy), anche i cosiddetti candidati minori avevano ricoperto ruoli di estrema rilevanza, tutti ministri più volte tranne Jean-Frédéric Poisson. I quattro candidati socialisti vengono dalle varie minoranze, nessuno ha mai rappresentato la parte più importante del PS: non è facile operare la famosa “sintesi” se hai costruito tutto il tuo percorso politico su posizioni di minoranza. Nelle scorse settimane ci si chiedeva quanto questa postura avesse danneggiato l’inizio della campagna elettorale di Manuel Valls, che aveva parlato molto di unità e preso posizioni poco coerenti rispetto ai suoi punti di forza, rinnegando alcune scelte prese quando era primo ministro (l’utilizzo della fiducia, che in Francia è uno strumento molto controverso, su tutte), e faticava a far valere il suo ruolo di primo ministro. Allo stesso modo le posizioni del passato e la storia personale danneggiano Montebourg e Hamon, entrambi incapaci di rappresentare un candidato maggioritario.

La mancanza di François Hollande, tra l’altro, si è fatta sentire. Senza un candidato molto controverso e che suo malgrado calamitasse l’attenzione dei media e degli altri candidati il dibattito è stato meno dinamico e interessante; mentre gli elettori di centrodestra potevano farla finita con Sarkozy, ai simpatizzanti della gauche non è data la possibilità di voltare veramente pagina rispetto ad una stagione politica. Certo, Valls rappresenta in parte il bilancio di Hollande, ma nel sistema francese il presidente è una sorta di “monarca repubblicano” e attaccare il suo primo ministro non è la stessa cosa: per un elettore poco interessato l’idea di andare a votare in una consultazione per eliminare politicamente Hollande può avere un senso, non si può fare lo stesso ragionamento per Valls.

Che dire poi dell’entusiasmo? La riuscita delle primarie si basa sull’entusiasmo, sulla promessa di cambiamento (come fu per Hollande nel 2011 e com’è stato per Fillon a novembre). In questo caso nessuno è entusiasta, perché queste primarie, pensate per François Hollande, sono diventate un congresso del PS per designare un candidato in grado di evitare l’implosione della storica gauche de gouvernment. Il messaggio filtrato sinora è abbastanza chiaro, e lo hanno integrato persino i vari candidati: difficilmente da queste elezioni interne verrà fuori il probabile prossimo presidente; la partita, come visto, è un’altra. Infine, da non sottovalutare, non è in gioco il destino politico di nessuno, non ci troviamo di fronte all’ultima chance com’è stato per Juppé, Fillon e Sarkozy. I tre repubblicani erano obbligati a vincere le primarie; la sconfitta significava il ritiro dalla vita politica. Per i candidati socialisti, tutti intorno ai cinquant’anni, è molto più difficile parlare di carriera finita a prescindere dal risultato. È dunque chiaro che l’approccio è diverso, in questo caso.

Ma forse il più grande problema del dibattito è stato la mancanza di chiarezza nelle prospettive. Nessuno ha avuto la capacità di porre con forza il tema di cos’è oggi il Partito Socialista, dove vuole andare e perché solo il suo progetto è in grado di riportare la sinistra all’Eliseo; nessuno ha osato affrontare le profondissime divisioni ideologiche in campo. Se è vero che le fratture nella destra erano più di natura personale che politica, visti i trascorsi difficili e le varie incomprensioni, la sinistra è segnata da visioni del mondo del lavoro, delle questioni di sicurezza e dell’Europa difficilmente conciliabili. Ciononostante non si sono visti attacchi duri anche quando ce ne sarebbe stata l’occasione, specialmente su alcune scelte di Manuel Valls o su alcune proposte degli altri candidati. Nessuno ha avuto il coraggio di discutere con franchezza: esattamente l’atteggiamento che ha fatto naufragare il quinquennio di Hollande, ostaggio delle incomprensioni e ambiguità ideologiche della sua maggioranza.

La scelta di evitare il confronto su questi temi viene probabilmente dalla necessità di non mostrare un partito socialista a sua volta diviso in una sinistra già spaccata in tre, vista la presenza ed il relativo successo di Mélenchon e Macron. La strategia rischia però di disinteressare ancor di più un elettorato che ha ormai interiorizzato la sconfitta.  Su Mediapart Hubert Huertas pone bene la questione: “il partito socialista è pronto ad affrontare le contraddizioni che lo fratturano oppure le nasconderà sotto il tappeto?”

2-Cosa dicono i Sondaggi?

Ne commentiamo due, il primo è stato effettuato subito dopo il dibattito,  il secondo invece è di ieri ed è stato realizzato tra l’11 e il 13 gennaio, quindi prima e dopo il dibattito.

A-Montebourg è stato il più convincente

 

Come vedete Arnaud Montebourg è considerato il candidato più convincente dall’insieme dei telespettatori. Questo è un dato importante, siccome finora la sua campagna elettorale non è stata molto entusiasmante, come vedremo a breve. L’altro dato molto interessante è quello tra i simpatizzanti di sinistra, più motivati ad andare a votare domenica prossima: Benoit Hamon è il candidato più convincente, nonostante una prestazione non particolarmente entusiasmante, come ha lui stesso ammesso il giorno dopo.

Perché dico che il dato è interessante? Perché nelle ultime settimane abbiamo osservato una dinamica favorevole alle sue idee e alla sua candidatura; questo sondaggio la conferma. Allo stesso modo Montebourg in terza posizione tra i simpatizzanti conferma la difficoltà che incontra l’ex ministro dell’economia rispetto alla piattaforma del suo rivale, evidentemente più credibile per gli elettori della sinistra PS che sicuramente non voteranno Manuel Valls.

B-Le intenzioni di voto

La prima cosa da notare è che l’interesse verso le primarie è cresciuto, anche se di poco, rispetto alle rilevazioni effettuate prima del dibattito.

 

Per quanto riguarda le intenzioni di voto, Valls si conferma favorito (ma un altro sondaggio lo dava perdente al secondo turno), e Hamon conferma la sua popolarità tra i simpatizzanti di sinistra, arrivando molto vicino a Montebourg tra i simpatizzanti del PS. Insomma, i giochi sono apertissimi.

3-Un po’ di considerazioni sui tre principali candidati

A-Valls si è comportato bene

Il grande rischio di Manuel Valls era diventare il bersaglio delle critiche di tutti gli altri candidati: unico ad aver partecipato fino in fondo al bilancio di Hollande, bilancio contro cui si sono candidati Hamon e Montebourg, che all’inizio speravano di affrontare il Presidente uscente con una campagna molto aggressiva. Invece, come visto prima, nessuno ha basato la propria strategia sul “tutto tranne Valls”:  l’ex primo ministro è uscito indenne da questo punto di vista, e anzi ha utilizzato la domanda sul “come considera la presidenza Hollande in una sola parola” rispondendo in maniera decisa e più efficace degli altri: “fierezza. Sono fiero di aver servito il paese durante un periodo difficilissimo: la lotta al terrorismo. Non dimentichiamolo mai.

Questa risposta ha consentito poi a Valls di battere forte sui suoi temi storici, cioè sicurezza e identità, dove è riuscito a ritagliarsi uno spazio preminente vista anche la sua responsabilità di governo passata. È andato relativamente in difficoltà sui soggetti economici, specialmente sulla contestata legge del lavoro che Hamon e Montebourg hanno detto di voler abrogare, ma tutto sommato poteva andargli molto peggio. Possiamo dire di aver visto l’ex primo ministro più a suo agio rispetto a quanto era apparso nelle uscite mediatiche precedenti  e deciso nell’imporre la propria statura istituzionale, certamente più strutturata di quella dei suoi concorrenti. Certo, non è stato brillante o particolarmente trascinante, ma d’altronde non lo è stato nessuno.

B-C’è spazio per un paragone Hamon-Fillon?

Dal punto di vista della dinamica il paragone può esserci. Se andiamo a vedere la progressione nei sondaggi, lo spazio che viene dato alle sue idee, alla sua coerenza, e alla sua capacità di parlare alla sinistra del partito allora sì, effettivamente ci sono delle somiglianze. Come visto la sua apparizione televisiva è stata apprezzata; i sondaggi post-dibattito contano relativamente in termini elettorali, possono però darci un’indicazione abbastanza precisa sulla dinamica, sul sentimento che Hamon riesce a suscitare. L’ex ministro dell’istruzione ha però un problema, che si è visto nella sua partecipazione al programma Émission Politique dell’autunno scorso e che è riapparso nel dibattito di giovedì: non ha statura presidenziale, come conferma una delle domande del sondaggio analizzato prima, posta a chi aveva appena guardato il dibattito.

E qui sta forse il paradosso: se queste primarie fossero pensate per scegliere un potenziale presidente della repubblica, allora una mancanza del genere conterebbe molto. Ma ad un’eventualità del genere non credono nemmeno i socialisti (poi può cambiare tutto, ma al momento è davvero molto difficile vedere un altro socialista all’Eliseo in primavera). Se invece è un buon capo dell’opposizione che in queste due domeniche gli elettori del partito andranno a scegliere, allora il difetto potrebbe contare molto meno. La sua sfida è rendere in qualche modo credibile la sua proposta faro, quella del reddito universale, che per ora lo ha caratterizzato e ha anche catalizzato le critiche durante il dibattito. Ha poco tempo per farlo, e il format dei dibattiti non lo aiuta: una campagna così corta potrebbe penalizzarlo.

 

C-I problemi di Montebourg

Arnaud Montebourg sembrava essere lo sfidante più accreditato. Nei sondaggi che circolavano quando si credeva che Hollande avrebbe partecipato alla competizione era molto alto, in alcune rilevazioni era addirittura vincente. La sua campagna però stenta a decollare: le proposte sono di sinistra classica, cioè alzare la spesa pubblica e fare “piena occupazione” con investimenti. A ciò aggiunge la retorica sul patriottismo economico e contro le banche, oltre alla critica alle politiche di austerità vere “responsabili della perdita di potere d’acquisto e della disoccupazione”. Su questi temi, ancora più di Benoit Hamon, Montebourg è coperto da Mélénchon, che in questi mesi ha monopolizzato l’attenzione dei media per quanto riguarda la sinistra radicale. Infine sta soffrendo la dinamica di Hamon, che pur venendo da un’area politica molto simile, ha avuto il merito di mettere in piedi una proposta davvero innovativa. La rilevazione Elabe effettuata subito dopo il dibattito è quindi un’ottima notizia, nei prossimi dibattiti sarà con ogni probabilità molto più aggressivo.

Per oggi è tutto, a sabato prossimo!

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Présidentielle 2017 quattordicesima settimana: Macron è la personalità politica dell’anno

Quattordicesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Spero abbiate tutti passato un ottimo Natale! Prima di cominciare (ancora) una comunicazione organizzativa. Domenica prossima è il primo dell’anno e difficilmente potrò inviare la newsletter. Rimandiamo a lunedì 2, e poi torneremo alla normalità visto che non mi sembra ci siano altre festività in vista.

Di cosa parliamo oggi?

1-Dopo la dettagliata guida della settimana scorsa, che chi vuole può trovare qui, ragioniamo su cos’è in gioco alle primarie del Partito Socialista: gli elettori sceglieranno un potenziale Presidente della Repubblica o in gioco c’è la leadership del partito per i prossimi 5 anni, vista la sconfitta annunciata?

2-La dinamica di Emmanuel Macron continua, secondo un sondaggio è la personalità politica più apprezzata dai francesi. Il suo successo ha una serie di “ma” che analizzeremo.

3-Perché nelle ultime settimane Fillon è apparso un po’ sulle sue?

1-Le primarie del partito socialista

Ecco le date importanti da ricordare per le primarie dei partito socialista: i tre dibattiti con tutti i candidati si terranno il 12, il 15 e il 19 gennaio, il 22 si voterà per il primo turno, il 25 ci sarà il dibattito tra i due candidati qualificati al ballottaggio ed il 29 si voterà per il secondo turno. Come potete notare il calendario è serratissimo, e per quanto i francesi amino la politica e seguano con piacere le competizioni elettorali, un susseguirsi di eventi del genere potrebbe essere troppo persino per loro (e infatti i candidati in queste vacanze hanno limitato le apparizioni pubbliche).

In più queste primarie si tengono in un clima abbastanza freddo e molto diverso da quelle che hanno incoronato Fillon un mese fa. In pochi credono che dalle primarie uscirà il prossimo Presidente della Repubblica, anzi stando così le cose il candidato socialista non riuscirà nemmeno ad arrivare al secondo turno. È chiaro che in questo contesto la competizione perde di interesse, almeno per chi non è un elettore tradizionale del Partito Socialista.

Il rischio principale è quello della partecipazione: le primarie della destra hanno avuto ben 4 milioni di partecipanti, quelle del partito socialista che incoronarono Hollande nel 2011 videro 2,6 milioni di francesi in fila ai gazebo. Una cifra molto al di sotto dei due milioni fissati come risultato soddisfacente dagli organizzatori sarebbe molto problematica per due principali motivi. Il primo è politico, ed è abbastanza intuitivo: avere un candidato scelto da pochi partecipanti è un gran segno di debolezza, ciò vuol dire che gli elettori che si riconoscono a sinistra hanno  già un loro candidato (quindi Emmanuel Macron e Jean Luc Mélenchon) o non credono che queste primarie possano servire a designare un potenziale Presidente della Repubblica. In molti potrebbero vedere le primarie come un pre-congresso del Partito Socialista e quindi semplicemente disinteressarsene.

Il secondo motivo è più burocratico: organizzare delle primarie costa un sacco di soldi. È vero che gli 8000 gazebo e gli uffici elettorali sono gestiti da volontari (ne servono quasi 40.000) ma in ogni caso l’esercizio è molto costoso, tanto che normalmente ai votanti viene chiesto un contributo minimo. Alle primarie della destra per votare servivano 2 euro, i socialisti hanno deciso di abbassare la cifra e chiedere solo 1 euro. In caso di bassa affluenza quindi gli organizzatori potrebbero addirittura rimettervi, quando invece un evento del genere è pensato anche per raccogliere un minimo di fondi per la campagna elettorale.

L’altro rischio concreto è quello della scissione del partito. Come abbiamo già spiegato settimana scorsa, i programmi dei candidati, per quanto ancora piuttosto vaghi, sono difficilmente sovrapponibili; inoltre sappiamo che le personalità in campo sono molto lontane dal punto di vista ideologico. Cosa succederà in caso di vittoria di Manuel Valls? Vedremo Arnaud Montebourg fare campagna per lui? E il contrario? Apparentemente la risposta è sì, chi partecipa alle primarie sottoscrive l’impegno a rispettarne i risultati, ma nulla appare scontato al momento. La competizione potrebbe essere l’occasione per una ricomposizione della sinistra francese, con una parte del partito che si allinea alle posizioni di Jean Luc Mélenchon e un’altra che raggiunge Emmanuel Macron. Per ora è uno scenario lontano, ma se a fine gennaio le primarie dovessero essere un fiasco in termini di partecipazione qualcuno potrebbe cogliere l’occasione e dichiarare finita l’esperienza del Partito Socialista così come lo conosciamo.

Tornando alle primarie, è ragionevole affermare che la vaghezza dei programmi e il calendario serrato renderà molto importanti i dibattiti televisivi, momento in cui i candidati saranno costretti ad approfondire i loro progetti. In più, vista la poca notorietà di gran parte dei partecipanti (solo Manuel Valls e Arnaud Montebourg sono personaggi pubblici a tutti gli effetti, gli altri candidati sono molto meno conosciuti), una buona performance televisiva da parte degli outsider potrebbe spostare gli equilibri. Questo rende l’esito, già difficile da prevedere come sempre, molto incerto: se è vero che nel caso di François Fillon abbiamo osservato che i dibattiti hanno giocato un ruolo rilevante nella rimonta, guidata però anche da moltissime scelte azzeccate del candidato oltre che da errori dei suoi avversari, in questo caso una buona impressione televisiva può essere davvero decisiva.

C’è in tutto questo una buona notizia per Manuel Valls, la disoccupazione è scesa per il terzo mese consecutivo, cosa che sicuramente potrà far valere nelle prossime settimane di campagna.

2-La dinamica di Macron prosegue

L’anno di Emmanuel Macron si è chiuso con ottime notizie. Dopo la dimostrazione di forza con il suo meeting con più di 13.000 persone (ne avevamo parlato qui), secondo un sondaggio Elabe per BFMTV il leader di En Marche! è la personalità politica dell’anno davanti a François Fillon, Marine Le Pen e Manuel Valls. Come abbiamo detto più volte Macron ha bisogno di una dinamica favorevole sia nei sondaggi che in termini di attenzione dell’opinione, queste sono quindi notizie molto positive per lui.

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Va anche detto però che la democrazia di opinione e la democrazia elettorale sono due cose molto diverse. Se andate a vedere dei sondaggi di qualche mese fa potete notare per esempio che Christine Lagarde, ex ministro dell’economia con Sarkozy e attuale direttore del Fondo Monetario Internazionale, era molto alta nel gradimento dei francesi. Ciò vuol dire che automaticamente sarebbe molto votata? Con ogni probabilità no, perché prendere voti è cosa molto diversa da essere apprezzati. Macron è in un momento favorevole,  aiutato in particolare da due dinamiche che non vanno sottovalutate: la prima è che la sinistra di governo non ha ancora un candidato. Manca quindi un personaggio di peso soprattutto a sinistra, dove al momento l’ex ministro dell’economia gioca una partita abbastanza facile e solitaria.  L’altro vuoto che Macron ha riempito è quello del  centro: il candidato naturale dei centristi, François Bayrou (che chi è iscritto da tempo conosce ormai abbastanza bene) non ha ancora chiarito le sue intenzioni, e sta vedendo sgretolarsi una serie di possibili sostegni. A inizio mese 200 tra iscritti ed eletti al movimento UDI, il partito di centro che ufficialmente si alleerà con François Fillon, hanno dichiarato ufficialmente che voteranno per Macron.

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Bisogna quindi capire come continuerà la progressione di Macron quando sicuramente uno dei due spazi sarà colmato dal candidato dei socialisti. In questo senso Macron deve sperare che le primarie le vinca uno tra Benoit Hamon e Arnaud Montebourg: il ragionamento è che con un candidato molto di sinistra i moderati potrebbero andare verso di lui vista anche l’estrema debolezza di un profilo simile al primo turno delle presidenziali. Montebourg nei sondaggi è dato tra il 6 e l’8%, un disastro.

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A ciò si deve aggiungere che finora il fondatore di En Marche! ha convinto una parte della popolazione francese molto influente nell’opinione pubblica, ma non abbastanza larga dal punto di vista elettorale. Essere il candidato della globalizzazione felice, dell’Europa come orizzonte e della rivoluzione economica digitale va benissimo, però in Francia alle presidenziali votano mediamente 36 milioni di persone. Ciò vuol dire convincere gli agricoltori, affrontare la collera delle regioni de-industrializzate, offrire una visione ai giovani che vivono nelle periferie diventate ormai “zone di non-diritto”. Infine, dare l’impressione di essere un capo in grado di prendere delle decisioni difficili: partecipare o meno a missioni militari all’estero, reagire con fermezza ad un attentato, dare risposte credibili alla probabile crisi migratoria che l’Europa dovrà affrontare durante la prossima estate.

Su tutti questi temi Macron è molto vulnerabile, e lo è da tutti i fronti. Se Valls dovesse vincere le primarie è su questi argomenti che incalzerà l’ex ministro dell’economia, Fillon ha un profilo solidissimo da questo punto di vista, e Marine Le Pen batte da anni su questi argomenti. Insomma, da gennaio per Macron comincia la parte più difficile: misurarsi davvero con il consenso. Per non parlare poi della strategia per le successive elezioni legislative, di cui senz’altro parleremo nelle prossime settimane.

3-Cosa fa François Fillon?

A parte la polemica sull’assicurazione sanitaria che abbiamo raccontato settimana scorsa, Fillon è stato abbastanza ai margini del dibattito politico dopo la grande vittoria alle primarie. Oltre a un motivo di poco spazio mediatico, visto l’inizio della campagna elettorale per le primarie del Partito Socialista, le polemiche interne al Front National e i vari successi di Emmanuel Macron, Fillon ha dovuto curare affari molto importanti ma poco visibili.

Ha presentato il suo organigramma per la campagna elettorale, cercando di rappresentare il più possibile le diverse anime del suo partito, scegliendo persone vicine ai suoi avversari alle primarie. Ha poi cominciato a mettere mano alle alleanze che definiranno le varie candidature nei collegi alle legislative. Per chi arriva ora può essere utile ricordarlo: un mese dopo le presidenziali si vota per l’Assemblea Nazionale, la camera bassa del parlamento francese che dà la fiducia al Governo. I membri vengono eletti in un sistema di doppio turno di collegio uninominale: il territorio nazionale è diviso in piccoli collegi e ognuno assegna un solo seggio;  l’uninominale francese è “a doppio turno” nel senso che se nessuno dei candidati raggiunge il 50% dei voti al primo turno, i candidati con almeno il 12,5% dei voti si scontrano al secondo. A questo punto chi prende più voti è eletto. È chiaro che in questo contesto accordarsi con i partiti alleati per evitare di disperdere i voti su più candidati è fondamentale, da qui le trattative con i partiti di centro che si alleeranno ai repubblicani.

Dopo un piccolo viaggio in Mali dove la Francia è fortemente impegnata in un’operazione di contrasto al terrorismo attivo nella regione, Fillon ha passato le vacanze tra Parigi e la sua casa nella Sarthe. Dal tre gennaio la sua campagna prenderà un’accelerazione, sarà ospite per un’intervista su TF1, parteciperà al salone dell’innovazione tecnologica a Las Vegas per strutturare le sue proposte sull’economia digitale e aprirà il consiglio nazionale dei repubblicani previsto per il 14 gennaio. Intanto dai conti delle primarie arriva un’ottima notizia: grazie alla grandissima partecipazione fatta registrare dalla consultazione elettorale i repubblicani hanno praticamente già finanziato la loro campagna elettorale. A fronte di un costo di 6 milioni di euro (ora capite perché il Partito Socialista è molto preoccupato da una possibile bassa affluenza)  gli elettori hanno versato 17,4 milioni di euro, ciò vuol dire più di 11 milioni nelle tasche del candidato. Visto che per la legge francese sul finanziamento delle presidenziali il 47,5% delle spese per la campagna elettorale dei candidati che superano il 5% dei voti sono rimborsate dallo Stato (il limite totale delle spese è fissato in 22,5 milioni di euro), Fillon non ha più bisogno di raccogliere fondi.

Per oggi è tutto, ci sentiamo lunedì e tanti auguri di nuovo!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017 tredicesima settimana: i candidati alle primarie del Partito Socialista

Dodicesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Prima di cominciare, una comunicazione di servizio. Domenica prossima è Natale, sono quindi convinto che tutti voi avrete di meglio da fare che leggere la mia newsletter, così come a Santo Stefano. Ci sentiamo, dunque, eccezionalmente martedì pomeriggio.

Ieri, alle 12, l’Alta Autorità che organizza le primarie del Partito Socialista ha ufficializzato le sette candidature che si contenderanno la leadership dei socialisti nell’elezione di gennaio. Vediamo quindi chi sono, alcuni più noti, come i quattro candidati socialisti, altri un po’ meno, come i tre candidati dei partiti satelliti. Si vota il 22 e il 29 gennaio; andranno in onda tre dibattiti prima del 22 gennaio e uno tra primo e secondo turno.

Purtroppo in questa newsletter non ci sarà spazio per ragionamenti più complessi sui vari scenari (già così è lunghissima) che recuperiamo nelle prossime settimane. La puntata può dunque servirvi come promemoria per quello che affronteremo a gennaio, quando i socialisti voteranno per il loro candidato.

Prima dei ritratti, va detto che due candidati dati per molto probabili sino alla vigilia, Fabien Verdier e Gérard Filoche, non hanno raggiunto i requisiti per veder accettata la loro candidatura.

Manuel Valls: è di sicuro il candidato più famoso, chi è iscritto dall’inizio ormai lo conosce piuttosto bene (ne avevamo parlato approfonditamente settimana scorsa, ma anche qui e qui). È in politica dagli anni ’80, consigliere di Michel Rocard, poi direttore della comunicazione di Lionel Jospin, all’epoca primo ministro. A lungo sindaco di Evry, comune alla periferia di Parigi, ha partecipato alle primarie  del PS del 2011 arrivando al 5%, per poi essere nominato ministro dell’interno e, nel 2014, primo ministro da François Hollande.

Le sue idee: Valls rappresenta la destra del Partito Socialista, ha pubblicato più libri sull’identità francese ed il rapporto con le religioni, ha preso posizioni molto dure dal punto di vista della sicurezza e della lotta al terrorismo (favorevole alla déchéance de nationalité, cioè il ritiro della cittadinanza ai condannati per terrorismo). Era inoltre partito con proposte molto liberali per gli standard socialisti (nel 2001 un punto forte del suo programma era il superamento delle 35 ore lavorative) anche se nelle ultime settimane ha fatto più di un passo indietro: ha dichiarato di voler abolire l’articolo 49.3 della Costituzione (l’equivalente della nostra questione di fiducia) che egli stesso aveva utilizzato più volte (il caso più celebre è quello della riforma del lavoro); e sta cercando di addolcire le proprie posizioni per apparire come il candidato in grado di unire le varie anime del partito.

I suoi punti di forza: ha incassato sostegni importanti, praticamente tutto il governo ha deciso di votare per lui e questo è importante: dovrà difendere il bilancio di Hollande (d’altronde ne porta una grande responsabilità) e farlo senza nessun aiuto da parte di chi ha condiviso l’esperienza sarebbe stato molto complicato. È il candidato più “presidenziale”, e questo dovrebbe dargli una mano, soprattutto nelle apparizioni televisive.

Le sue debolezze: c’è il rischio che queste primarie appaiano come un pre-congresso più che come un momento in cui si elegge un probabile presidente della Repubblica. Se così stanno le cose, il profilo di Valls rischia di essere respingente.

Arnaud Montebourg: è il più critico dei candidati rispetto al bilancio di François Hollande. Suo nonno, algerino, ha combattuto per il Fronte di Liberazione Nazionale per l’indipendenza dell’Algeria negli anni ’50. Iscritto al PS dal 1981, non ha sempre fatto politica ma negli anni ’90 è stato un avvocato abbastanza conosciuto del foro di Parigi. Eletto in Parlamento nel 1997, vi è rimasto sino al 2012, quando è stato nominato ministro dell’economia da François Hollande, ruolo che però è stato costretto ad abbandonare nel 2014 per contrasti con il primo ministro Manuel Valls.

Le sue idee: rappresentante dell’ala sinistra del Partito Socialista, fu eletto deputato nel 1997 sulla base di una campagna molto protezionista, e quando ha partecipato alle primarie del PS nel 2011 ha fortemente sostenuto che si dovesse cominciare un discutere di de-globalizzazione (è arrivato terzo, con il 17%). Dichiara spesso di essere il protettore del Made in France, e ha proposto un piano di spesa pubblica dal valore di quasi 100 miliardi di euro tra investimenti e riduzione di imposte. È tra le altre cose sostenitore di una profonda riforma delle istituzioni:, riduzione dei deputati da 577 a 350; riduzione dei senatori da 348 a 200, di cui 100 eletti con il metodo del sorteggio, e ritorno al settennato.

I suoi punti di forza: è il più famoso socialista di sinistra e il suo carattere e i suoi discorsi da tribuno piacciono molto a quella parte di elettorato. Se il contesto delle primarie sarà segnato dalla voglia di ritorno ai fondamentali, potrebbe essere il profilo giusto.

Le sue debolezze: la sua campagna è partita in sordina, non avendo molti soldi a disposizione ha evitato grandi manifestazioni, ma questo può costargli in termine di narrazione e dinamica. In più non ha molti appoggi nel partito, se non tra alcuni esponenti molto di sinistra; ci si attendeva una dichiarazione di sostegno di Christiane Taubira, ma per ora l’ex ministro della giustizia non ha ancora chiarito chi appoggerà. La concorrenza di Hamon, che presenta una piattaforma molto simile potrebbe infastidirlo, così come la presenza di Mélenchon al di fuori del campo socialista.

Benoit Hamon: è probabilmente il candidato che incarna la più tradizionale sinistra socialista. In politica da giovanissimo, dal 1993 al 1995 è il primo presidente dei giovani socialisti. Segue tutta una carriera all’interno del partito, dal 2008 al 2012 ne è il portavoce; nel 2012 è eletto per la prima volta deputato, diventa ministro durante la presidenza Hollande, sia nel governo Ayrault che in quello di Manuel Valls. Lascia però il suo incarico all’istruzione dopo qualche mese, in disaccordo con la politica del governo.

Le sue idee: è forse il più ecologista dei candidati socialisti, visto che si definisce social-ecologista, e ha un programma molto sensibile alle questioni ambientali. È critico con la politica della crescita a tutti i costi (ha detto che il tema è come si cresce e non quanto), ha proposto un piano di reddito minimo di cittadinanza che costerebbe intorno ai 300 miliardi e contrariamente a Montebourg considera che il bilancio di Hollande non sia totalmente indifendibile, ma che il Governo avrebbe potuto fare di più dal punto di vista sociale e nell’affermazione di valori democratici. È infine molto aperto sulle questioni di società visto che ha ferocemente criticato il progetto di déchéance de nationalité ed è favorevole alla liberalizzazione della cannabis.

I suoi punti di forza: dei quattro davvero in gara è forse il meno conosciuto, quindi la dinamica con i tre dibattiti ravvicinati prima del primo turno potrebbe attirare l’attenzione sul suo profilo. Profilo che è chiaramente di sinistra: la scommessa è che così come gli elettori di destra hanno espresso il desiderio di destra, la stessa cosa possa accadere con i socialisti.

Le sue debolezze: se è vero che la poca notorietà può dargli una mano, è anche vero che in caso di alta affluenza le persone meno attente alle dinamiche interne al partito potrebbero essere portate a scegliere i candidati più noti. In più, gran parte dei suoi temi sono cavalli di battaglia di Jean-Luc Mélenchon, leader della sinistra radicale e già candidato da indipendente: perché un elettore dovrebbe impegnarsi per Hamon alle primarie, se ha già un candidato da votare al primo turno delle presidenziali?

Vincent Peillon: è deputato al parlamento europeo ed è la vera novità di queste primarie. Sino a una settimana fa nessuno immaginava si sarebbe candidato, visto che dal 2014, anno in cui ha lasciato il governo Hollande, si era praticamente ritirato dalla politica, per dedicarsi all’università di Neuchâtel, in Svizzera, dove insegna filosofia.

Le sue idee: vista l’improvvisazione della sua candidatura (ha dovuto persino regolare un debito di 20.000 euro con il Partito Socialista, per mancati contributi), si sa poco delle sue idee. Quello che si è capito è la sua volontà di difendere il bilancio di Hollande e di rappresentare dunque il candidato dell’unità. Questo atteggiamento ha fatto pensare che in realtà la sua candidatura serva a restringere lo spazio di Valls, che sinora poteva contare sul fatto che la sinistra del partito fosse divisa tra Hamon e Montebourg, mentre l’area governativa potesse contare solo sul suo progetto. È in ogni modo grande sostenitore dell’Europa, per quanto sia uno dei parlamentari europei meno attivi.

Punti di forza: è di sicuro un candidato molto solido dal punto di vista intellettuale, potrebbe dunque ben figurare nei dibattiti. Inoltre potrebbe apparire davvero come l’uomo in grado di unire le diverse anime dei socialisti soprattutto se, come dicono alcuni retroscena, dietro alla sua candidatura c’è la mano di Martine Aubry. Ha in ogni caso un sostegno molto importante: il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, che voterà e farà campagna per lui, è uno dei politici socialisti più amati.

Punti di debolezza: si pone come difensore del bilancio di François Hollande che però non lo ama, avendolo definito “un serpente” per la sua attitudine al tradimento. In più potrebbe scontare l’improvvisazione della sua piattaforma e un’eventuale sua percezione come candidato di fastidio a Manuel Valls piuttosto che davvero interessato a vincere.

Sylvia Pinel: è il presidente del Parti radical de gauche, eletta deputato per la prima volta nel 2007, è stata ministro durante la presidenza Hollande (prima ha guidato il ministero delle politiche abitative, poi quello dell’artigianato) ma ha poi lasciato il governo dopo le regionali del 2015 perché eletta vicepresidente della regione Languedoc-Roussillon-Midi-Pyrénées.

Le sue idee: il programma non circola ancora, avendo deciso di partecipare un giorno prima della chiusura delle candidature. Secondo Libération difenderà dunque le posizioni storiche del suo partito: sostegno all’eutanasia, liberalizzazione della cannabis e attribuzione del diritto di voto agli stranieri. Altra posizione storica del Partito Radicale è una riforma delle istituzioni, oltre alla creazione di un vero governo europeo.

I punti di forza: ha un partito strutturato e con una lunga tradizione di idee riconoscibili e di governo. Se ha deciso di partecipare alle primarie (si era candidata già da indipendente, ma ha cambiato idea) è perché crede che in questo modo le sue idee possano avere più risonanza.

I punti di debolezza: la fretta, anzitutto. Come visto la sua è una candidatura dell’ultimo minuto, e la campagna sarà molto breve. Potrebbe essere quindi complicato mettere in piedi delle proposte innovative.

François de Rugy: è il candidato del partito ecologista, microformazione ambientalista da lui fondata dopo la scissione dei Verdi. È vicepresidente dell’Assemblea Nazionale e deputato dal 2007.

Le sue idee: per ora si conoscono solo le sue proposte in materia di ambiente, per esempio l’obiettivo di arrivare al 100% di energie rinnovabili nel 2050 in Francia. Sul resto, bisognerà attendere qualche settimana.

I suoi punti di forza: non dovendo vincere, come spesso accade con i candidati minoritari, può avere la serenità di spostare il dibattito delle primarie verso ciò che gli sta più a cuore.

Le sue debolezze: non è molto famoso né molto carismatico (l’Obs lo ha definito ecolo-triste), vista la sua preparazione monotematica potrebbe andare fortemente in difficoltà nei dibattiti che saranno di certo incentrati su economia, terrorismo e politica estera.

Jean-Luc Bennahmias: nato nel 1952, è il candidato più anziano. Nasce giornalista e opinionista politico, ma ha poi  intrapreso una lunga carriera nei partiti di sinistra ecologista e di centro (è stato a lungo nei Verdi, poi ha contribuito a fondare il movimento centrista Mo-dem insieme con François Bayrou) oggi è presidente del partito Front Démocrate, da lui fondato.

Le sue idee: il suo programma è abbastanza vago, si definisce socialista-ecologista-libertario, è anch’egli a favore della legalizzazione della cannabis, in materia criminale propone delle misure alternative al carcere, di alzare gli stipendi di alcune professioni statali (sanità e scuola principalmente) e di introdurre un reddito universale di 800 euro.

Il suo punto di forza: verrebbe da dire la simpatia, siccome ha dichiarato di “non essere sicuro di poter vincere”, in realtà queste primarie possono essere una vetrina per il suo piccolo partito.

I suoi punti di debolezza: il programma è vago, e potrebbe finire schiacciato dai candidati più forti in termini di visibilità se non trova il modo di crearsi un personaggio in grado di attirare l’attenzione.

Per scrivere questi brevi profili è stata essenziale la lettura dell’articolo di Libération e della guida abbastanza spiritosa dell’Obs.

2-Un accenno alla situazione François Fillon

François Fillon, che dopo la lunga campagna per le primarie ha leggermente rallentato (questa settimana ha organizzato solo una visita ad un centro ospedaliero) ha passato gli ultimi giorni a difendersi dalle accuse di voler privatizzare gran parte del sistema sanitario. Le critiche, per la verità, erano cominciate ad emergere già durante il dibattito tra i due turni delle primarie, quando Alain Juppé aveva messo in discussione il suo progetto. In breve, la proposta di Fillon prevedeva l’introduzione di una differenza tra malattie gravi e di lunga durata (che sarebbero state coperte dall’assicurazione sanitaria nazionale) e quelle meno gravi, che sarebbero rimaste scoperte (e dunque a carico di assicurazioni private).

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L’immagine è presa dal sito del Monde

 

La polemica è talmente montata che François Fillon ha dovuto eliminare qualunque riferimento al progetto dal suo sito, ed è dovuto intervenire personalmente sulle colonne del Figaro per precisare la sua proposta. Risultato, Fillon ha spiegato che il sistema delle assicurazioni rimarrà uguale “non è questione di toccare il sistema della assicurazioni sulle malattie e ancor meno di privatizzarlo”. Qui trovate un riassunto del Monde che parla di “contorsionismo”, mentre Maxime Tandonnet ha scritto sul Figaro che questa marcia indietro è un errore, e il candidato dei repubblicani farebbe meglio a restare fedele a se stesso anche se, secondo un sondaggio realizzato dal Journal du Dimanche, il 72% dei francesi ritiene che Fillon abbia fatto bene a cambiare idea sulla questione.

Di Fillon e delle sue prospettive parleremo meglio martedì, per oggi è tutto!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017 seconda settimana: disastro Hollande, Sarkozy è nei guai

Meno di 7 mesi al primo turno delle presidenziali, la campagna elettorale entra nel vivo!
Di cosa parliamo oggi:

1-Il disastro Hollande: il presidente non ha ancora dichiarato ufficialmente se si candida o meno, ma ha in qualche modo cominciato la campagna elettorale. Non è però aiutato dall’economia che stenta a ripartire, e i sondaggi sono un a dir poco disastrosi per lui.

2-L’ipotesi Macron: l’ex ministro dell’economia ha lasciato il governo il 30 agosto, dopo mesi di voci e di smentite. Sta cercando di capire se ci sono i margini per una sua candidatura competitiva, e i sondaggi sembrano dargli una chance. Per lasciarsi tutte le porte aperte ha dichiarato di non essere socialista, cosa che gli consente di evitare un passaggio per le primarie nel caso decidesse di correre.

3-L’affaire Bygmalion comincia ad avere ripercussioni sulle primarie dei Républicains. Sarkozy è di nuovo in svantaggio nei sondaggi, giovedì sera è andata in onda un’intervista esclusiva dell’organizzatore della sua campagna elettorale del 2012 da cui l’ex presidente esce piuttosto malmesso. Frank Attal (l’organizzatore) sostiene che l’ex presidente fosse a conoscenza dei metodi usati per ridurre illegalmente le spese della campagna elettorale ed evitare di superare il tetto massimo stabilito per legge. In altre parole, Sarkozy avrebbe speso più del doppio dei 22,5 milioni consentiti dalla legge.

4-La tranquillità di Marine Le Pen: la leader del Front National è poco presente nel dibattito pubblico di queste settimane. È una scelta ponderata, vediamo perchè.

1-La presidenza di Hollande è sempre più un disastro

Chi vi ricorda?

Come è stato notato dalla stampa francese Hollande ha cominciato ufficiosamente la campagna elettorale. Il presidente non ha ancora chiarito se si candiderà o meno, ma sta intensificando la sua agenda per cercare di occupare il più possibile i media e invertire la tendenza nei sondaggi. In settimana ha tenuto almeno cinque discorsi importanti prima di volare a Gerusalemme per partecipare ai funerali di Shimon Peres. Martedì i suoi sostenitori hanno pubblicato un sito intitolato “Notre idée de la France” che nelle intenzioni dovrebbe far da megafono alla futura candidatura di Hollande. Ma la settimana è iniziata molto male su due versanti:

A-L’economia stenta a decollare, agosto ha fatto registrare un aumento di 52.400 disoccupati, mentre il governo aveva previsto a inizio anno che la situazione sarebbe lentamente migliorata nel corso dei mesi. Hollande in più, ha promesso che si candiderà solo in caso di un aumento dei posti di lavoro. Ora, è vero che le promesse sono fatte per essere infrante, ma arrivare alle presidenziali con queste cifre vuol dire sottoporsi ad un bombardamento continuo da parte di tutti gli avversari.

B- Secondo un sondaggio pubblicato da Ipsos il presidente in carica non solo non arriverebbe in nessun caso al secondo turno, ma sarebbe alla pari con Jean Luc Mélanchon (leader della sinistra radicale) e addirittura alle spalle di Emmanuel Macron. Anche i sondaggi sulle primarie sono sconfortanti: se Hollande al primo turno è stimato al 43% contro il 31% et 16% rispettivamente di Arnaud Montebourg e Benoît Hamon, al secondo turno si profilerebbe un testa a testa con Montebourg. È chiaro che per il presidente le primarie hanno un senso se riescono a costituire un momento di trionfo e legittimazione forte per arrivare competitivo alle presidenziali. Un testa a testa sarebbe un’umiliazione, un modo di arrivare alle elezioni ancora più debole di quanto già non sia. In ultimo, l’80% dei francesi giudica negativamente l’azione del governo.

Insomma una catastrofe

2-L’ipotesi Macron

Di Emmanuel Macron parleremo meglio nelle prossime settimane. Qualche accenno può però essere utile: è l’ex ministro dell’economia del governo Valls, è molto giovane (ha 38 anni) e ha lasciato l’esecutivo ad agosto dicendo che non c’erano più le condizioni per andare avanti. In primavera ha lanciato il suo movimento “En Marche” con cui sta raccogliendo le idee per cambiare il paese; al momento l’ipotesi di una sua candidatura piace molto, considerato che fino a tre anni fa era totalmente sconosciuto al pubblico francese. Macron ha però una serie di problemi: viene spesso accusato di essere compromesso con l’establishment bancario, siccome ha lavorato per anni con la banca d’investimento Rothschild; è relativamente inesperto: se da un lato è gradito perché incarna un bisogno di rinnovamento che esiste nella società, allo stesso tempo, come visto settimana scorsa, i francesi sono piuttosto restii a consegnare il paese nelle mani di qualcuno che ha pochissima esperienza di governo; il terzo problema è che si sa ancora poco della sua piattaforma politica e infatti ha un consenso abbastanza distribuito in tutto l’elettorato (pesca poco agli estremi, a dir la verità).

Al momento può parlare e anche bene di economia, cultura, società ma ciò che pensa rispetto a temi fondamentali come sicurezza e identità non è chiaro. Sta cercando di accreditarsi come colui che parla alla Francia che non ha paura, che vuole stare nella globalizzazione, che ha speranza. Il punto è che questi temi non sembrano essere al centro del dibattito, almeno per ora. Ultimo problema: i fondi. Macron ha raccolto solo 9 milioni di euro, pochi per sostenere una campagna alle presidenziali. Finché l’ex inquilino di Bercy non ufficializza la sua candidatura avrà difficoltà a raccogliere la cifra necessaria.
Va chiarito che non ha fretta, non si sa ancora se Hollande decide di candidarsi, né chi sarà il candidato dei repubblicani. È probabile che anche in base a questo l’ex ministro dell’economia prenderà una decisione: con Juppé in campo per lui è dura, visto che in parte si rivolgono allo stesso elettorato. Con Sarkozy ed Hollande invece la partita può essere aperta. Ufficializzare una candidatura adesso non servirebbe, mentre i prossimi mesi saranno utilizzati per strutturare la piattaforma e cercare sostegno tra la classe politica francese. Ad oggi, solo il sindaco di Lione, Gérard Collomb, si è schierato apertamente per Macron. 

3-Sarkozy è in difficoltà

Settimana durissima per l’ex presidente che ha visto in un sol colpo svanire la rimonta nei sondaggi e aumentare la pressione mediatica a causa dei suoi problemi con la giustizia. Ma andiamo con ordine:

A-Per la prima volta da mesi la tendenza nei sondaggi si è invertita, perché Juppé è tornato a crescere: il sindaco di Bordeaux sarebbe in testa al primo turno delle primarie col 40% mentre Sarkozy resterebbe fermo al 33/34%. Hervé Mariton, candidato alle primarie dei Repubblicani e poi ritiratosi, ha ufficializzato il suo sostegno a Alain Juppé e i sondaggi hanno evidenziato una generale mobilitazione dell’elettorato centrista a suo favore. Sarkozy non sembra andare oltre il suo zoccolo duro, e anzi la sua onnipresenza mediatica sembra aver motivato gli elettori che non lo sopportano a sostenere attivamente Juppé. Questo per lui è un grande problema, arrivare secondo al primo turno è un rischio: in questo caso è probabile che gli altri candidati appoggino Juppé per non dividere il partito, come accadde con François Hollande alle primarie del partito socialista nel 2011. Se così fosse le sue speranze sarebbero davvero ridotte.

B-Giovedì sera è andata in onda una puntata di “Envoyé Special” una sorta di Presa Diretta francese. La puntata è basata sulle dichiarazioni di Franck Attal, uno degli organizzatori della campagna elettorale di Sarkozy nel 2012. Attal è uno dei personaggi chiave nell’affaire Bygmalion, l’inchiesta che sta facendo luce sul finanziamento poco chiaro della campagna elettorale di Sarkozy nel 2012. In breve: la società Bygmalion si occupa di logistica di eventi, ed ha gestito tutti i grandi eventi elettorali dell’allora presidente in carica. Sarkozy è accusato di aver superato il tetto massimo di spesa per la campagna: secondo la legge francese i candidati non possono spendere più di 22,5 milioni di euro; l’accusa è che ne abbia spesi il doppio. Per aggirare i controlli sulle fatture, la società Bygmalion e l’UMP (il partito di Sarkozy), si sarebbero accordati per un pagamento in due momenti diversi. Il partito avrebbe pagato ufficialmente alla società Bygmalion delle cifre molto più basse rispetto al reale valore delle prestazioni durante la campagna, in modo da rimanere al di sotto del tetto di 22,5 milioni di euro. Dopo le elezioni L’UMP avrebbe saldato il conto, commissionando e pagando eventi inesistenti. La puntata è stata vista da 3,5 mln di spettatori.

Per questi fatti la procura di Parigi ha richiesto il rinvio a giudizio di Sarkozy, e la decisione del tribunale è prevista per la settimana prossima. La domanda a cui devono rispondere i giudici è: il presidente era a conoscenza delle modalità con cui si stava finanziando la sua campagna elettorale? Attal sostiene che Sarkozy non poteva non sapere, così come gran parte della stampa. Dal canto suo il presidente nega, facendo notare che l’organizzazione della sua campagna era in mano al partito, e non alla sua persona.

Questo affare, che si trascina avanti da tempo, si somma all’inchiesta sui fondi libici; secondo un documento di cui ha avuto visione il sito d’inchieste Mediapart, Sarkozy avrebbe rievuto 1,5 milioni di euro dal regime Libico di Gheddafi per la campagna presidenziale del 2007. Infine, per non farsi mancare nulla, in settimana è uscito il libro di Patrick Buisson, consigliere politico di Sarkozy durante la presidenza. Il libro è un lungo racconto dell’ex presidente basato su una serie di conversazioni registrate e di testimonianze dirette. Ne viene fuori un ritratto di Sarko poco lusinghiero: è descritto come un uomo influenzabile, molto meno duro di quanto lascia trasparire, emotivo e volubile. Il suo sistema di potere è definito “Cesarismo senza Cesare”.

4-Marine la silenziosa 

Per quanto riguarda Marine Le Pen, ho scritto un suo lungo ritratto che trovate qui. Al momento la leader del Front National sta conducendo una campagna molto sobria: poche e mirate uscite pubbliche, toni rassicuranti. Questo perchè la dirigenza del FN è convinta che i fatti parlino per lei. Quanto evocato da anni dal Front National (disoccupazione, terrorismo, crisi del debito), si sta materializzando e non c’è bisogno che venga continuamente sottolineato. In più, secondo il politologo Pascal Perrineau, gli avversari in campagna continua e in lotta fra loro producono “cacofonia” tutta a suo vantaggio. Marine le Pen ha buon gioco a rimanere in silenzio, dandosi un tono presidenziale.

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

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