Comincio con un’ammissione: capisco poco di economia, accademicamente intesa. Le mie nozioni sono limitate a ciò che leggo sui giornali (principalmente online), e vista la vastità e complessità della materia non saranno di certo eccezionalmente accurate. Aggiungo che sono stato più volte definito come “agente antieconomico” da amici che studiano economia. So di non sapere insomma, ma questo post ha un senso proprio perché si parte da questa premessa.
Posso dire che mi sta parecchio interessando il dibattito sull’Euro, forse anche per lo spazio che i media stanno dando agli antagonisti della moneta unica. Mi pare tra l’altro che questa componente si sia parecchio ingrossata rispetto alle scorse campagne elettorali: il sentimento no euro è forte in larghi strati della società e da quello che ho potuto capire è presente anche in ambito accademico. Il primo che mi viene in mente è Paul Krugman, editorialista del New York Times e premio nobel. Tra gli economisti nostrani, negli ultimi tempi si segnala tale Bagnai, economista piuttosto netto (anzi, direi molto aggressivo) nel criticare la moneta unica.
La motivazione comune in Italia (ma anche in Francia, andando a guardare come strilla Marine Le Pen), è legata alla possibilità di svalutare, una volta ripreso il controllo della moneta. La nostra economia, si dice, non è più competitiva da quando abbiamo perso la possibilità di svalutare per sostenere le nostre esportazioni. In poche parole, siccome i tuoi prodotti non sono competitivi di per sé, rendi conveniente comprarli ma non intervieni sulle cause strutturali (facilmente ricercabili in costo dell’energia, costo del lavoro, pressione fiscale, peso eccessivo della burocrazia).
In questo contesto va però considerata la sensazione del consumatore medio, e dunque anche la mia per ciò che conta, in termini di potere d’acquisto tra euro e lira. Nel 2002 avevo 11 anni, per forza di cose ricordo poco di quel periodo, e per l’età che avevo non mi capitava spesso di utilizzare denaro. Però alcune situazioni le ricordo molto bene e posso fare degli esempi. Oggi un caffè al banco costa più o meno 1 euro; nel 2001 difficilmente un espresso al banco lo si pagava 2000 lire. Una partita di calcetto, a Roma o a Napoli indifferentemente, costa non meno di 7,50 euro se si gioca in un campo decente in erba sintetica; mi ricordo perfettamente che mia madre mi dava 10mila lire quando andavo ai campetti, con quella banconota non solo riuscivo a pagare il campo, ma mi ci compravo anche il Gatorade.
Ancora, i costi dei libri. Prendo ad esempio un libro che quando è arrivato in Italia era praticamente già un best seller mondiale: Harry Potter e la Pietra Filosofale. Secondo una recensione di Pietro Citati su Repubblica, datata 13/12/2001, il costo di lancio era 28000 lire, pari ad euro 14,46. Economico, direte voi, ma sono passati 13 anni, c’è l’inflazione e un differente potere d’acquisto, dunque le cifre vanno rivalutate. Sono andato sul sito dell’Istat e ho inserito i parametri: risultato? 28000 lire del dicembre 2001 (un mese prima dell’entrata nell’euro) equivalgono oggi a 35000 lire pari ad euro 18,38. A me pare ancora economico, considerando che quand’è uscito nel 2004, Il Codice Da Vinci di Dan Brown, altro best seller da 80 milioni di copie, costava già 18,60 euro pari a 22,50 euro odierni. Inferno, dello stesso autore, uscito in Italia nel 2013, veniva venduto a 25 euro. Dunque il prezzo di un fenomeno editoriale passa dai 18,38 euro rivalutati del 2002 a 25 euro del 2013, un rincaro non da poco.
Ora, di sicuro i prezzi di molti altri beni o servizi sono rimasti stabili. Ad esempio il cinema nel 1999 costava in media 13mila lire (17700 rivalutate ad oggi, cioè 9,15 euro), chi l’avrebbe mai detto? Ma la percezione comune è che sia aumentato tutto sensibilmente, se non proprio raddoppiato. Il fantomatico consumatore medio è , val la pena ricordarlo, anche colui che si reca alle urne e ascolta in televisione e nelle piazze le rivendicazioni dei partiti contrari all’euro. E se il fronte no euro è così forte è anche dovuto (oltre alla facilità e semplificazione del messaggio) all’incapacità di riuscire a spiegare i vantaggi e l’inevitabilità della moneta unica. Insomma, domanda da un milione di dollari, perchè nell’euro dobbiamo rimanerci?
Dal canto mio qualche riflessione l’ho fatta, e sempre ricordando di essere l’agente antieconomico di cui sopra, sono arrivato a delle conclusioni, utilizzando semplicemente la logica. Mettiamo caso domani l’Italia esca dall’euro, io Francesco Maselli, consumatore medio, cosa faccio? La prima cosa che mi viene in mente è: andare a ritirare ogni singolo euro che ho in banca, in modo tale da sfruttare la valuta più forte una volta completata la transizione (d’altronde svalutiamo proprio per avere una moneta più debole no?). È un atteggiamento del tutto razionale, magari frutto di una serie di convinzioni sbagliate e di paure infondate, potrebbe ribattere un sostenitore del ritorno alla moneta nazionale. Ma proprio perchè gli agenti economici agiscono generalmente in maniera razionale, è uno scenario altamente probabile. E dunque come la mettiamo con l’assalto agli sportelli? Chiudiamo le banche? Impediamo la circolazione del contante?
Altra considerazione, frutto ancora della pura e semplice logica. L’Italia non possiede materie prime rilevanti. Deve importarle. Siamo dunque totalmente dipendenti energeticamente da altri paesi. Ma questi altri paesi sono allo stesso modo dipendenti da noi che i loro beni li compriamo, si può ribattere, perché il venditore non può prescindere dal compratore (tutt’al più ci si può ricattare a vicenda, con esiti quasi sempre neutri). Mi dispiace avvertire che nell’anno di grazia 2014 non è più così, soprattutto per quanto riguarda il mercato energetico. In proposito va menzionato l’ultimo accordo sulle forniture di gas tra Russia e Cina. Perché mai chi ci vende oggi l’energia ad un determinato prezzo, stipulato in euro, dovrebbe abbassare il prezzo in virtù del nostro passaggio alla lira, se ha un altro mercato dove andare a vendere? E, domanda conseguente: siccome lo sconto non ci verrà concesso, con una moneta più debole, siamo in grado di permetterci l’energia allo stesso prezzo? O avremo un’esplosione del costo delle nostre bollette e dei nostri beni di consumo?
In questa campagna elettorale di temi europei s’è parlato pochissimo, se lasciamo da parte la divisione manichea tra euro si ed euro no. Ormai è finita, è andata così. Ma siccome il mondo non finisce domenica sera, ed anzi lunedì comincia la nuova legislatura del Parlamento Europeo, sarebbe bene che le forze politiche che si autodefiniscono europeiste comincino a spiegare anche perchè lo sono. È difficile, come sostiene Luca Sofri, peraltro direttore del Post. L’Europa è un argomento noioso persino per noi che ne siamo entusiasti, tant’è che finora il messaggio più forte che i partiti europeisti sono stati in grado di far passare è stato “l’Euro è un punto di non ritorno, necessario, a cui non ci sono alternative”.
Nell’era della comunicazione 2.0 mi pare un po’ poco, soprattutto contro il messaggio opposto efficacissimo e auto-assolutorio. In un paese dove mai nessuno si prende le proprie responsabilità, la nostra classe dirigente, da lunedì mattina alle ore 8.00 dovrebbe iniziare a spiegarci, senza l’assillo della campagna elettorale, perché stiamo in Europa e perchè la moneta Euro rappresenta un’opportunità immensa.