Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, ventiquattresima settimana: la settimana più lunga di François Fillon

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Di cosa parliamo oggi?

1-François Fillon ha passato la settimana più difficile da quando è candidato alla presidenza. Ormai il PenelopeGate tiene in ostaggio tutta la politica francese;

2-Emmanuel Macron ha presentato il suo programma giovedì mattina, ci sono cose interessanti ma a causa del punto 1 è passato in secondo piano.

1-Fillon è al capolinea?

“Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo!”, è quanto grida Riccardo III  in una delle ultime scene dell’omonima tragedia di Shakespeare. Disarcionato e indifeso con la battaglia che infuria, il re inglese è pronto a rinunciare a quanto di più prezioso ha ottenuto dopo menzogne, inganni e assassinii pur di tornare in sella e evitare la sconfitta: vuole sfidare a duello Enrico Tudor conte di Richmond, sbarcato dalla Francia per reclamare il trono inglese. I due si scontrano sul campo di battaglia, ed è proprio Riccardo ad essere ucciso, diventando l’ultimo plantageneto a regnare sull’isola britannica.

Possiamo paragonare ciò che è successo a François Fillon negli ultimi mesi ad una tragedia in tre atti. Il primo atto chiuso con la rivincita dell’eterno numero due, trionfante alle primarie del suo partito dopo essere stato a lungo trattato con disprezzo da Nicolas Sarkozy e preso in giro dalla stampa e dalla politica francese per il suo scarso carisma. La victoire de Mr. Nobody titolano i giornali il giorno dopo il suo trionfo.

Il secondo atto comincia il 24 gennaio, con la rivelazione dell’impiego fittizio della moglie da parte del Canard Enchainé. Fillon reagisce in televisione difendendo la propria innocenza, indignandosi per un complotto mirato ad eliminare politicamente la sua persona e il suo programma, ponendo una sola condizione al suo ritiro: la messa in esame da parte della magistratura.

Mercoledì si apre il terzo atto, con l’annuncio in conferenza stampa di ciò che sembrava impossibile poche settimane prima: “il 15 marzo sono stato convocato dai giudici in vista della mia messa sotto esame, ma non mi ritirerò, non mi consegnerò, il mio unico giudice è adesso il popolo francese.” L’ultimo atto svela infine la vera natura del protagonista, diviso tra due scelte: redimersi o andare avanti fino in fondo, trascinando con sé nell’abisso la sua famiglia politica e i suoi elettori, convinti di aver trovato il giusto campione per riconquistare il potere dopo cinque anni di odiato hollandismo.

Il repubblicano ha riunito i suoi sostenitori in una grande manifestazione di piazza, per dimostrare di non essere solo, di avere ancora un popolo dalla sua parte. Non essendoci né regni né cavalli, oggi al Trocadero Fillon ha gridato: “la candidatura, la candidatura, la mia immagine pubblica per la candidatura!”.

Ma andiamo ai fatti, abbandonando le suggestioni teatrali.

Venerdì 24 febbraio, come sa chi ha letto l’ultima newsletter, Fillon aveva ricevuto la notizia dell’apertura di un’informazione giudiziaria e il contestuale insediamento dei tre giudici di istruzione che avrebbero dovuto decidere il prosieguo della sua inchiesta. Il candidato aveva però ignorato la notizia, cercando di imporre i suoi temi: pochi minuti dopo ha tenuto un discorso a Parigi non citando nemmeno una volta i suoi guai con la giustizia, e l’agenda comunicata alla stampa per la settimana successiva si concentrava sull’agricoltura, con dei sopralluoghi previsti in alcune importanti realtà agricole francesi e soprattutto con una passerella al Salone dell’Agricoltura -importante esposizione che si tiene a Parigi, a Porte de Versailles -, prevista per mercoledì mattina.

La visita al Salone dell’Agricoltura è però stata annullata all’ultimo momento, senza spiegazioni, con la contestuale convocazione di una conferenza stampa a mezzogiorno. Persino le persone più vicine al candidato non avevano idea del motivo; in molti, invitati nei talk show o nelle radio, hanno appreso la decisione in diretta, sembrando in evidente imbarazzo nel commentarla. Dopo voci incontrollate su una perquisizione in corso al suo domicilio – smentita – e un fermo di polizia per sua moglie – smentito anche quello -, Fillon ha preso la parola per 8 minuti, cambiando completamente strategia rispetto allo scandalo: ha preso di petto la situazione annunciando di essere stato convocato dai giudici il 15 marzo per essere messo sotto esame. Ha continuato dicendo che non si sarebbe ritirato, che non si sarebbe “consegnato” visto che è in corso un assassinio politico della sua persona e dell’elezione presidenziale, falsata visto il risultato della campagna di stampa e giudiziaria contro di lui.

Alla conferenza stampa sono seguite una valanga di dimissioni, in particolare quelle di tre pesi massimi della sua campagna: Bruno Le Maire, candidato alle primarie dello scorso autunno che si era subito schierato al fianco di Fillon al ballottaggio, Thierry Solére, organizzatore delle primarie e suo portavoce, Patrick Stefanini, direttore della sua campagna elettorale e principale artefice della vittoria di Fillon alle primarie (i due lavoravano insieme dal 2013). Nei giorni successivi si sono aggiunti Christian Estrosi, sarkozysta di peso presidente della regione PACA, Nadine Morano, ex ministro e parlamentare europeo, Jean Christophe Lagarde, presidente del partito di centro UDI con cui Fillon aveva appena chiuso un accordo per le elezioni legislative. Se volete potete conoscere i nomi di chi mollato Fillon in questo contatore costantemente aggiornato da Libération.

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Cosa si dice en coulisses, dietro le quinte? Molti giornalisti con cui ho parlato mi hanno spiegato che le defezioni più pesanti sono avvenute in privato: Valerie Pécresse, presidente della regione Ile de France (la regione parigina), onnipresente in tv a difendere il candidato in questo mese e sempre al suo fianco fino alla conferenza stampa di mercoledì, non si è presentata alla manifestazione; Gerard Larcher, presidente del Senato e fillonista da molti anni, era anch’egli assente. Entrambi non hanno rilasciato dichiarazioni, ma hanno con ogni probabilità deciso di lasciare la campagna con discrezione. La situazione al quartier generale repubblicano è surreale, dei 50 impiegati ne sono rimasti solo 10, come visto non c’è più il direttore della campagna, non c’è più il tesoriere, metà dei responsabili del suo comitato si sono dimessi.  Tutto ciò rende difficile mandare avanti la campagna anche dal punto di vista materiale.

Quello che complica ancor di più le cose è che la manifestazione di oggi è stata un relativo successo, Fillon ha mostrato di essere ancora in grado di mobilitare il suo elettorato, tra l’altro in un posto simbolico: il Trocadero è la piazza che riempì Nicolas Sarkozy nel 2012, nella sua grande rimonta contro François Hollande. Fillon ha parlato in maniera molto più moderata rispetto a mercoledì, non una parola contro i giudici, nessun attacco istituzionale al Presidente della Repubblica. In più, contrariamente a quanto aveva sbandierato finora, non ha detto che andrà fino in fondo, costi quel che costi. Il suo è stato un discorso fiero, ha ringraziato la parte della Francia che in queste ore si è stretta al suo fianco, ha ripetuto che il suo programma è il solo in grado di raddrizzare il paese. Stasera è poi intervenuto al TG delle 20.00 concedendo che la sua reazione di mercoledì è stata forse eccessiva, ma commisurata alla violenza degli attacchi. Ha confermato che non intende ritirarsi, ma ha ammesso che terrà in considerazione ciò che chiede il suo partito.

Cosa può succedere nelle prossime ore? Ci sono due piani da considerare, quello organizzativo, quello personale.

A-I problemi organizzativi

I repubblicani sono davanti a due difficoltà. Innanzitutto, per strano che possa sembrare, nel regolamento delle primarie non è previsto il caso in cui il candidato sia incapace di condurre la campagna elettorale fino in fondo. Questo non solo a causa di problemi politici, ma anche in caso di morte, malattia o qualunque altro fatto che ne impedisca la candidatura. Semplicemente il piano b non esiste. Questo vuol dire che una candidatura sostitutiva a quella di Fillon passa per un accordo tra le varie correnti molto litigiose dei repubblicani e, paradosso, le primarie sono state organizzate proprio per evitare un accordo molto difficile e scongiurare una frattura e due candidature della destra.

La seconda grande difficoltà è rappresentata dalle date. Le candidature si chiudono ufficialmente il 17 marzo, ultimo giorno utile per consegnare le firme al Consiglio Costituzionale. Fillon è stato convocato dai giudici di istruzione il 15 marzo per, come ha detto, essere messo sotto esame. Ma questa decisione non è scontata, i giudici potrebbero non ritenere necessario un passo del genere, che interviene solo se esistono “indizi gravi e concordanti”. Potrebbero addirittura archiviare la sua posizione, sembra improbabile al momento, ma è comunque una possibilità. Immaginiamo che domani il partito decide di sostituirlo con Juppé e il 15 marzo Fillon viene prosciolto da tutte le accuse: come si gestisce una situazione del genere? Immaginiamo anche la situazione inversa, Fillon è messo sotto esame in maniera ufficiale: non c’è tempo per trovare un altro candidato.

B-La personalità di Fillon

Il proprio vissuto in politica conta: siamo abituati a pensare che gli uomini politici agiscano razionalmente sulla base dell’interesse del paese o del proprio, a seconda dell’opinione personale che ne abbiamo. Ma non è solo e sempre così. Fillon ha quasi chiuso la sua carriera politica nel 2012 quando ha vissuto come un furto il congresso dell’allora UMP: sia lui che il suo avversario Jean François Copé reclamarono la vittoria a pochi minuti dalla chiusura dei seggi accusandosi reciprocamente di brogli. La situazione precipitò e Fillon fondò addirittura un gruppo parlamentare autonomo, prima di accettare una reggenza congiunta e tornare nel partito, anche grazie alla mediazione di Nicolas Sarkozy. Le primarie del 2016, quelle che ha vinto, sono state organizzate anche per sanare quella frattura ed evitarne un’altra: il suo atteggiamento è quindi influenzato dal fatto che pensa di essere derubato di quanto ha ottenuto per la seconda volta. L’uomo è testardo e sta dimostrando di avere una resilienza fuori dal comune, uno dei motivi per cui Nicolas Sarkozy non ha ancora parlato pubblicamente e ha calmato i suoi, nei limiti del possibile. L’ex presidente, conoscendo il carattere di François Fillon, sta cercando di evitare di metterlo all’angolo, dandogli la possibilità di decidere in autonomia il ritiro.

E in tutto questo Alain Juppé? Quello che sappiamo è che Juppé aveva detto categoricamente di non essere disponibile, sia in pubblico ma anche in privato. Dopo aver ricevuto moltissime pressioni a quanto sembra il sindaco di Bordeaux ha cambiato idea, e sarebbe disponibile a subentrare, a due condizioni: la prima è che gli venga chiesto esplicitamente da Fillon e la seconda è che Sarkozy sia d’accordo. Sappiamo che Sarkozy e Juppé hanno parlato a lungo a telefono sabato sera, ma non cosa si siano detti e soprattutto se abbiano iniziato a trattare su un nome alternativo. Probabilmente avremo più informazioni domattina, siccome Juppé ha appena convocato una conferenza stampa per le 10.30.

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Insomma l’unico ad avere veramente in mano il destino della candidatura di Fillon, è Fillon stesso.

Infine un piccolo esercizio, siccome molti di voi mi hanno posto la domanda in questa settimana: cosa succede se Fillon viene eletto? La situazione sarebbe politicamente molto difficile da gestire. Il presidente della repubblica gode dell’immunità, qualunque procedimento viene quindi sospeso fino alla fine del mandato – è già successo con Jacques Chirac, presidente dal 1995 al 2002 che è stato condannato per dei fatti commessi quand’era sindaco di Parigi, dal 1977 al 1995.

Però il processo non riguarda solo Fillon, ma anche la moglie, i figli e il suo supplente. Per queste persone la procedura continua, se dovessero essere condannate durante il suo mandato sarebbe un colpo durissimo per una presidenza cominciata già molto male. Se a ciò aggiungiamo un Front National con un nutrito numero di parlamentari e con un risultato molto alto al secondo turno (ad oggi i sondaggi dicono che con Fillon finirebbe 55 a 45) ecco che il quadro per il 2022 sarebbe molto favorevole per il Front National. La domanda “cosa succede se Fillon viene eletto, nonostante tutto” circola molto sulla stampa in questi giorni, aprendo un altro dibattito che visibilmente non aiuta il candidato.

2-Macron ha presentato il suo programma

Non ho spazio per parlarne, a conferma di quanto lo scandalo di Fillon abbia sequestrato persino questa newsletter. La conferenza stampa che ha tenuto giovedì sarebbe stata il momento della settimana in condizioni normali, ma è stata oscurata dalla giornata di mercoledì, per i motivi che avete appena letto. Tra l’altro questo problema è stato denunciato da tutti i candidati, Mélenchon ha detto che è assurdo non poter discutere con il candidato della destra, Marine Le Pen ha fatto un ragionamento simile e Hamon si è lamentato dicendo che le sue proposte sono inascoltate a causa del PenelopeGate.

La cosa più semplice è quindi scrivere un articolo a parte sul programma di Macron, che troverete giovedì pomeriggio sul mio profilo Facebook. Alle 19, se vi va, faccio una diretta in cui ne parliamo in maniera più approfondita.

Bruno Le Maire è il personaggio della settimana

Pochi minuti dopo la conferenza stampa di mercoledì Bruno Le Maire si è dimesso dall’équipe di campagna di Fillon dicendo di non sentirsi a suo agio con chi non rispetta la parola data ai francesi. Non era facile prendere questa decisione per primo, senza aspettare nemmeno una reazione. Una scelta del genere è anche motivata dalla volontà di accreditarsi come uomo in grado di ricostruire la destra dopo la possibile sconfitta alle elezioni. Personalmente e politicamente una scelta azzeccata.

Consigli di lettura

-Jannick Vely racconta su Paris Match la sofferta decisione di Patrick Stefanini, direttore della campagna di François Fillon che ha dato le dimissioni venerdì mattina;

Le scuse di Michel Délean, giornalista di Mediapart, che aveva dato la notizia della perquisizione e del fermo di polizia di Penelope Fillon, poi rivelatasi falsa;

-Quando e come gli elettori decidono di votare il proprio candidato? Lo spiega Martial Foucault, direttore del CEVIPOF, in una bella intervista;

-Florian Philippot è uno dei principali artefici del successo di Marine Le Pen, ma ultimamente sta perdendo la sua influenza. Il retroscena del JDD;

-Siamo abituati a pensare che le elezioni si vincono al centro. Secondo il politologo e sondaggista Jérôme Fourquet non è più così, e anzi non lo è mai stato.

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, decima settimana: Fillon ha vinto le primarie

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François Fillon ha vinto le primarie, battendo Alain Juppé con il 66,5% dei voti validi. Un risultato netto difficile da prevedere solo due settimane fa, quando eravamo tutti convinti che le primarie sarebbero state molto competitive.

1-Partiamo dai numeri

La prima notizia è il numero dei partecipanti: sono andate a votare ben 100.000 persone in più rispetto al primo turno, smentendo le previsioni che avevamo riportato sabato, secondo cui l’eliminazione di Sarkozy avrebbe scoraggiato gli elettori di sinistra ad andare a votare. L’affluenza in crescita è stata in verità simile a quella delle primarie del partito socialista nel 2011 dove ai 2,6 milioni del primo turno risposero i 2,8 del secondo turno. Questa tendenza è forse in parte spiegabile con il disastro attuale dei socialisti: in molti, probabilmente consapevoli di non aver nulla da aspettarsi a sinistra, hanno quantomeno provato a dar voce ad una propria sensibilità all’interno della destra (votando in gran parte, come abbiamo già analizzato, per Alain Juppé). Queste persone sanno che un ballottaggio Le Pen Fillon è molto probabile, e quindi hanno provato a pesare seppur in minima parte.

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La mappa è del Figaro

La seconda notizia è lo scarto impressionante tra i due: come vedete dalla mappa Juppé è arrivato in testa solo in 3 dipartimenti, facendo addirittura peggio del primo turno in alcune zone del paese. La sconfitta del grande favorito è dunque molto dura e inaspettata. Di seguito potete notare la composizione dei due elettorati (il sondaggio è dell’istituto Harris, lo trovate qui completo), ossia il motivo per cui Alain Juppé ha perso.

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Ora viene la parte più complessa: analizzare gli scenari futuri. Chi ha letto questa newsletter finora sa che amo ragionare con dati certi, ma è  in ogni caso utile provare a capire quali sono le sfide che si troverà di fronte François Fillon ora che la prima parte della sua corsa è archiviata.

2-Cosa comporta la candidatura di Fillon a destra

“Il n’y a pas de victoire électorale sans victoire idéologique”

La prima sfida di Fillon è di ordine personale. Ha vinto con una percentuale altissima, ma dovrà confermare in questi mesi di avere la struttura del leader e la capacità di essere Capo dello Stato: essere stato per tutta la vita un gregario (di Philippe Séguin, di Jacques Chirac e di Nicolas Sarkozy) tanto meritarsi il soprannome di “Mr Nobody” è un’immagine che deve riuscire a lasciare da parte. La netta imposizione di ieri sera può dare un grande contributo, ma le prime critiche da questo punto di vista sono puntualmente arrivate: Sébastien Chenu, uomo molto vicino a Marine Le Pen, ha detto che “Fillon sarà confrontato alla durezza di una campagna presidenziale” lasciando intendere che l’ex primo ministro non sia abituato ad una competizione del genere.

Fillon dovrà ricucire una serie di ferite fisiologiche emerse durante la campagna elettorale. In questo senso la foto insieme ad Alain Juppé subito dopo la proclamazione del risultato è un primo passo; adesso si tratta di fare i conti con una parte dell’elettorato che non lo ha seguito ed ha sostenuto fino alla fine la proposta più moderata del sindaco di Bordeaux. Allo stesso tempo, accanto all’opera di unificazione del suo campo, dovrà essere abile a non rinunciare a ciò che ha sostenuto ed incarnato in questa campagna (per chi arriva ora, ne avevamo parlato  qui e qui). Anche perché la percentuale altissima con cui è stato designato, rende il suo programma e le sue proposte ancora più valide, almeno tra gli elettori più vicini al suo partito. Per François Fillon è fondamentale preservare l’alleanza con il centro, pilastro di tutte le coalizioni di centro-destra che hanno governato la Francia. Se Jean-Cristophe Lagarde, sostenitore di Alain Juppé e presidente del partito centrista UDI ha detto a Europe 1 stamattina che proporrà “una discussione all’interno del partito per elaborare un progetto legislativo comune”,  François Bayrou, leader del movimento centrista Modem, che si era apertamente dichiarato per Alain Juppé,  ha sollevato più di un dubbio sul programma di Fillon, facendo temere una sua candidatura autonoma.

Ma la sfida più grande e cruciale è quella del recupero dell’elettorato popolare. 4,5 milioni di elettori alle elezioni primarie sono moltissimi, è vero, ma rappresentano un campione non rappresentativo dei 36 milioni di francesi che in genere votano alle presidenziali. Il cuore degli elettori delle primarie, come chi segue da un po’ questa newsletter sa bene, è piuttosto anziano, politicizzato, benestante e urbano: la parte dei francesi più toccata dalla crisi e dalla globalizzazione non ha partecipato in massa ad un esercizio che giudica inutile e lontano dalle sue necessità. La famosa Francia periferica che vota in massa per il Front National e che Fillon ha cercato di blandire nel suo ultimo discorso a Porte de Versailles sarà la chiave della prossima elezione. È questa Francia dimenticata che Fillon deve convincere, dopo essere riuscito a rappresentare la Francia tradizionale delle campagne e delle aree rurali, i piccoli artigiani e gli agricoltori.

In ultimo, la posizione ideologica. Il programma di Fillon, come sapete, è molto liberale, qualcuno in Italia lo ha anche definito “lacrime e sangue” (espressione orribile che non inserirò mai più). Di certo è ambizioso: Fillon propone, tra le altre cose,  una riduzione di 500.000 dipendenti pubblici da attuarsi con il passaggio dalle 35 alle 39 ore lavorative a settimana, un’innalzamento dell’IVA di due punti per finanziare un grande sgravio fiscale alle imprese, una nuova riforma delle pensioni, la definitiva introduzione dei licenziamenti per motivi economici nel quadro di riorganizzazioni aziendali. Tutto ciò all’interno di una riduzione di spesa pubblica di almeno 100 miliardi di euro. Un piano in continuità con la frase che pronunciò nel 2007, appena nominato primo ministro, nel corso di una visita in un’azienda vinicola a Calvi, in Corsica: “sono alla testa di uno stato praticamente fallito”.

Questo modello deve riuscire a convivere con le spinte conservatrici di un paese scosso dai cambiamenti dell’economia mondiale; se le classi elevate e tradizionalmente fedeli alla destra hanno mostrato di gradire l’insieme di posizioni fortemente liberali e allo stesso tempo molto conservatrici in tema di società, lo stesso non può essere detto per la classe media e soprattutto per l’elettorato più popolare. Il discorso contro il “totalitarismo islamista” può di certo pesare anche nella decisione delle classi più povere, ma senza un grande lavoro di spiegazione queste proposte economiche potranno essere facilmente attaccate dalla sinistra radicale e dal Front National. Che infatti si sta già dando da fare, come potete notare.

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Sì, Robin des Bois vuol dire Robin Hood in francese

3-Il peggior avversario possibile per Marine Le Pen?

Il Front National di certo non si aspettava la vittoria di François Fillon, fino a poche settimane fa terzo nei sondaggi. I frontisti, che non faranno campagna attivamente sino a fine gennaio, come abbiamo già spiegato, erano pronti ad un confronto con Alain Juppé, che sarebbe stato attaccato sulla lunga carriera politica, sull’età (ha 71 anni), sulle sue posizioni aperte in tema di multiculturalismo (ne abbiamo parlato sabato), sulla sua vicinanza incondizionata all’Unione Europea e sulla sua visione di “identità felice” già oggetto di scherno durante la campagna per le primarie.

Anche in caso di vittoria di Nicolas Sarkozy, Marine Le Pen riteneva di avere una partita semplice: la candidata frontista avrebbe potuto contare sul rigetto di gran parte dell’elettorato per il personaggio, sul fallimento del suo quinquennio, e sugli scandali giudiziari che pendono sul capo dell’ex presidente.

Con François Fillon i giochi sono più complicati, come ha ammesso a margine di un evento con i giornalisti la stessa Marion Maréchal Le Pen “Fillon ci consegna un problema strategico, è il candidato più pericoloso per il Front National”. La posizione di Marion Maréchal, che rappresenta l’ala sovranista e cattolica del fronte, è comprensibile: la giovane nipote di Marine lavora da anni per attrarre l’elettorato cattolico più intransigente verso il messaggio frontista: ha partecipato alla Manif Pour Tous, la manifestazione contro i matrimoni gay, ed era in piazza a fianco del movimento poche settimane fa, quando hanno sfilato per le strade di Parigi decine di migliaia di persone. Visto l’entusiasta sostegno fillonista delle frange più politiche del cattolicesimo radicale, questa parte di elettorato rischia di aver ritrovato cittadinanza nella destra tradizionale. (Dei rapporti tra Fillon e l’elettorato cattolico avevamo parlato qui).

Anche se Florian Philippot, vero ideologo del partito, ostenta ottimismo, e ha dichiarato su RTL che “ François Fillon è un ottimo avversario per il Front National” in quanto il suo programma è “un copia-incolla di ciò che vuole la Troika e che non ha funzionato”, la radicalità del progetto di Fillon potrebbe spingere molti elettori di destra radicale a votare per lui. Secondo molti il programma economico del Front National è un misto tra statalismo e protezionismo di matrice novecentesca,  e infatti il candidato repubblicano, oltre ad aver criticato più volte l’estremismo di Marine Le Pen, ha avuto buon gioco nel far notare, durante i suoi comizi, le somiglianze tra il programma dei frontisti e quello della sinistra radicale portato avanti da Jean Luc Mélenchon (di cui avevamo parlato qui). François Fillon potrebbe dunque mettere il Front National davanti alle sue contraddizioni: da un lato statalista e aperto sulle questioni sociali come vuole Florian Philippot, dall’altro conservatore e identitario nell’anima rappresentata da Marion Maréchal Le Pen: i due, tra l’altro, si detestano.

Un ulteriore terreno su cui Fillon farà concorrenza a Marine Le Pen, è in politica estera. Molto sensibile alla questione dei Cristiani d’Oriente (è andato più volte in Siria e in Iraq a portare conforto ai campi profughi dei cristiani) Fillon è, come avete visto settimana scorsa, sostenitore di un cambio di politica rispetto ai rapporti con la Russia. Fillon ritiene che l’ostracismo tenuto finora nei confronti di Putin sia “assurdo” e che sia pericoloso spingere verso l’isolamento una potenza “ubriaca di armi nucleari”. Senza denunciare l’imperialismo americano “Gli Stati Uniti sono un nostro alleato, un paese di cui condividiamo i valori cosa che invece non succede con la Russia”, François Fillon rimette in ogni modo al centro il ruolo autonomo della Francia in politica estera. In ultimo, il candidato dei repubblicani non può essere accusato di essere prono alle richieste di Bruxelles, vista la sua famosa posizione per il “no” alla ratifica del trattato di Maastricht nel 1992.

Esiste però un rischio: in caso di secondo turno Marine Le Pen contro François Fillon alcuni elettori di sinistra potrebbero astenersi, rifiutando di legittimare un presidente non gradito, o addirittura  trovare più radicale il progetto di Fillon, andando a votare per Marine Le Pen. Insomma la grande unione contro il diavolo frontista potrebbe diventare  meno scontata. Su Challanges trovate un’analisi in questo senso: la candidatura di Fillon porterà molti elettori a votare per Marine Le Pen.

4-Il miglior avversario possibile per Emmanuel Macron?

Emmanuel Macron (candidato liberale e indipendente, che avevamo introdotto ormai due mesi fa) ha commentato in diretta su France 2 i risultati, e può ritenersi contento della candidatura di Fillon. Senza Bayrou in campo (e questo è da vedere) al centro si apre uno spazio molto invitante per l’ex ministro dell’economia, che potrebbe dunque approfittarne quantomeno nei sondaggi. Perché dico “quantomeno”? Perché, non avendo un partito solido alle spalle, Macron ha bisogno di una dinamica di opinione che lo renda competitivo, più sale nei sondaggi più è possible che gli indecisi possano essere attratti dal suo messaggio fortemente liberale in economia ma allo stesso tempo innovativo e aperto sulle questioni sociali. Molto del successo di Emmanuel Macron si gioca sulla sua competitività percepita rispetto all’arrivo al secondo turno.

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Il sondaggio è stato pubblicato ieri sera, Macron è terzo e Bayrou è in campo

5-Gli attacchi dall’opinione di sinistra 

Tralasciando le difficoltà dei socialisti, su cui ci concentreremo domenica, è interessante notare come Fillon abbia in qualche modo rivitalizzato l’opinione pubblica di sinistra. Durante l’ultima settimana di campagna elettorale la rivista Mediapart ha pubblicato vari articoli molto critici nei confronti del suo programma, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli in caso di sua vittoria; Matthieu Croissandeau, direttore dell’Obs, ha scritto un editoriale in cui definisce Fillon una “punizione”, e il numero della rivista uscito venerdì è interamente dedicato alla critica del candidato dei repubblicani.

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Pierre Berger, co-proprietario del Monde, ha paragonato Fillon e tutti i movimenti che lo sostengono alla Francia di Vichy; il quotidiano online slate.fr ha scritto, in un editoriale firmato da uno dei suoi fondatori, che Fillon ha lanciato una serie di messaggi “inquietanti” durante questa campagna elettorale. In questo i giornali sono stati aiutati inconsapevolmente da Alain Juppé, che aveva cominciato la settimana scorsa attaccando proprio i punti più conservatori del programma del suo avversario. Insomma, inaspettatamente, la sinistra potrebbe trovare un terreno comune per ragionare su ipotetiche intese, non per le presidenziali (quelle ormai le considerano perse) ma per le legislative. Piccolo riassunto per chi arriva ora: in Francia Parlamento e Presidente sono eletti in due momenti diversi. Chi vince le presidenziali in genere riesce ad avere la maggioranza all’Assemblea Nazionale, ma l’elezione della camera è in ogni caso un passaggio delicato: i parlamentari sono eletti in un sistema di collegi uninominali a doppio turno. Il contesto favorisce dunque meno lo spazio per la lotta dei vari ego (cosa che è indubbiamente la campagna presidenziale vista la quantità di candidati al 10%) e i partiti tendono a trovare accordi più facilmente.

Anche questo è un argomento che approfondiremo le prossime settimane ma è bene tenerlo presente.

Per oggi è tutto, ci sentiamo, tornando alla normalità, domenica prossima!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, edizione straordinaria: si vota per il secondo turno delle primarie

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Mi perdonerete, nell’ultima newsletter vi avevo dato appuntamento a venerdì, ma intendevo sabato, come settimana scorsa. Mi sono distratto, non è che vi ho dato buca, ma mi dispiace e le scuse sono dovute.

Veniamo a noi, domani si vota per il secondo turno delle primarie: si affrontano Alain Juppé, sindaco di Bordeaux e François Fillon, ex primo ministro durante la presidenza Sarkozy. Fillon, che è arrivato largamente in testa al primo turno (44% contro 28% dello sfidante), è di colpo diventato il favorito. Vediamo perché.

 

1-Com’è andata l’ultima settimana di campagna elettorale

Giovedì c’è stato il quarto e ultimo dibattito, di cui trovate un riassunto sul sito dell’Obs a questo link. Il dibattito, trasmesso dalle due principali televisioni francesi, ha avuto un’audience altissima: in 4,5 milioni hanno seguito la trasmissione su France 2, in 3,9 su TF1, per un totale di più di 8 milioni di telespettatori. Una cifra altissima che testimonia il grande interesse dei francesi per le primarie del centrodestra, come dimostra anche questo sondaggio dell’istituto Opinion Way.

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Il dibattito è stato equilibrato e si è svolto in un clima un po’ teso ma in fin dei conti cordiale, anche perché i due candidati sanno che da domenica sera l’obiettivo sarà fare campagna insieme per vincere le presidenziali. Se avete tempo e volete approfondire le proposte dei due candidati, il Figaro ha pubblicato un’infografica interattiva per comparare i due programmi, ve la consiglio.

A-La strategia di Alain Juppé e i suoi problemi

Come sapete, la strategia di Alain Juppé era abbastanza inedita per un’elezione primaria, quando il campo da convincere è più ristretto di quello delle elezioni normali. Il sindaco di Bordeaux ha scelto di fare campagna al centro, cercando di porsi come uomo politico in grado di riunire attorno a sé tutti i delusi dalla presidenza Hollande (e Sarkozy), per vincere al secondo turno contro il Front National. Ha quindi invitato a più riprese gli elettori di sinistra a votare per lui, e a partecipare al suo progetto. Se la strategia ha inizialmente funzionato, ad un certo punto qualcosa si è rotto:  Juppé ha palesemente sbagliato pubblico e gli elettori di destra, vero cuore delle primarie della destra (che strano!), l’hanno sanzionato.

Conseguenza della posizione moderata è stato il messaggio non troppo netto di cui si è fatto portatore Juppé: sostenere a più riprese “cambierò, ma non in maniera troppo brutale” ha sì tranquillizzato una parte di elettorato generale, ma non ha entusiasmato la maggioranza dei suoi. In questo momento l’elettore di destra sente necessario cambiare veramente rotta e dunque, anche se riconosce che una serie di proposte di Fillon sono probabilmente irrealizzabili, ne apprezza la nettezza e perché no, la brutalità. So che chi legge da un po’ può trovare questo ragionamento ormai ripetitivo ma, lo scontro con i sindacati, la riduzione del peso del pubblico impiego, l’innalzamento dell’età pensionabile, l’abbassamento delle tasse sul lavoro, è musica per le orecchie della destra. La strada per Alain Juppé, preparato ad un ballottaggio contro Sarkozy, era dunque stretta: per non inimicarsi gli elettori del campo avversario ha provato a attaccare il programma di Fillon nel merito, spiegando che è molto complicato da realizzare e che per l’economia francese potrebbe avere un effetto recessivo.  Il problema è che questo è un tipo di lavoro che necessita di tempo per entrare nella testa degli elettori e nei loro dibattiti quotidiani: in una settimana potrebbe essere complicato riuscire nell’impresa e questo testimonia quanto essere stato sfavorito nei sondaggi e quindi lontano dai riflettori, sia stato un vantaggio reale per François Fillon.

B-Il dibattito di giovedì e le differenze ideologiche tra i due

I due candidati sono arrivati al dibattito di giovedì in maniera molto diversa, e la dinamica ha in parte favorito François Fillon. Come ha scritto Guillaume Tabard sul Figaro:

“Seppur da favorito, Fillon ha seguito lo stesso solco dei precedenti dibattiti. E al contrario, da sfidante, Alain Juppé è stato costretto a cercare continuamente il contatto. Risultato: il primo ministro del 2007 [Fillon ndr] poteva essenzialmente rivolgersi ai francesi, mentre quello del 1995 [Juppé ndr] doveva prioritariamente rivolgersi all’avversario. Questo disequilibrio si è fatto sentire, perché, prevalentemente, è attorno al progetto di Fillon che il dibattito si è articolato.”

E infatti sul plateau di France 2 si è discusso principalmente dei vari temi emersi durante l’ultima settimana di campagna elettorale, segnata da una serie di polemiche rispetto al programma, appunto, di François Fillon.I due candidati hanno avuto modo di approfondire i loro progetti, facendo comprendere anche le varie differenze. Ho selezionato quattro punti importanti che secondo me mettono in luce le visioni contrastanti e lo scontro tra due personalità tutto sommato simili: miti e poco propense alla battuta o a discorsi fuori luogo. Anche dal punto di vista delle idee non abbiamo assistito ad un grande scontro: non solo stiamo parlando di un’elezione interna allo stesso partito, ma le differenze ideologiche nei partiti di centrodestra sono meno importanti rispetto a quelle che possiamo osservare nel centrosinistra.

Lunedì mattina il sindaco di Bordeaux ha attaccato Fillon a causa delle sue posizioni ambigue in materia di aborto: dopo aver infatti detto anni fa che l’aborto è un diritto fondamentale della donna, Fillon ha fatto marcia indietro in questa campagna elettorale, spiegando di essere contrario a titolo personale. La differenza di posizioni è venuta fuori anche durante il dibattito, e ha dato modo all’ex primo ministro di rispondere alle critiche in maniera piuttosto efficace.

 

 

D’altronde già il 27 ottobre, durante il programma L’Émission politique di France 2, Fillon aveva chiarito la sua posizione sul tema: “nessuno, e certamente non io, cambierà le cose in materia di aborto. Non devo spiegare le mie convinzioni religiose, sono capace di fare una differenza tra queste convinzioni e l’interesse generale. E considero che non sia di interesse generale riaprire questo dibattito”.  Rispetto poi al tema del voto cattolico e del sostegno dei movimenti Manif Pour Tous, tra cui il radicale Sens Commun,  Juppé ha compiuto un timido attacco, ma non ha insistito più di tanto. Il motivo è che su questi temi anche lui non brilla per apertura: due dei suoi sostenitori più importanti, Hervé Mariton e Valérie Pécresse,  hanno partecipato alle manifestazioni contro i matrimoni omosessuali, e Jean-Pierre Raffarin ha addirittura tenuto qualche discorso durante la mobilitazione. Libération ha scelto una copertina divertente sull’argomento.

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Un altro punto su cui i due hanno dibattuto in maniera dura è stato l’intervento di Vladimir Putin, che ha dichiarato apertamente la sua simpatia per Fillon con cui ha, tra l’altro,un buon rapporto personale. Alcuni giornali italiani hanno utilizzato frasi come “François Fillon, l’amico di Putin” nelle varie analisi: capisco la necessità di fare un titolo che catturi l’attenzione, ma le cose sono un po’ più complesse, e non mancheremo di approfondirle. In ogni modo, durante il dibattito Juppé ha provato ad attaccare Fillon, che quindi ha avuto la possibilità di chiarire la sua posizione. Anche qui abbiamo potuto apprezzare la differenza di visione dei due candidati.

 

 

 

 

 

La terza differenza approfondita durante il dibattito riguarda il modo di intendere l’identità francese: mentre Juppé ha spiegato di riconoscere nel pluralismo di culture la forza dell’identità del suo paese, Fillon si è invece mostrato più assimilazionista e esplicitamente contrario al multiculturalismo, rifiutando un modello di integrazione aperto come quello anglosassone. In questo senso si spiega anche la vicinanza tra Fillon e i tradizionali elettori di Nicolas Sarkozy, molto duro da sempre su questi temi: queste persone hanno trovato un uomo con posizioni molto nette in materia, senza però portare mai avanti polemiche inutili come aveva fatto l’ex presidente.

 

 

 

 

Infine, i due hanno dibattuto su quale modello di welfare hanno in mente: se, come detto prima, hanno programmi simili in termini di riduzione della spesa pubblica, la differenza sta nelle modalità e nella profondità degli interventi. Alain Juppé è più timido, cosciente delle difficoltà di applicare un programma fortemente liberale in Francia; François Fillon è invece molto più radicale, come abbiamo più volte ripetuto. La differenza di visione la notate nella scelta delle parole in questo spezzone: Fillon vuole “ricostruire”il modello sociale francese che “imbarca acqua da tutte le parti” mentre Juppé intende “consolidarlo”.

 

 

2-Cosa dicono i sondaggi?

I sondaggi sulle intenzioni di voto danno François Fillon favorito al punto tale che sembra impossibile possa perdere. 61-39 è un divario di più di 20 punti, molto difficile da recuperare. Devo però ricordarvi l’estrema volatilità del voto che abbiamo analizzato lunedì: se di nuovo 1/3 dei partecipanti alle primarie deciderà negli ultimi giorni, e se si verificherà la stessa dinamica che vedete di seguito a parti invertite, allora potremmo assistere ad una nuova sorpresa.

È ancora una volta interessante guardare le preferenze degli elettori attraverso il loro posizionamento ideologico: Juppé è molto basso tra gli elettori repubblicani, è una dinamica che chi ha seguito questa newsletter dall’inizio conosce molto bene, e si è rivelata uno dei punti deboli della sua campagna elettorale. Con una percentuale così bassa tra gli elettori repubblicani è impossibile vincere le primarie dei repubblicani, a meno che il voto di sinistra non influenzi in maniera consistente la mappa dei votanti di domani (cosa che non è successa al primo turno). Il sondaggio che vedete di seguito è stato realizzato dall’istituto Elabe subito dopo il dibattito

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Il divario tra i due è piuttosto significativo

Con 4,2 milioni di elettori il primo turno è stato un successo. La partecipazione sarà di nuovo così alta? Non necessariamente, secondo alcuni sondaggisti. Jean-Daniel Lévy, direttore del polo Opinion de Harris Interactive, ha spiegato che la partecipazione potrebbe essere leggermente più bassa, perché la volontà di esprimere un voto pro/contro Sarkozy è stata un fattore di mobilitazione molto rilevante. Intervistato dal Figaro ha chiarito che “quando vediamo le motivazioni degli elettori, il voto per far vincere o perdere Nicolas Sarkozy concerne il 65% di chi è andato al seggio”; venuta meno la crociata contro l’ex presidente, un importante fattore di partecipazione potrebbe mancare. Sulla stessa lunghezza d’onda  il direttore generale dell’Ifop, Frédéric Dabi “per molti, il lavoro è compiuto: Nicolas Sarkozy è stato eliminato”.

3-Due notizie veloci, che ci interesseranno nelle prossime settimane

A-Sono uscite moltissime analisi sulle possibili conseguenze di una vittoria di François Fillon, se avete seguito le primarie di sicuro ne avrete lette molte anche sulla stampa italiana. Noi non ne daremo conto oggi: non voglio appesantire troppo questa newsletter e sarà materia di discussione per lunedì, farlo adesso rischia di essere un esercizio di stile.

B-In tutto ciò, Hollande ha preso una decisione? I giornali francesi sembrano essere tutti d’accordo: si candiderà, nonostante tutto. I suoi fedelissimi sostengono che vista la sorpresa di Fillon i sondaggi non contano nulla, e che quindi il presidente sarebbe sottostimato. In più, Hollande è convinto che l’annuncio della sua candidatura, e il fatto che sia presidente uscente, gli conferiscano automaticamente 4/5 punti in più rispetto agli altri. Ora questo è da verificare, ma mettiamo che sia vero: il 15% (Hollande nei sondaggi più generosi è intorno all’11%) non basta per arrivare al secondo turno, e probabilmente nemmeno per arrivare terzo, unico caso in cui la sconfitta potrebbe essere considerata “dignitosa”. Insomma la strada per l’ex presidente è strettissima, ma in più di 5 mesi possono cambiare molte cose. Secondo la maggior parte dei giornali Hollande si candiderà il 15 dicembre, o giù di lì; l’Obs, analizzando i prossimi impegni del presidente, pronostica invece  una candidatura imminente: Hollande si dichiarerà il primo dicembre.

Per oggi è tutto, ci sentiamo, eccezionalmente, lunedì per commentare i risultati!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, nona settimana: Fillon vince il primo turno, Sarkozy è eliminato

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Ho di nuovo una comunicazione di servizio: visto il secondo turno che si terrà domenica prossima, ancora una volta le newsletter saranno due, una venerdì, per capire che cosa dobbiamo aspettarci dal ballottaggio e una lunedì, per commentare i risultati. Io dormo di meno ma sono felice, gli iscritti crescono, le domande si moltiplicano e questo mi spinge a migliorare sempre di più.

Dunque: ieri i repubblicani hanno votato al primo turno per scegliere il loro candidato alle presidenziali.

Cosa è successo?

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I due qualificati al secondo turno sono François Fillon e Alain Juppé, e questo, per quanto sia un risultato storico, non era del tutto imprevedibile, alla luce della dinamica che avevamo raccontato nelle ultime settimane. La sorpresa è nelle cifre: François Fillon è arrivato largamente in testa con più di 15 punti di vantaggio su Juppé e ha preso più del doppio dei voti di Nicolas Sarkozy. Il grande recupero fotografato dai sondaggi si è dunque rivelato esatto, seppure nessuno si aspettava uno scarto così netto: la volatilità delle preferenze che avevamo sottolineato venerdì è stata più rilevante di quanto il più audace fillonista avrebbe mai potuto sperare.

Interessante, in questo senso, una prima analisi delle scelte degli elettori. Come potete notare nella tabella qui di seguito, frutto di un sondaggio effettuato domenica da LCP per Public Sénat, un quarto degli elettori ha scelto chi votare negli ultimi giorni della campagna elettorale. A questi va sommato il 6% che ha scelto addirittura chi votare mentre aveva la matita tra le mani. Sono numeri abbastanza impressionanti e spiegano la difficoltà di inquadrare il voto in anticipo.

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L’altra sorpresa è il numero dei votanti: ha votato il 9% degli iscritti alle liste elettorali cioè più di 4 milioni di persone, con punte del 19% come a Parigi. Una partecipazione al di là di ogni previsione che ha costretto l’utilizzo di schede elettorali riservate al ballottaggio nei seggi più affollati. Questa è una bellissima notizia per la destra francese, sia da un punto di vista economico  (votare costava due euro e con questi numeri i repubblicani riusciranno a raccogliere più di 15 milioni di euro), che da un punto di vista di immagine: alle primarie dei socialisti nel 2011 votarono 2,6 milioni di persone, quasi la metà.

Detto questo analizziamo cos’è successo ieri

I meriti di Francois Fillon

Dei meriti di François Fillon avevamo parlato ampiamente venerdì, quando era chiaro che l’ex primo ministro di Nicolas Sarkozy era non solo ampiamente in gara ma addirittura in vantaggio secondo le ultime rilevazioni. Chi ha letto la newsletter di venerdì ha quindi familiarità con l’argomento che resta comunque un punto di partenza per le analisi delle prossime settimane, qualora Fillon vincesse il secondo turno e diventasse uno dei favoriti nella corsa all’Eliseo.

A-Un programma chiaro, ancorato a destra

Molti erano convinti che la posizione centrista di Alain Juppé avrebbe avuto ragione, soprattutto in caso di  grande affluenza e di mobilitazione degli elettori moderati e di centro-sinistra. Vista la grande partecipazione e la contestuale affermazione di Fillon possiamo dire che la posizione ben chiara e ancorata a destra è stata invece vincente contro ogni previsione. Dal punto di vista della sicurezza e dei temi di società Fillon è apparso molto duro, sulla scia di Nicolas Sarkozy (ha pubblicato un libro molto forte sul rapporto con la religione islamica, intitolato Vaincre le totalitarisme islamique) ma più credibile dell’ex presidente, perso in polemiche grottesche come quella sui Galli e sulla doppia razione di patatine fritte nelle mense scolastiche, nel caso un bambino rifiuti di mangiare carne di maiale con contorno di patatine fritte, appunto. Possiamo dire che la pubblicazione del suo libro ha ampliato di molto la sua base ideologica e quindi elettorale che, nelle ultime settimane, vista la sua rimonta nei sondaggi, ha deciso di puntare fortemente sull’ex primo ministro.

Il secondo aspetto importante è la proposta liberale in economia. Ora, la destra francese non è tradizionalmente liberale, piuttosto statalista, ma è evidente che negli ultimi anni abbiamo assistito ad una trasformazione delle idee economiche repubblicane. Le proposte come quella di ridurre di 100 miliardi la spesa pubblica tramite la soppressione di 500.000 dipendenti pubblici e spostare la tassazione dal lavoro al consumo (Fillon vorrebbe aumentare di 2 punti la TVA, l’IVA francese) sono ambiziose, probabilmente irrealizzabili in cinque anni, ma sono esattamente ciò che l’elettore di destra vuol sentirsi dire in questo momento. Se a ciò si aggiunge il curriculum di scontri con i sindacati che ha contraddistinto la carriera politica di Fillon e si capisce come la credibilità dell’ex primo ministro sia elevata. Infine la base elettorale di queste primarie potrebbe avere solo vantaggi da queste riforme: lo zoccolo duro degli elettori repubblicani è in massima parte composto da pensionati e da benestanti. Questo, come vedremo nelle prossime settimane, potrebbe essere però un problema durante le presidenziali,  visto che ormai la destra più popolare è ben rappresentata dal Front National.

François Fillon ha iniziato quasi tutti i comizi così: aveva ragione

B-L’apporto del voto cattolico

Come dicevo venerdì:

“Punto di forza è la grande popolarità nell’elettorato cattolico più disposto a mobilitarsi. Secondo un sondaggio dell’istituto Ifop per il settimanale Pèlerin, tra i cattolici il favorito nelle intenzioni di voto è Alain Juppé, ma Fillon è appoggiato dai movimenti della Manif Pour Tous, la mobilitazione generale contro i matrimoni omosessuali,  che contano migliaia di aderenti e sono stati capaci di organizzare manifestazioni partecipatissime negli scorsi anni. Ora, senza spingersi sino a dire che abrogherà la legge, ormai considerata cosa fatta e parte integrante dell’ordinamento, Fillon dà cittadinanza alle idee più conservatrici di questi movimenti sull’adozione da parte delle coppie omosessuali, e sulla procreazione assistita, essendo contrario ad entrambe. Se, come detto, la partita si gioca tra chi mobilita di più, questi voti possono essere tutt’altro che trascurabili.”

L’elettorato cattolico è andato a votare in massa, e quei voti hanno pesato.

 

C-La capacità di far dimenticare le sue esperienza passate

In ultimo, il paradosso. François Fillon è stato primo ministro di Nicolas Sarkozy, con cui ha avuto moltissimi contrasti. Non ha però spiegato perché, se non condivideva l’azione di governo, è comunque rimasto al suo posto per l’intera legislatura. Gli altri candidati hanno attaccato più volte l’ex presidente, risparmiando invece il capo del governo che non è stato messo in difficoltà sull’argomento se non di rado. Fillon ha inoltre condiviso esperienze di governo in tutti gli esecutivi gollisti dagli anni ’90 ad oggi (eletto per la prima volta in Parlamento nel 1987): appariva dunque difficile che riuscisse ad uscire da questa immagine (e infatti era considerato il suo principale difetto). E invece non solo è riuscito ad affrancarsi dall’eterna figura di braccio destro del leader di turno, ma ha fatto dimenticare ai francesi di aver contribuito a decisioni politiche che, nel bene e nel male, segnano la Francia dei giorni nostri. In questo senso è interessante l’analisi che ha reso Bruno Cautrès, ricercatore al Cevipof, a France Info: “tutto ciò indica chiaramente che, in fondo, la vittoria di domenica sera è di un Nicolas Sarkozy senza i difetti di Nicolas Sarkozy”.

D-Il ritorno alla politica estera gollista

Infine la politica estera. François Fillon si inserisce nella tradizione autonomista della Francia, inaugurata dal generale de Gaulle con la decisione di non entrare a far parte della NATO, di avere un rapporto privilegiato con l’allora Unione Sovietica e di poter contare su un esercito forte in grado di sorreggere le ambizioni nazionali in politica estera. Questa visione, accantonata da Sarkozy prima (con l’adesione alla NATO proprio sotto la sua presidenza) e Hollande poi, tornerà al centro della politica estera francese con François Fillon all’Eliseo. I suoi rapporti con Putin (qui trovate un’analisi di Slate.fr sull’argomento) e la volontà di eliminare le sanzioni commerciali dirette contro la Russia hanno di sicuro fatto presa sull’elettore di centro destra.

 

2-I demeriti dei suoi avversari

A-Alain Juppé

Come detto, la strategia elettorale di Alain Juppé, cui l’ex sindaco di Bordeaux è rimasto fedele per tutta la campagna, era posizionarsi al centro durante le primarie, alleandosi con François Bayrou (leader del partito centrista Modem, sempre intorno al 10% al primo turno delle presidenziali) e poi spostarsi a destra una volta conquistata la candidatura. Visti i risultati, fallita. È vero che sono stati in molti gli elettori di centro e di sinistra a votare per lui, ma nell’ambito di un elettorato il cui baricentro è, evidentemente, molto spostato a destra, ciò non ha pagato. O meglio, ha pagato perché è grazie ai centristi che Juppé è riuscito a qualificarsi al secondo turno, ma il loro sostegno non gli ha permesso di arrivare primo con un margine di vantaggio sufficiente ad arrivare tranquillo al ballottaggio.

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In più, la sua posizione è apparsa poco audace: i richiami all’identità felice e un programma economico tutto sommato in linea con le aspettative non hanno giovato alla sua immagine, in un contesto dove l’elettore repubblicano voleva invece delle proposte molto dure sia in economia che in materia sociale e di identità. Come può recuperare lo svantaggio? La strada è strettissima per una questione numerica: se Nathalie Kosciusko-Morizet e Jean François Copé hanno entrambi dichiarato che voteranno per lui al ballottaggio, Nicolas Sarkozy appoggerà François Fillon. Sarkozy ha preso quasi un milione di voti, ne bastano la metà e la partita è tendenzialmente chiusa. Ma la rimonta è molto difficile anche perché Juppé ha un solo modo di attaccare Fillon: battere forte sul programma che non conoscono in molti (ed è molto radicale) e sul bilancio fallimentare degli anni di governo del vincitore del primo turno. Ecco, come detto prima, molti francesi probabilmente sanno che la maggior parte delle proposte di Fillon sono irrealizzabili ma sono comunque convinti che ci sia bisogno di una cura shock. Criticare duramente il programma fillonista rischia di mettere Juppé contro il proprio campo, senza essere sicuro di poter contare (e questa è un’incognita rilevante) su una mobilitazione forte degli elettori di centro sinistra.


Chi non è tradizionalmente elettore di destra è infatti andato a votare per due principali motivi: la sensazione che ormai a sinistra i giochi siano chiusi e che quindi i socialisti non riusciranno ad arrivare al secondo turno, e l’incubo di ritrovarsi a scegliere tra Sarkozy e Marine Le Pen al secondo turno. Visto che questo scenario non esiste più, l’elettore di sinistra ha in qualche modo fatto il suo dovere: tornerà a votare domenica prossima?

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B-Nicolas Sarkozy

Sarkozy fuori dal ballottaggio è sicuramente un evento storico. Avevamo detto che la probabilità di un esito del genere esisteva, vedere però l’uomo che ha dominato la politica in Francia negli ultimi vent’anni rifiutato dal suo stesso campo fa impressione. La destra francese volta dunque pagina rispetto ad una figura chiave della sua trasformazione e della sua ultima prova di governo. L’ex presidente è andato male un po’ ovunque; nel suo bastione, il dipartimento Hauts-de-Seine, è arrivato terzo con il 15%, mentre Fillon ha chiuso sopra il 45%, il triplo. Anche nel sud-est, zone tradizionalmente sarkozyste, il risultato è deludente. Sarkozy non ha conquistato nemmeno un dipartimento, e questo è il principale motivo del suo implicito ritiro dalla vita politica.

Va detto, a onor del vero, che Sarkozy ha fatto il suo dovere. La strategia dell’ex sindaco di Neuilly-sur-Seine si basava su un elettorato di 2,5 milioni di persone. In un caso del genere, viste le preferenze raccolte, sarebbe di sicuro passato al secondo turno, perché i voti dei fedelissimi sono arrivati tutti, compresa una parte di elettori che ormai si dichiara simpatizzante del Front National. D’altronde la tattica era questa: mobilitare la sua fan-zone nella speranza che l’affluenza fosse nella norma. Tattica teoricamente vincente dunque, ma strategia sbagliata. Nicolas Sarkozy non è mai riuscito a trarre vantaggio dall’essere già stato presidente della repubblica, e  al contrario ha attirato su di sé le critiche di tutti i candidati minori che avevano governato con lui. Compreso François Fillon che in ottobre, sollecitato dalle domande sui guai giudiziari dell’ex inquilino dell’Eliseo, fu lapidario: “immaginate de Gaulle rinviato a giudizio?”.

Le polemiche sull’identità francese che abbiamo sottolineato prima hanno contribuito a distruggere la sua immagine presidenziale e le vaghe proposte in tema di economia hanno fatto sì che Sarkozy fosse divisivo e non potesse rappresentare un candidato capace di raccogliere intorno a sé le varie anime del suo partito.

In ultimo, la sorpresa nelle retrovie: Nathalie Kosciusko-Morizet è arrivata quarta, riuscendo a battere di poco il suo concorrente Bruno Le Maire che è invece stato protagonista di un crollo. Le Maire ha scontato senz’altro l’effetto voto utile, chi non era già schierato per Sarkozy o Juppé ha visto in Fillon un candidato competitivo e ha deciso di votarlo.

Per oggi è tutto, a venerdì!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, ottava settimana: no, Marine Le Pen non è la Donald Trump francese

Ottava settimana della newsletter sulle presidenziali francesi del 2017, domenica c’è il primo turno delle primarie del centro-destra. Se vuoi ricevere la newsletter sulla tua email puoi iscriverti cliccando qui

Parliamo un attimo di noi: domenica i repubblicani votano per il primo turno delle primarie quindi non serve a niente che io vi invii la newsletter. Avrete dunque il privilegio, a scapito della mia vita privata, di riceverne due: sabato faremo il punto della situazione e lunedì commenteremo i risultati.

Di cosa parliamo oggi?

1-Come potete immaginare la vittoria di Donald Trump è stato l’argomento più dibattuto in settimana: i politici hanno fatto dichiarazioni di rito, tutte rispettose del risultato elettorale, per quanto sorprese; i giornali si sono chiesti come e se uno shock del genere possa avere ripercussioni sulle elezioni del prossimo anno. Vi risparmio le varie reazioni, se vi interessano le trovate in questo video montato dal Figaro.

2-Sono usciti dei sondaggi interessanti sulle primarie dei repubblicani. La partita è apertissima

3-In settimana arriverà forse l’annuncio della candidatura di Emmanuel Macron. Ed è, in parte, un colpo di scena

1-No, Marine Le Pen non è la Donald Trump francese

Quindi dopo Trump dobbiamo aspettarci Marine Le Pen? La risposta non può essere netta, e colgo l’occasione per ricordare che i giornalisti non fanno gli aruspici, ma cercano di raccontare (chi meglio, chi peggio) ciò che vedono. Quindi se leggete previsioni sbilanciate in un senso o nell’altro prendetele per quello che sono: scommesse.

La vittoria di Marine Le Pen alle presidenziali del prossimo anno è molto difficile e Donald Trump non cambia l’assunto. Senza dubbio la tendenza storica è affascinante: prima Brexit, poi Donald Trump infine Marine Le Pen. Un cerchio che si chiude. La storia però non è lineare, né già scritta (e infatti chi immaginava Trump?), per cui prima di vedere movimenti mondiali inevitabili, analizzerei i contesti profondamente diversi in cui questi fenomeni si manifestano. Ne consegue che una sconfitta di Marine Le Pen non necessariamente scongiura un collasso dell’area euro e un arretramento della globalizzazione e allo stesso tempo un suo successo non sarebbe spiegabile solo come parte di una tendenza mondiale, e quindi ineluttabile, non riferita alla realtà francese.

Mi concentrerei su due aspetti fondamentali che, secondo me, allontanano molto i due fenomeni, che pure hanno innegabilmente dei tratti in comune.

A-Il sistema elettorale e politico

I sistemi dei due paesi sono radicalmente diversi: negli Stati Uniti vige un sistema maggioritario a turno unico (qui trovate una spiegazione, fatta bene) che favorisce due partiti principali. Trump si è inserito in questo contesto, ha vinto le primarie di uno dei due partiti principali, ne è diventato il leader e ha quindi giocato le sue carte da candidato tradizionale (contro le élites, certo, ma questo è un altro discorso). Il nuovo presidente americano non ha fondato un partito terzo con l’ambizione di prenderne il posto, ma ha avuto dalla sua uno dei principali e legittimi partiti americani. In Francia invece, il contesto prevede una moltitudine di partiti, e in un certo senso favorisce avventure personali: sono molti i candidati che partecipano al primo turno, perché gli elettori tendono a votare chi sentono più vicino alla propria sensibilità. Così i primi due partiti superano il 20% e generalmente tre/quattro si attestano tra il 10 e il 15.  Se nessuno dei candidati al primo turno raggiunge il  50% (cosa mai successa, sinora) i due più votati si affrontano al ballottaggio.

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I candidati al primo turno delle presidenziali del 2012

Il Front National è dunque da sempre (dagli anni ’70, come il Partito Socialista) presente alle elezioni presidenziali, ma non è mai stato competitivo per la vittoria finale. Il sistema è pensato proprio per evitare fenomeni come quello di Marine Le Pen. Basta guardare le ultime elezioni regionali: il partito ha schierato i migliori candidati possibili in tutta la Francia. Il primo turno sembrava la consacrazione definitiva: tutti i candidati più forti del Fronte erano in testa, addirittura Marine Le Pen e Marion Maréchal (la nipote, astro nascente del partito) con il 40%. Due settimane dopo però, Il FN ha perso tutti i ballottaggi, non riuscendo ad andare oltre i risultati del primo turno. Al momento della verità gli altri partiti si alleano e riescono a contenere i frontisti, evidentemente non capaci di allargare la propria base elettorale, fondamentale in un’elezione a due turni. Con ciò non voglio dire che alle elezioni presidenziali sarà così, anzi credo che questo continuo ostracismo possa portare ulteriori argomenti al Front National; di questo abbiamo parlato la settimana scorsa e ne parleremo nei prossimi mesi. Però al momento il comportamento degli elettori ci dice che il sistema elettorale non favorisce Marine Le Pen.

B-Donald Trump in Francia ha già perso

L’altro aspetto su cui vale la pena soffermarsi è quello del linguaggio. Il marchio di fabbrica di Donald Trump è stato presentarsi come il campione del politicamente scorretto: dire tutto e il contrario di tutto, prendere in giro un disabile, insultare i genitori di un marine morto in servizio perché musulmani, dire di poter avere qualunque donna in quanto personaggio famoso. Detto chiaramente: Donald Trump è un troglodita, e piaceva anche per questo, perché percepito come più vero, più sincero, meno costruito. Il magnate americano è il prodotto più puro della società post-fattuale descritta dall’Economist. Qui c’è una differenza nettissima con Marine Le Pen, che lavora da anni per rendere più accettabile l’immagine del partito.

La sua strategia, detta di dédiabolisation, si basa sull’assunto contrario: la pubblicità a mezzo di dichiarazioni scandalose è ciò che impedisce al Front National di arrivare al potere. Jean-Marie Le Pen, padre di Marine e fondatore del Front National, assomiglia moltissimo a Donald Trump. Per capirci, sostiene sostiene che “ i rom sono come degli uccelli, volano naturalmente” (in francese il verbo voler vuol dire sia volare appunto, che rubare), “Monsieur Ebola può risolvere il problema dell’immigrazione in tre mesi“  e ha dichiarato più volte alla stampa che le camere a gas siano un dettaglio della storia (l’ultima volta un mese fa). E infatti, subito dopo la vittoria di Trump sia lui che i suoi fedelissimi hanno subito fatto capire quanto (a loro modo di vedere) la strategia di Marine Le Pen sia perdente: le elezioni americane lo dimostrano.

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Dal canto loro invece, i sostenitori della leader frontista hanno chiarito alla stampa quanto ripulire il messaggio e eliminare le dichiarazioni fuori posto non sia solo una strategia ma proprio il modo di essere di Marine Le Pen. Funziona? Sì, ma non fino in fondo. Le regionali lo dimostrano e questo sondaggio secondo cui il 55% dei francesi considera l’europarlamentare “razzista” è piuttosto indicativo di quanto sia difficile allontanarsi da stereotipi formatisi in anni di atteggiamenti e dichiarazioni piuttosto spinte.

Per concludere: è vero che il sentimento anti-establishment esiste anche in Francia ma, come sa chi è iscritto a questa newsletter da un po’,  a seguito delle presidenza disastrosa di un “président normal”  i francesi vogliono che qualcuno di serio sia capace di prendere in mano le redini del paese. Lo dicono i sondaggi e lo si percepisce abbastanza. La chiave per l’Eliseo passa da qui, e Marine Le Pen ne è perfettamente consapevole: se, oltre a cavalcare la protesta riuscirà a presentarsi come un politico in grado di garantire l’ordine e di fare gli interessi del suo paese, può giocarsela davvero. In questo senso è interessante notare il continuo riferimento a Charles De Gaulle, non proprio un trumpista della prima ora; intervistata da Tf1 ha detto che per lei l’ex presidente è un modello “anche il generale era accusato di essere fascista o bolscevico, ma la Francia non è né di destra né di sinistra, è la Francia. Non credo di dovermi rivolgere in maniera diversa a un patriota di sinistra rispetto a un patriota di destra. Io parlo in nome del popolo francese”.

Insomma Donald Trump, così come la Brexit, sono coincidenze e fattori esterni molto utili alla retorica del Front National, ma non possono, da soli, rappresentare il punto di svolta di una rincorsa che appare, al momento, piena di ostacoli. Sono due, benvenuti, regali per Marine.

2-Giovedì c’è il terzo dibattito dei repubblicani e domenica il primo turno

Settimana scorsa avevo spiegato come Sarkozy potrebbe essere sottostimato nei sondaggi. Si era detto, infatti, che per i sondaggisti è particolarmente complicato essere precisi nelle previsioni delle intenzioni di voto alle primarie del centro-destra: è la prima volta che si tengono, sono aperte a tutti ed è quindi difficile prevedere in quanti andranno a votare. Il numero di partecipanti può fare un’enorme differenza, perché tra i simpatizzanti del partito Sarkozy è molto popolare, mentre in altri settori dell’elettorato è piuttosto respingente. Il sondaggio che segue è stato realizzato tra il 9 e l’11 novembre, e come potete notare il punteggio dell’ex presidente è sensibilmente diverso a seconda che si intervisti “l’insieme dei francesi” oppure “i simpatizzanti del partito Les Républicains”

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Questo sondaggio è riferito a tutti i francesi intervistati

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Questo sondaggio invece ai soli simpatizzanti della destra

La differenza per Alain Juppé e Nicolas Sarkozy è quindi notevole e la si nota ancor di più nelle rilevazioni che ipotizzano un secondo turno tra i due.

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Il sondaggio è effettuato sull’insieme dei francesi

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Questo sondaggio invece solo sui simpatizzanti del partito

A complicare ancora di più il quadro c’è, come avrete visto, una rimonta abbastanza robusta di François Fillon, che ha evidentemente capitalizzato le buone performance televisive nei dibattiti e nelle interviste in prima serata a cui ha partecipato; in più sta vendendo benissimo il suo libro (si parla di 80.000 copie) e riempie teatri senza difficoltà. Insomma, la sensazione è che i giochi siano aperti, per tutti e tre.

Sabato ne parleremo meglio.

3-Macron potrebbe anticipare l’annuncio della sua candidatura

L’ex ministro dell’economia continua a far parlare di sé, intervistato di nuovo dalla rivista L’Obs ha dettagliato il suo programma aggiungendo un altro tassello alla costruzione della sua candidatura. Alcuni giornalisti hanno fatto notare che potrebbe essere un segnale verso l’atteso annuncio: previsto per dicembre o gennaio, Macron potrebbe comunicare le sue intenzioni già questo mercoledì, un giorno prima del dibattito dei Repubblicani.

Perché? Inizialmente si pensava che Macron volesse attendere il risultato delle primarie, perché con Sarkozy avrebbe avuto più spazio, mentre con Alain Juppé, più centrista e unitario, lo spazio si sarebbe ridotto. Ma una delle forze della sua candidatura è stata la mancanza di riguardo a ciò che pensassero o facessero i suoi avversari politici: dichiararsi mercoledì aumenterebbe ancora di più il suo profilo autonomo. In più, costringerebbe i repubblicani a parlare di lui durante il dibattito di giovedì consentendogli una copertura mediatica gratuita e probabilmente molto proficua. D’altronde dopo le primarie della destra, l’attenzione su Macron si ridurrà inevitabilmente, il vincitore godrà di una grande attenzione e di una grande investitura popolare; la stampa comincerà a chiedersi con insistenza se il presidente Hollande sarà dei giochi o meno.

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Anche questo secondo elemento va considerato. Mentre finora la domanda che ci ponevamo era quanto spazio il fondatore di En Marche! potesse avere a sinistra in caso di candidatura di Hollande, adesso la questione, come nota Guillaume Tabard sul Figaro, potrebbe ribaltarsi: Hollande si candiderà ora che il suo ex ministro è in campo? A ciò si aggiunga un’ultima considerazione: perché le interviste più approfondite vengono rilasciate al settimanale L’Obs? Possiamo immaginare che Macron sia molto amico del direttore, Matthieu Croissandeau, ma con ogni probabilità la risposta è che, tradizionalmente, L’Obs è il settimanale di sinistra più letto del paese, segno di quanto Macron abbia ben presente la parte dell’elettorato a cui vuole rivolgersi.

Oggi è passato un anno dall’attentato al Bataclan e ai ristoranti del X e XI arrondissement. Ho pensato a lungo su come scrivere qualcosa che non suonasse retorico. Quindi dirò solo che ero lì, in una casa a 50 metri dal Petit Cambodge, uno dei ristoranti attaccati dagli assassini, e che ricorderò sempre lo sgomento e poi la grandissima paura. Aver visto così da vicino una cosa del genere è uno dei motivi che mi ha spinto a raccontare quello che sta succedendo in Francia, perché mi riguarda, perché ci riguarda.

Per oggi è tutto, ci sentiamo, eccezionalmente, sabato prossimo!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, settima settimana: dibattito equilibrato ma Sarkozy può recuperare

Settima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Di cosa parliamo questa settimana?

1-Naturalmente di com’è andato il dibattito dei Repubblicani, che ha visto una buona performance di tutti i candidati. Ognuno ha dei motivi per uscire contento dal confronto televisivo, che però potrebbe leggermente spostare gli equilibri a favore di Nicolas Sarkozy.

2-Un breve accenno su Marine Le Pen, dalle molte domande che mi arrivano ho capito che è un argomento che interessa parecchio, e me ne occuperò. Se finora non l’ho fatto c’è una ragione. Chi vuole approfondire il personaggio però può leggere un mio lungo ritratto, che trovate cliccando questo link.

3-Ho scritto una lunga spiegazione di cos’è la “Giungla” di Calais (chi segue dall’inizio, sa che l’avevo promesso), che è stata smantellata in queste settimane. L’articolo lo trovate cliccando qui.

1-Chi ha vinto il dibattito?

È difficile da dire, ogni candidato arrivava al confronto con aspettative e obiettivi diversi, e non ci sono stati particolari errori da parte di nessuno. Stando così le cose, probabilmente non è nemmeno tanto utile chiederselo, così come non è utile che io vi racconti per filo e per segno cos’è successo. È interessante dar conto invece degli atteggiamenti dei candidati, specialmente i favoriti, per capire se la partita è ancora aperta o no.

A-Tutti contro Sarkozy

Questa è, se vogliamo, la notizia. Alla vigilia ci si aspettava un duello tra i due favoriti, Alain Juppé e Nicolas Sarkozy. L’ex presidente, in difficoltà nei sondaggi, aveva tutto da guadagnare rispetto ad uno scenario del genere: si pensava Sarkozy ingaggiasse battaglia e Juppé provasse in qualche modo a chiamarsi fuori. Il duello invece non c’è stato, perché gli outsider non l’hanno consentito. Le Maire, Copé e Nathalie Kosciusko-Morizet hanno deciso di giocare la carta “tutti contro Sarkozy”. Sarkozy ha provato a rispondere col solito atteggiamento “paternalista”, dopotutto chi lo attaccava è stato ministro durante la sua presidenza, ma gli altri tre sono stati bravi a confinarlo nel suo ruolo di candidato.

Juppé, posizionato all’estrema sinistra dello schermo, è stato lasciato in pace, e ogni tanto guardava gli scontri (mai esagerati, ma comunque duri) di cui erano protagonisti gli altri con malcelata soddisfazione. Perché dico che è la notizia più rilevante? Perché un atteggiamento del genere è insolito, in genere è il favorito a subire attacchi. E poi perché paradossalmente un copione del genere ha aiutato Sarkozy e forse, ma ci arriviamo, in fin dei conti danneggiato Juppé. Due sono i motivi: il primo è che grazie ai continui attacchi l’ex presidente ha potuto mostrarsi combattivo, rispondendo col sorriso alle critiche di chi ha condiviso con lui un lungo percorso politico. Sarkozy è parso molto a suo agio (nel primo dibattito era decisamente più teso) e spesso ha volto le critiche a suo favore, come potete notare da questo scambio con Bruno Le Maire.

 

 

Il secondo motivo è più politico: essere il bersaglio di tutti gli attacchi aiuta molto l’ex presidente per il primo turno. Come abbiamo detto settimana scorsa, Sarkozy è il candidato più identitario, la sua base è praticamente inossidabile: Sarkozy mobilita. Il suo comitato è il più organizzato e in un’elezione con relativamente pochi partecipanti riuscire a portare le persone a votare è fondamentale. Certo, su una platea di 4 milioni questo vantaggio peserà di meno, ma non è assolutamente certo che l’affluenza sarà così alta. È la prima volta che a destra organizzano le primarie, non c’è un precedente.

Le analisi, mie comprese, sono tarate sul “sentimento” dei francesi, sulla loro opinione. Ma alle primarie della destra votano gli elettori della destra, non tutti i francesi. È vero che nelle ultime settimane Juppé ha aumentato il vantaggio nei sondaggi grazie alla mobilitazione dell’elettorato centrista in funzione anti-Sarkozy, ma è una mobilitazione che avviene tra quelli che rispondono al sondaggio seduti in poltrona. Andranno davvero a votare? La risposta che danno dal quartier generale di Sarkozy è: “meno di quanto vi aspettate”. Hanno ragione? Questo lo sapremo il 20 novembre. Per ora, vista anche la buona performance nel dibattito, possiamo ragionare su alcuni sondaggi pubblicati subito dopo il dibattito dall’istituto Elab.

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Come si vede Juppé è il candidato che riscuote più successo tra i francesi in generale, guardando solo gli elettori di centro-destra si scopre che Sarkozy è in testa. Il problema, e qui sta il paradosso, si porrebbe dopo il primo turno. Un voto fortemente identitario in un quadro di pochi partecipanti favorisce Sarkozy, ma allo stesso tempo lo isola. Se tutti gli altri candidati scelgono di votare Juppé al secondo turno la partita è tendenzialmente chiusa. Bisogna tenere conto del fatto che non si vince mai da soli in un’elezione a due turni.

B-Juppé-Fillon: gli uomini di Stato

Nei commenti a caldo, appena finito il dibattito, diversi giornalisti hanno fatto notare un atteggiamento simile da parte di Alain Juppé e François Fillon: cercare di evitare la polemica con gli altri candidati, parlando dei propri programmi e delle proprie idee. In questo sono stati aiutati dalla dinamica del confronto: non dovendo mai difendersi dagli attacchi, tutti concentrati su Sarkozy, hanno potuto coltivare la loro figura al di sopra delle parti. Juppé ha chiarito di essere candidato contro il Front National e Hollande, non contro Sarkozy, Fillon ha spiegato che il presidente è “il leader di tutti e non della propria parte o dei propri amici”. Come abbiamo visto, Juppé è molto alto nei sondaggi (mediamente conserva 6-7 punti di vantaggio su Sarkozy). L’obiettivo, come nel primo dibattito, era evitare di perdere punti, cosa che non pare essere accaduta. Paradossalmente, essere stato risparmiato da tutti gli attacchi può aver dato l’impressione che il sindaco di Bordeaux sia poco combattivo, oltre che poco temuto dagli altri.

Allo stesso tempo questo ha però contribuito a consolidare la sua immagine da presidente in pectore, che è stata confermata da un piccolo scambio avvenuto appena finito il dibattito. È una cosa piccola, però dà il senso. Usciti dalla Salle Wagram, dove si è tenuto il confronto, i candidati venivano avvicinati dai giornalisti per scambiare due battute. Prima che qualcuno potesse chiedigli qualcosa,  Juppé, a favore di telecamere, è stato fermato da una poliziotta, che gli ha chiesto un incontro per discutere della risoluzione di una serie di problemi legati alla polizia “visto che siamo convinti che lei sarà il prossimo presidente” e Hollande non è capace. Il sindaco di Bordeaux è stato molto disponibile e le ha chiesto il contatto in modo da organizzare l’incontro. Insomma, uno spot gratis a reti unificate.

Un altro momento interessante è stato quando i candidati hanno risposto rispetto alla loro idea sulla funzione presidenziale. Juppé ha detto più volte di voler fare un solo mandato, senza aver l’ansia di essere rieletto e di basare le sue politiche anche su questo. La questione, legittima, che si può porre è: perché ci insiste tanto, visto il rischio di trovarsi una guerra per la sua successione dal giorno dopo le elezioni? In realtà il proposito è abbastanza coerente visto che, come abbiamo visto nella prima puntata, uno dei punti deboli di Juppé è l’età, e lui ne è consapevole. Tra l’altro, secondo il politologo Pascal Perrineau, i francesi si attendono dei mandati corti per dar respiro alla democrazia, la riforma che ha portato il mandato da 7 anni a 5 del presidente fu infatti accolta con favore. Sul terreno del mandato unico Juppé è stato affiancato da Fillon e Sarkozy, convinti della bontà della decisione. In questo il sindaco di Bordeaux è stato capace quindi di dettare l’agenda.

 

 

 

 

Yves Thréard, acuto analista del Figaro, dice la sua

Per quanto riguarda Fillon invece, il secondo dibattito ha confermato la tendenza delle ultime due settimane. Dopo l’ottima performance del suo intervento all’Émission Politique della settimana scorsa, ha continuato a coltivare il suo profilo: competente, moderato, affidabile. Non ha sfondato, e d’altronde non è nella sua natura, ma è parso molto credibile sia in politica estera che sulle questioni della riforma scolastica e della funzione presidenziale.  Altro indicatore, che non conta moltissimo, ma può dare l’idea dell’incisività dell’ex primo ministro: Fillon è stato il nome più citato su twitter pur non essendo il candidato più presente sui social network. Stamattina, intervistato, si è detto molto soddisfatto per il successo che la sua candidatura sta avendo nel paese. È vero che Fillon sta recuperando ma, come abbiamo appena analizzato nel punto A, Sarkozy è parso tutt’altro che in crisi.

C-La polemica su Bayrou

Ho spesso citato François Bayrou nelle puntate precedenti. Sindaco di Pau (una piccola città del sud della Francia) è il leader del movimento centrista Modem, si è candidato al primo turno delle presidenziali più volte, senza mai arrivare al secondo turno ma ottenendo sempre dei risultati comunque importanti. Tradizionalmente alleato della destra gollista, alle presidenziali 2012 è stato protagonista di un piccolo tradimento: ha sostenuto Hollande al secondo turno contro Sarkozy, che infatti lo detesta.
Bayrou è da mesi grande sponsor di Juppé: nel caso in cui il sindaco Bordeaux sarà candidato, non si presenterà al primo turno delle presidenziali.

La cosa ha visibilmente innervosito Sarkozy, che durante il dibattito l’ha duramente attaccato: “non sono contro l’alleanza con il centro con cui abbiamo tra l’altro già governato. Non ho problemi personali con François Bayrou ma mi domando cos’è che abbiamo in comune con lui”. L’atteggiamento era ampiamente previsto, ma ha dato modo di rispondere a Alain Juppé che ha definitivamente spento la polemica “ho fatto una campagna molto attiva per Sarkozy nel 2012, non condividendo la scelta di Bayrou all’epoca” ha detto il sindaco di Bordeaux “ma in tutte le elezioni locali siamo stati ben felici di allearci con Bayrou”.

L’argomento, che può sembrare  di “politique politicienne” ed in effetti lo è, ha comunque tenuto banco per mezz’ora, a dimostrare quanto il leader centrista sia un personaggio rilevante. In più il suo nome è stato protagonista di uno degli scambi più divertenti del dibattito, vista la somiglianza del suo cognome con quello di Baroin, importante sostenitore di Sarkozy (che lo ha sostenuto alle elezioni locali).

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D-Le Maire, Nathalie Kosciusko-Morizet, Jean-François Copé: gli outsider

Ne avevamo avuto le avvisaglie già nel primo dibattito, quando Sarkozy era apparso come uno dei candidati e non come il presidente uscente. Il secondo dibattito ha confermato l’impressione: il timore reverenziale verso l’ex presidente è svanito. Gli ex ministri Bruno Le Maire e Nathalie Kosciusko-Morizet e l’ex presidente del partito Jean-François Copé, come detto prima, lo hanno incalzato a turno, in continuazione.

La più offensiva è stata la deputata, che pur essendo stata la portavoce di Sarkozy durante la campagna elettorale del 2012 e a lungo sua protetta, non ha esitato a metterlo in difficoltà, accusandolo di non aver portato avanti sino in fondo le sue riforme ecologiste.” Sarkozy ha attaccato:”non sono pentito della tua nomina ministeriale, ma non sono sicuro che lo rifarò”. Ma NKM (i francesi adorano le abbreviazioni) ha subito replicato “non ne avrai l’occasione”, probabilmente rivelando, in maniera tutt’altro che ingenua, chi sosterrà al secondo turno. La Morizet ha delle convinzioni forti, le porta avanti con convinzione, parla di cose del futuro più degli altri, è stata molto netta sul Front National, rifiutando categoricamente la possibilità di un voto al partito di Marine Le Pen ai ballottaggi.

 

Bruno Le Maire, dal canto suo, ha provato più volte ad attaccare l’ex presidente, ma senza grande successo. Anzi, ha consentito a Sarkozy di rispondere in maniera brillante ad una sua provocazione, nello scambio che vedete di seguito. Insomma, l’ex ministro dell’agricoltura non è parso spaesato come nel primo dibattito, ma sembra aver perso la possibilità di agganciare Fillon e accreditarsi come “terzo uomo”.

2-Un piccolo accenno sul Front National e Marine Le Pen

È vero, ne abbiamo parlato poco, e almeno sino alla fine delle primarie continueremo a dedicarle poco spazio. Un po’ perché non voglio scrivere delle newsletter troppo lunghe, un po’ perché il silenzio dell’eurodeputata è parte della sua strategia. Lo ripeto ancora una volta per chi arriva solo adesso: il Front National ritiene che i fatti parlino per Marine. Il problema immigrazione, dopo lo sgombero della “giungla”, diventerà reale anche nelle zone più periferiche della Francia come ho spiegato in questo lungo articolo per Gli Stati Generali, e nei villaggi rurali il Front National va fortissimo. L’altro tema su cui spingono i frontisti è che destra e sinistra sono uguali e ormai la sfida è Front National vs Resto del Mondo. Così sembra un po’ una caricatura, e lo è, però se ascoltate Florian Philippot nel video che viene di seguito capite che i frontisti sanno essere abbastanza efficaci su questi argomenti.

 

 

 

Per chi non conosce il francese, Philippot ironizza sul fatto che gli oppositori del Front National organizzano tre primarie, una della destra, un’altra socialista e la terza al primo turno delle presidenziali. Non serve, tanto già sanno che al secondo turno si alleeranno per battere Marine Le Pen.

In settimana si è in ogni modo parlato del fatto che Marine Le Pen deve restituire 339.000 euro al Parlamento Europeo. In breve: secondo il Parlamento i suoi due assistenti, pagati appunto dall’istituzione europea, lavoravano per attività politiche diverse da quelle del Parlamento, cosa illegittima. Naturalmente la leader del Front National ha negato le accuse, ma nessuno nega che la cosa sia un problema per lei. Se volete approfondire ne ha scritto Il Post, in italiano. Se volete sapere se è una notizia che può danneggiarla politicamente, la risposta è non moltissimo: è vero che al momento i frontisti hanno pochi soldi e stanno faticando a trovarne, ma i giornali francesi ne hanno parlato davvero poco. Per saperne di più bisogna dunque aspettare.

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, sesta settimana: una buona notizia per Hollande

 

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Sesta settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Di cosa parliamo oggi?

1-C’è una buona notizia per Hollande: la disoccupazione è scesa del quasi 2% a settembre rispetto al mese precedente. I sondaggi però continuano a essere disastrosi: cosa cambia rispetto alla sua candidatura?

2-Giovedì c’è il secondo dibattito del centro-destra. Da tenere d’occhio, oltre a Juppé e Sarkozy, c’è François Fillon, in rimonta.

3-Jean Frédéric Poisson ha combinato un altro mezzo guaio

1-La disoccupazione migliora ma i sondaggi sono catastrofici: che farà Hollande?

È da agosto che la situazione del presidente appare sempre meno chiara. Si candiderà o farà un passo indietro? Se si rileggono i giornali di inizio settembre, François Hollande era in procinto di candidarsi. L’annuncio ufficiale, previsto per dicembre, sembrava essere solo una formalità. Poi abbiamo assistito ai pessimi numeri dell’economia e dell’occupazione, al tradimento di Emmanuel Macron e al grande autogol del libro-intervista: la situazione è diventata tutt’altro che favorevole al presidente, e l’eventualità di presentarsi alle elezioni meno probabile. È cambiato qualcosa questa settimana?

Hollande ha da tempo posto due condizioni per la sua ricandidatura: un miglioramento stabile e sensibile degli occupati, segno dell’efficacia dei suoi provvedimenti, e l’assenza di un’altra personalità  del suo partito in grado di vincere le elezioni. Finora si era verificata solo la seconda condizione: nessuno nel partito socialista sembrava in grado di far meglio del presidente e niente lascia pensare che la situazione possa cambiare nei prossimi mesi. Sul versante occupazione invece, come visto nelle scorse puntate, le notizie erano pessime visto il grande aumento di disoccupati fatto registrare ad agosto.

In settimana, però, c’è stata un’inversione di tendenza: le cifre della disoccupazione sono molto al ribasso, si contano 66300 persone in cerca di lavoro in meno rispetto ad agosto, cioè quasi il 2%. Si tratta, a livello percentuale, del più forte abbassamento della cifra dal novembre del 2000. Tra l’altro, nonostante il picco negativo di agosto, è il terzo trimestre consecutivo in cui la disoccupazione diminuisce (se vi interessa approfondire qui trovate una spiegazione del Figaro, e qui una del Monde), segno che la ripresa, seppur lieve, è in corso. Hollande ha rivendicato i risultati anche attraverso la propria pagina Facebook, e i suoi fedelissimi sostengono che visti i risultati non c’è motivo mettere in dubbio la legittimità della sua candidatura . François Rebsamen, sindaco di Digione ed ex ministro molto vicino al presidente, ha dichiarato a RTL che “Hollande potrà partecipare all’elezione presidenziale se lo desidera. Il suo impegno è stato mantenuto”, viste le cifre positive.

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D’altro canto il presidente non cessa di calare nei sondaggi. Solo il 4% dei francesi giudica positivo il suo operato, e un sondaggio del Figaro realizzato tra il 21 e il 23 ottobre, dieci giorni dopo l’uscita del libro intervista “un président ne devrais pas dire ça”, conferma la tendenza che avevamo osservato nelle settimane scorse: in nessun caso il presidente arriverebbe al secondo turno. Nelle rilevazioni che vedono Macron candidato è addirittura quinto, dietro Juppé (o Sarkozy), Marine Le Pen, Jean Luc Mélenchon e lo stesso Macron.

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La cosa certa è che in caso di candidatura la strategia del presidente sarà difendere con forza il suo operato durante il mandato. Le cifre sull’occupazione possono essere l’argomento che aspettava per avere qualcosa di concreto da utilizzare nei confronti dei suoi avversari.

2-Esiste un piano b?

La risposta al momento è no. E questo come appena visto è uno dei motivi per cui la candidatura di Hollande, seppur non scontata (settimana scorsa si era detto che il presidente non era mai stato così lontano dal ricandidarsi), appare l’ipotesi più probabile. Sono due i nomi più citati dalla stampa francese: il primo, Manuel Valls, è il candidato di riserva da mesi; il secondo, quello di Christiane Taubira, è una novità. Bisogna capire quindi quanto ci sia di concreto dietro queste voci o se siano una semplice suggestione.

 

A-Manuel Valls: in caso di ritiro di Hollande è lui il più accreditato per raccogliere il testimone. A differenza di Macron ha giocato la carta della lealtà: ha chiarito che un uomo di Stato ha delle responsabilità sia rispetto ai francesi sia rispetto al Presidente, che dopotutto l’ha nominato e ha condiviso con lui il percorso politico degli ultimi due anni e mezzo. La posizione è molto apprezzata: Valls è riconosciuto come un servitore dello Stato, leale appunto ma con una sua autonomia ben definita. Non ha mai risparmiato critiche al presidente, soprattutto dopo l’uscita del libro, ha aumentato la frequenza dei suoi discorsi pubblici  e ha cominciato a rivolgersi ai vari candidati del Partito Socialista per convincerli a lavorare intorno ad un nome comune.  In un incontro a Tour, ha fatto quasi un appello “Arnaud (Montebourg), Benoît (Hamon), Aurélie (Filippetti), Emmanuel (Macron), non nego di aver discusso spesso con voi, o di aver avuto dei punti di vista diversi. Ne sono consapevole. Ma prima di questo, cosa ci unisce?  Aver governato insieme nell’interesse del paese e aver condiviso le battaglie per l’uguaglianza e per i nostri valori, i valori della repubblica. Dobbiamo reagire ora per non morire domani”

Lunedì il Primo Ministro ha anche incassato il sostegno del segretario del PS Jean-Christophe Cambadélis, che ha evocato la possibilità di un candidatura di Valls in caso Hollande decida di non presentarsi. I sondaggi però non sono incoraggianti: come potete vedere l’ipotesi Manuel Valls candidato non è competitiva.

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Anche dal punto di vista ideologico il Primo Ministro incontra difficoltà. In questi anni è riuscito a costruirsi una solida piattaforma: ha pubblicato più libri sull’identità francese ed il rapporto con le religioni, ha preso posizioni molto dure dal punto di vista della sicurezza e della lotta al terrorismo. Cosa che ad esempio è sempre mancata ad Hollande, meno capace di elaborare una linea politica precisa e coerente. Il punto però, è che queste idee sono minoritarie all’interno del partito. Valls è sempre stato percepito più come un uomo divisivo che come un federatore: ha più volte detto che in Francia ci sono “due sinistre irreconciliabili”, ha avuto una grandissima opposizione interna sui temi legati alla sicurezza e ha spaccato paese e partito per portare a termine la riforma del mercato del lavoro (dove ha dovuto utilizzare la fiducia, cosa molto rara in Francia). Insomma, se Valls dovesse candidarsi e quindi passare per le primarie avrebbe tutta la sinistra del partito contro. Vincere la competizione interna non sarebbe scontato.

B-Ultimamente sta prendendo corpo un’ipotesi più di sinistra, quella di Christiane Taubira, ministro della giustizia dimessasi a gennaio per divergenze insormontabili col governo. Taubira, che è un esponente del partito radicale, era finita ai margini dopo le dimissioni, ma negli ultimi mesi ha più volte incontrato Hollande, dichiarando di essere una sua sostenitrice. Dopo la pubblicazione di “un président ne devrait pas dire ça” è stato l’unico esponente politico di peso a sostenere pubblicamente il presidente, e i fedelissimi di Hollande non hanno nascosto di aver pronto per lei un posto rilevante nella campagna elettorale del presidente. In settimana c’è stata un’accelerazione: i giornali hanno scritto  di una sua eventuale disponibilità a candidarsi, e sono avvenuti più incontri tra l’ex ministro della giustizia e parlamentari socialisti, probabilmente per parlare di questo. Interrogata a tal proposito da Liberation, Taubira ha ammesso di aver partecipato ad alcuni incontri dove le è stata chiesta la disponibilità, e ha spiegato che effettivamente esiste un certo “fermento” intorno al suo nome, ribadendo allo stesso tempo la sua lealtà al presidente. Che sia lei il piano b di Hollande?

In ogni modo i due piani B convincono poco la rivista L’Obs, che spiega in un lungo articolo perché è praticamente certo che Hollande si ricandiderà.

2-Come arrivano i repubblicani al secondo dibattito

Giovedì si terrà il secondo dibattito dei Repubblicani. I temi, come anticipato, saranno diversi da quelli affrontati nel primo. I candidati risponderanno alle domande di due moderatori su: la loro concezione dell’esercizio del potere;  come intendono portare avanti la lotta contro il terrorismo;  quali impegni immaginano, per la Francia, in politica estera; che visione hanno dell’Europa; come pensano di riformare, se ce n’è bisogno, il sistema educativo. I sondaggi vedono la posizione di Alain Juppé consolidarsi sopra il 40% al primo turno, con Sarkozy costante intorno al 30%. Interessante è la progressione di Fillon, che sembra aver definitivamente acquisito la posizione di terzo, e quindi cercherà in qualche modo di riaprire la partita per essere presente al secondo turno.

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Quali sono le cose da considerare dunque?

A-In primo luogo, ovviamente, lo scontro tra Juppé e Sarkozy, che è diventato più duro nelle ultime settimane. Non tanto nelle dichiarazioni, a dir la verità raramente sopra le righe, quanto in alcune scelte strategiche. Juppé ha iniziato, non a caso, a fare seriamente campagna al sud, in Provenza, dove ha incassato il sostegno del sindaco di Tolone. In Provenza l’ex presidente Sarkozy è tradizionalmente molto forte: nel 2012 è arrivato 32% al primo turno (a livello nazionale 27%), Marsiglia è uno dei suoi bastioni, e in generale la destra è fortissima nella regione: alle ultime regionali il FN ha preso il 40% al primo turno, Les Républicains il 26 e il PS solo il 15%. L’obiettivo del quartier generale di Sarkozy è dunque arrivare a più del 50% nella regione e Juppé, che sa di non essere competitivo, ha intensificato la sua presenza per recuperare qualche punto: libero dall’ansia della rimonta può concentrarsi nelle parti del paese dove è più debole. Ci sono poi due fatti interessanti, che confermano la percezione di presidente in pectore che sembra  trasmettere il sindaco di Bordeaux. In primo luogo, a Marsiglia, Juppé è stato ricevuto dal sindaco (che appoggia Sarkozy) con grandi sorrisi e cordialità quasi come fosse già il candidato dei repubblicani e non il favorito da battere. In secondo luogo, ha deciso di cominciare a passeggiare, scattare selfie e chiacchierare con i passanti in una serie di quartieri difficili (sia nelle periferie delle città del sud che nelle banlieues parigine) cosa che finora aveva evitato, visto che il suo elettorato di riferimento è tendenzialmente borghese.

Christophe Barbier, giornalista dell’Express, spiega i punti deboli della candidatura di Sarkozy

Avevo iniziato la newsletter dicendo che la tendenza dei sondaggi favoriva Sarkozy, ed in effetti andando a riguardare i numeri era così: dall’annuncio della candidatura l’ex presidente aveva compiuto un recupero importante, tanto da risultare plausibile un suo arrivo in testa al primo turno. Cos’è successo dopo la rimonta? Il problema di Sarkozy è che non ha fatto “il botto”: l’ex presidente sperava che la tendenza nei sondaggi continuasse e gli elettori del centrodestra credessero nello storytelling della “rivincita”. Ma una volta esaurita la spinta data dall’annuncio della candidatura e dell’onnipresenza mediatica il suo messaggio si è indebolito. Ha sì galvanizzato la sua “fan-zone” che è cospicua all’interno del partito e arriva sino alla parte più di destra dell’elettorato, attirando anche una fetta di elettori del Front National, ma non è riuscito ad andare oltre. In più, la sua rimonta ha alimentato il mantra”tout sauf Sarkozy” (chiunque ma non Sarkozy) mobilitando (almeno secondo i sondaggi) moltissimi elettori di centro. Queste due tendenze hanno fatto sì che si radicalizzasse il messaggio volto a una piccola parte dell’elettorato delle primarie: “elettore di destra, non lasciare che ti rubino le primarie”. Il messaggio ha un senso se gli elettori sono pochi, se come sembra saranno molti, è rischioso.

B-Fillon, “il terzo uomo” che possibilità ha? L’ex Primo Ministro è stato ospite giovedì dell’émission politique (qui trovate una serie di estratti), e ha fatto un’ottima impressione. È forse il candidato che ha guadagnato di più dal primo dibattito: con una presenza televisiva efficace e seria aveva superato definitivamente uno dei suoi principali handicap, essere visto come il collaboratore di Sarkozy. In più, il suo principale avversario per il terzo posto, Bruno Le Maire, non aveva convinto, ed è immediatamente calato nei sondaggi successivi. L’obiettivo per François Fillon è cercare di recuperare il distacco con Sarkozy: secondo l’ex Primo Ministro i sondaggi si sbagliano (lo ripete sempre) e il suo messaggio, liberale in economia e conservatore sui temi della società, sta cominciando a interessare gli elettori di centro-destra.

È vero che con due dibattiti da affrontare e tre settimane di campagna teoricamente la rimonta è possibile, d’altro canto 15 punti e un fisiologico interesse dell’opinione pubblica per il duello Juppé-Sarkozy rendono il compito di Fillon davvero complicato. Possiamo quindi dire che per trasformare la rimonta da possibile a probabile, l’ex primo ministro deve sperare in una serie di errori gravi di Sarkozy più che nelle sue capacità.

3-Poisson ha chiesto scusa, seriamente. Ma poi ha fatto un altro guaio

Jean Frédéric Poisson, molto criticato settimana scorsa per la sua uscita infelice su Hillary Clinton (ha detto che sarebbe sostenuta dalle lobby sioniste), ha chiesto “perdono” alle persone ferite dalle sue dichiarazioni; il comitato organizzatore delle primarie ha quindi deciso di non sospendere la sua candidatura. Il deputato di Yvelines ha però continuato a sollevare polemiche: dopo essersi impegnato pubblicamente durante il dibattito (lo hanno fatto tutti i candidati) a votare chiunque uscisse vincitore dalle primarie,  intervistato da Lyon People ha detto di non escludere un voto per Marine Le Pen al secondo turno. “Possono succedere tante cose in sei mesi, il programma di società multiculturale portato avanti da Juppé mi convince sempre meno.” La dichiarazione è stata chiaramente molto criticata dall’entourage di Juppé, ma non ha sollevato grandissime polemiche, probabilmente per il peso elettorale limitato del presidente del partito cristiano democratico.

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017 quinta settimana: chi trae vantaggio dall’autodistruzione di Hollande?

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Quinta settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

Di cosa parliamo oggi?

Il lungo libro-intervista a Hollande pubblicato settimana scorsa è con ogni probabilità il colpo di grazia alla candidatura del presidente. Hollande non è mai stato così lontano dal ripresentarsi. Chi ne trae vantaggio? Dalle prime reazioni sembra che ad approfittare direttamente della situazione possano essere Mélenchon e Macron, ultime figure credibili rimaste al centrosinistra (aspettando le mosse di Manuel Valls, attuale primo ministro). In maniera indiretta ne approfitterà anche Alain Juppé: più i due ex presidenti si mettono nei guai (Hollande e Sarkozy sembrano avere un particolare talento nel farlo) più i francesi avranno voglia di qualcuno che “rimetta ordine in casa” come spesso dicono. E gran parte della strategia del sindaco di Bordeaux si fonda sulla credibilità e sull’esperienza.

1-Jean Luc Mélenchon, l’outsider

Mélenchon è il leader della sinistra radicale francese. È nato politicamente nel Partito Socialista, aderendo sin da subito alla corrente più di sinistra. Dopo essere stato ministro dell’istruzione tra il 2002 e 2004 durante il governo di Lionel Jospin, ha rappresentato la minoranza di sinistra sino alla decisione di  abbandonare il partito nel 2008 per fondare il Front de Gauche, unione delle varie anime che compongono la galassia alla sinistra del Partito Socialista. Per il Front de Gauche è stato candidato al primo turno delle presidenziali del 2012, arrivando all’11% e non riuscendo a qualificarsi per il secondo turno. Dagli anni ’70, cioè dalla fondazione del Partito Socialista, la sinistra radicale francese si è divisa in una serie di partiti (Lotta Operaia, Partito Comunista, Lega Comunista) che insieme si sono sempre attestati tra il 10 e il 15% al primo turno, senza però  mai riuscire ad accordarsi per una candidatura unitaria (a quanto pare la tendenza alla scissione non è una patologia solo italiana). Dal 2012, Mélenchon è invece riuscito a rappresentare la sinistra radicale in una lista unitaria ottenendo dei buoni risultati non solo alle presidenziali ma anche alle elezioni locali degli ultimi anni.

Ciò non è bastato a governare città o regioni di un certo peso, e fino a pochi mesi fa Mélenchon era in difficoltà: il partito comunista ha abbandonato il progetto unitario concludendo l’esperienza del Front de Gauche; il Front National è ormai diventato il primo partito tra la classe operaia , tradizionale bacino della sinistra. La situazione disastrosa del Partito Socialista, prevedibile ma non nelle dimensioni raggiunte nelle ultime settimane, rilancia invece le sue ambizioni: sostituire il Partito Socialista e la sua dirigenza come formazione egemone della sinistra. A Lille, dove ha lanciato la sua campagna elettorale settimana scorsa, Mélenchon ha posto con forza il tema dell’unità, rivolgendosi sia ai comunisti che ai socialisti:”ho militato tutta la vita con dei socialisti e con dei comunisti. Certo che mi mancano”.

 

I sondaggi sono particolarmente favorevoli: è considerato il politico che meglio incarna i valori di sinistra, e in tutte le rilevazioni sulle intenzioni di voto al primo turno è dato al terzo posto, con il 15%, dietro Alain Juppé e Marine Le Pen. Solo in caso di candidatura congiunta di Nicolas Sarkozy per il centrodestra e Emmanuel Macron come indipendente, sarebbe quarto. Questo grazie a un posizionamento chiaro: Mélenchon combina la sua volontà di cambiare profondamente il sistema di potere politico francese alla critica feroce dell’economia globalizzata. Con un discorso a tratti speculare a quello del Front National, il suo obiettivo è cercare di rimanere egemone a sinistra nei prossimi mesi, per presentarsi come unica possibilità per raggiungere il secondo turno. Al momento è abbastanza improbabile vedere tutto il centrosinistra francese unito nella candidatura di Mélanchon, ma visto il quadro confusissimo ogni possibilità è da tenere in conto. In questo senso sono interessanti le parole di Jean Christophe Cambadelis, segretario del Partito Socialista: “serve un’alleanza dei socialisti, dei radicali, degli ecologisti, dei sindacalisti e delle associazioni”. Con Hollande praticamente fuori dai giochi sarà difficile per i socialisti trovare una figura competitiva per perdere dignitosamente (forse Valls, ma lo vedremo), e Mélenchon potrebbe diventare il male minore.

2-Macron è in marcia

Emmanuel Macron, di cui avevamo già parlato, continua a intensificare le sue dichiarazioni e i suoi incontri. Come procede la costruzione del suo movimento?

A-Ha rilasciato una lunghissima intervista al settimanale Challenges, dove ha chiarito alcuni punti del suo programma e del suo progetto politico. Ha, ancora una volta, chiarito la sua posizione: “non sono membro del Partito Socialista, ma sono di sinistra. I socialisti non hanno il monopolio della sinistra. Essere di sinistra è una storia, un immaginario politico, delle convinzioni, delle indignazioni, una visione”. Ha inoltre ribadito di non essere ancora candidato, spiegando che la decisione verrà presa tra dicembre e gennaio, probabilmente per conoscere il vincitore delle primarie del centrodestra.

A proposito di centrodestra, c’è un passaggio molto interessante dell’intervista riguardo la figura e le idee di Alain Juppé, favorito alle primarie del centrodestra. Macron ha ammesso di sentirsi vicino al sindaco di Bordeaux su alcuni temi:”non è meno vero che ho con Alain Juppé delle convergenze su quello che dev’essere la vita in società”, e visto che le primarie dei repubblicani sono tra una destra “identitaria e molto conservatrice” à la Sarkozy e una destra “orleanista, liberale, sociale, aperta all’Europa” incarnata dal sindaco di Bordeaux, non è difficile scegliere da che parte stare. Addirittura Juppé viene giudicato come esponente di una “destra progressista”, che guarda al futuro del paese. Questo esternazioni hanno dato vita a speculazioni: è fantapolitica immaginare Macron come primo ministro di Juppé? Al momento sì, ma come detto il quadro è confuso: tra 6 mesi potrebbe essere cambiato tutto e l’ipotesi diventare meno astratta. Per ora rimane una suggestione.

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L’intervista è stata realizzata prima dell’uscita del libro di Hollande, ma Macron mostra di conoscere bene le pratiche dell’inquilino dell’Eliseo quando dice che questa è stata “la presidenza dell’aneddoto”. L’ex ministro dell’economia utilizzerà senz’altro nelle prossime settimane la débâcle di Hollande per sottolineare le sue ambizioni: essere un presidente della repubblica più credibile, più degno della funzione.

B-Il secondo avvenimento degno di nota è stato il discorso che Macron ha tenuto a Montpellier dove, per la prima volta, ha affrontato i temi della laicità e dell’identità francese, legando chiaramente il tutto alla religione islamica. Su questo l’ex ministro dell’economia si gioca molto, sinora aveva evitato di affrontare il tema che è uno dei più importanti della campagna elettorale, probabilmente per sviluppare una piattaforma credibile e ragionata. “Dobbiamo fare in modo che i francesi di cultura musulmana siano più fieri di essere francesi che musulmani” ha chiarito, e bisogna evitare le generalizzazioni perché “Daesh non è l’islam”. Se è vero che per l’ex ministro dell’economia “la religione in Francia non è mai un problema in sé” allo stesso tempo ha sottolineato la necessità di essere implacabili nel sostegno ai “combattenti della laicità, dei diritti delle donne e della repubblica”.

 

In ultimo, secondo Macron è un “dovere morale” accogliere i rifugiati, la Francia deve rappresentare un orizzonte di speranza per chi scappa dalla guerra. Queste parole sono ancora più pesanti se si confrontano alle confidenze di Hollande nel suo libro-intervista. Il presidente aveva detto che in Francia “ci sono più migranti di quanti ce ne dovrebbero essere”, una posizione quantomeno ambigua che ha sollevato grandi proteste da parte del suo partito.

3-Notizie sparse

Settimana scorsa mi ero soffermato sulla buona performance di Poisson al dibattito dei repubblicani, sottolineando come il candidato fosse stato avvantaggiato dall’assenza di domande scomode su alcune sue posizioni estreme, ad esempio il sostegno a Donald Trump. Ecco, ha detto che Hillary Clinton è “sottomessa alle lobby sioniste”, poi si è scusato in modo maldestro dicendo di essere stato frainteso perché non intendeva essere antisemita: “avrei dovuto usare gruppi di pressione al posto di lobby”. Molti hanno fatto notare che invece il suo è un classico caso di “antisemitismo in buona fede”, non per questo meno condannabile. Natalie Kosciusko-Morizet, altra candidata alle primarie del centrodestra, ha scritto una lettera alla commissione che organizza le primarie per chiedere se una posizione del genere sia compatibile con la carta che i candidati hanno firmato. La questione sarà esaminata il 26 ottobre.

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-In uno dei tanti passaggi folli del suo libro-intervista (per chi arriva ora ne abbiamo parlato diffusamente settimana scorsa) Hollande si è lasciato scappare che sono stati fatti degli assassinii mirati, ordinati personalmente da lui ed eseguiti dalla DGSE, l’agenzia di spionaggio francese. Il fatto in sé non scandalizza: operazioni top secret portate avanti dai governi per difendere l’interesse nazionale e conseguire obiettivi strategici esistono da sempre. Ma appunto, le operazioni top-secret. Questo ennesimo scivolone è stato molto criticato da Juppé, che come detto è avvantaggiato dal pressappochismo del presidente. Il sindaco di Bordeaux è stato tra l’altro ministro degli Esteri, oltre che primo ministro. Intervistato da France 2 mercoledì mattina ha detto (a metà tra l’incredulo e l’indignato) “pretendo prima di tutto, anche se credo sia ormai troppo tardi, che il presidente della repubblica assuma la sua funzione in maniera degna. In quanto capo dello Stato non si fanno queste cose, bisogna mettersi in testa che la trasparenza assoluta diventa pericolosa per la sicurezza delle nostre democrazie.”

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

 

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Presidenziali 2017

Présidentielle 2017, quarta settimana: Hollande sempre peggio, Juppé vince il dibattito Les Républicains

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Quarta settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva anche ogni domenica sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.

La settimana è stata intensa, i due argomenti principali sono complessi quindi mi scuserete per la lunghezza. Di cosa parliamo dunque?

1-In settimana è stato pubblicato un lungo libro-intervista a François Hollande. Doveva essere un modo per riavvicinare il presidente ai francesi, rischia di essere la pietra tombale sulla sua eventuale ricandidatura.

2-Il dibattito dei repubblicani: la prima impressione è che da uno scontro a due Juppé-Sarkozy si è passati a Juppé contro “altri”. Durerà?

1-Hollande: un presidente non dovrebbe dire tutto ciò 

Nelle puntate scorse ci si chiedeva se Hollande non avesse già toccato il fondo a causa dei sondaggi terribili e della disoccupazione in aumento. La risposta era no, visto cos’è successo questa settimana. Giovedì è stato pubblicato un libro-intervista molto lungo (quasi 700 pagine), scritto dai giornalisti del Monde Gérard Davet et Fabrice Lhomme. L’intervista è frutto di un lavoro congiunto tra il presidente e i due giornalisti durato più di quattro anni. Da inizio 2012 Hollande ha incontrato una volta al mese Davet e Lhomme in maniera informale: all’Eliseo, al ristorante, più volte a cena a casa dei giornalisti. Per contratto gli incontri sono avvenuti senza testimoni, interamente registrati (si parla di 60 incontri e più di 100 ore di registrazioni utilizzate) e il presidente non ha avuto diritto di leggere il libro prima della sua pubblicazione. L’intervista si intitola “Un président ne devrait pas dire ça”  e ha suscitato molte polemiche, sia per il contenuto sia per lo stile con cui il presidente si è confidato ai giornalisti.

Perché Hollande si è prestato ad un impegno del genere? Possiamo affermare che non è una mossa contingente dettata dalla necessità di migliorare la difficile posizione del presidente: come visto, il progetto è in cantiere da anni; addirittura prima delle elezioni presidenziali, perché le interviste cominciano a inizio 2012 (le elezioni si sono svolte ad aprile). Perché, dunque?  Al settimanale Obs, in edicola in contemporanea con il libro, Hollande ha chiarito le sue intenzioni: spiegare come sono andate realmente le cose durante il quinquennio, “sono il presidente, è da me che i francesi si attendono una spiegazione, la coerenza e anche dei risultati“. Se la decisione è nata quindi molto tempo fa, purtroppo per Hollande le sue conseguenze immediate sono abbastanza disastrose: il libro voleva rappresentare un momento di trasparenza da parte della politica, ma si ha la sensazione di un buon proposito sfuggito di mano. “Un président ne devrait pas dire ça” contiene settecento pagine di contraddizioni, attacchi frontali alla destra, alla sinistra, persino alla magistratura. Se rendere pubbliche confidenze e prese di posizione senza filtro rappresenta sempre un rischio per un politico, in condizioni di tremenda impopolarità il “rischio” può velocemente condurre ad un suicidio politico. Secondo Guillaume Tabard, commentatore politico del Figaro, il libro-intervista è la perfetta sintesi di una presidenza chiacchierona e ciarliera.

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In Francia la funzione presidenziale è praticamente sacra, il presidente è la guida della nazione grazie alla fortissima legittimazione popolare, eletto direttamente ha un rapporto di natura plebiscitaria con il popolo. Rapporto diretto con la popolazione non vuol dire però superficialità; immaginare un presidente a cena con due giornalisti che tra un bicchiere di Bourgogne e l’altro dice che la magistratura è “lassista” e che il Partito Socialista (il suo partito) deve essere “liquidato”, si vanta di essere “il migliore della mia generazione” e prende posizioni molto dure (e inedite) sull’immigrazione “arrivano troppi migranti”, e sull’Islam “è un problema, nessuno ne dubita”, non è il massimo.

François Hollande ha fatto arrabbiare un po’ tutti, anche quelli a lui più vicini. Il Primo Ministro Manuel Valls, uno dei suoi fedelissimi (poi vedremo quanto questa fedeltà sia sincera o interessata, ma è un’altra storia), ha dichiarato durante la sua visita in Canada che in quanto presidente della repubblica “bisogna avere dignità, pudore, bisogna essere all’altezza”. Il segretario del PS Cambadélis, evidentemente abbastanza irritato per le rivelazioni, ha detto a Le Figaro che non condivide l’idea di Hollande sul futuro del partito, spiegando che tutto quello che dichiara il presidente fa parte della strategia per ricandidarsi e non va preso davvero sul serio.

Critiche sono subito arrivate anche dalla destra, che ha approfittato dell’ennesimo assist fornito dal presidente: “Ci chiediamo quand’è che Hollande trovi il tempo per lavorare” ha attaccato la candidata alle primarie dei repubblicani Nathalie Kosciusko-Morizet. Il libro è stato discusso anche durante il dibattito di giovedì sera, a causa di una serie di dichiarazioni in cui vengono tirati in ballo alcuni candidati. Ad esempio, François Fillon, secondo quanto riportato nel libro, avrebbe sollecitato a più riprese l’accelerazione delle procedure giudiziarie a carico di Nicolas Sarkozy. In particolare si sarebbe incontrato privatamente per due volte con il segretario generale dell’Eliseo Jean Pierre Jouyet, per fare pressioni. Alla domanda rivoltagli dalla moderatrice, Fillon ha risposto che “Hollande non solamente è inefficace e incompetente, ma è anche un manipolatore. Ho vergogna per il mio paese che il presidente della repubblica si presti a dare credito a delle accuse così mediocri.”

C’è stato spazio anche per una polemica con Nicolas Sarkozy. Nel libro Sarko viene deriso per la sua bassa statura “Abbiamo avuto il piccolo Napoleone, e ora abbiamo il piccolo De Gaulle. Credeva di salvare la Repubblica, ma ha ceduto alla tentazione dell’estrema destra”. Se da un lato Hollande ha comunque chiarito che in caso di secondo turno Sarkozy-Le Pen voterebbe per i repubblicani, ha criticato più volte la passione per il lusso dell’ex presidente e i suoi modi di fare esagitati. Sollecitato a tal proposito durante il dibattito, Sarkozy ha risposto in maniera moderata ma netta, chiedendo fino a che punto Hollande si spingerà nello “sporcare e distruggere la funzione presidenziale”.

Insomma la candidatura di Hollande è sempre più in bilico, considerati anche i sondaggi che lo vedono battuto da Montebourg al secondo turno delle primarie del Partito Socialista.

2-Com’è andato il dibattito del centro-destra?

Il dibattito dei repubblicani è stato molto lungo, con un taglio decisamente tecnico almeno nella prima parte, e sostanzialmente privo di colpi di scena. Qui trovate un video con i momenti salienti 

a-Chi ha vinto? Nessuno in particolare, e questo, come abbiamo visto settimana scorsa, va a vantaggio di Juppé.  Il giorno dopo tutti i principali commentatori erano d’accordo: l’ex primo ministro  ha affrontato senza troppe difficoltà la serata di giovedì, apparendo il candidato più “presidenziale”. Il sindaco di Bordeaux è riuscito a creare una situazione paradossale: tra i candidati solo Sarkozy ha esercitato la più alta funzione politica per cinque anni e non Juppé. Eppure si è avuta la netta sensazione del contrario: Sarkozy è sembrato uno sfidante, non un ex presidente della repubblica. Questa sensazione, unita alla buona performance degli altri cinque candidati, ha contribuito a ridimensionare l’immagine di uomo esperto dell’ex presidente. Juppé al contrario è sembrato molto a suo agio nel ruolo di futuro presidente, non ha mai cercato la polemica ed è riuscito a utilizzare la sua posizione di favorito nei sondaggi per accreditarsi come uomo al di sopra delle parti. Il gran numero di telespettatori è un buon segnale: più grande è la platea di elettori più è favorito. Anche Jean François Copé ha avuto un buon successo (il 29% dei telespettatori ha apprezzato la sua performance), seppure il suo ritardo nei sondaggi (è dato tra l’1 e il 2%), appare difficile da colmare.

b-Ha fatto bene all’immagine del partito? Sì, e forse è la notizia migliore della serata per Les Républicains. Nessun candidato è stato troppo aggressivo, alla fine tutti si sono detti contenti nelle interviste a margine e il dibattito nel complesso è parso sobrio sia nei contenuti che nei toni. Rispetto allo spettacolo a tratti desolante della lunga campagna elettorale statunitense, i francesi hanno assistito a un dibattito più politico che cinematografico. I sette candidati hanno parlato per 2 ore e mezza di politica, dividendosi (ma nemmen troppo) sulle soluzioni ai problemi del paese, cercando di evitare toni sopra le righe e colpi bassi a livello personale. In più il plateau era di alto livello: un ex presidente, due ex presidenti del consiglio, tre ministri. Il numero dei telespettatori è stato più alto di quello del dibattito dei socialisti: 5,6 milioni e 26,3% di share contro  4,9 milioni e 22% di share del Partito socialista nel 2011.

c-Chi è andato peggio? Con ogni probabilità quello che è andato peggio è Bruno Le Maire, un po’ per suoi errori un po’ perché due avversari in particolare gli hanno rubato la scena. Da un lato il suo competitor più diretto per il terzo posto, François Fillon, è sembrato più competente e audace sul piano economico: ha ferocemente criticato Hollande e soprattutto mostra di essersi affrancato dal ruolo di “collaboratore di Sarkozy”, uno dei suoi grandi handicap (è stato Primo Ministro durante i 5 anni di presidenza Sarkozy). Vedremo se queste impressioni si traducono in un rialzo nei sondaggi. D’altro canto Le Maire, rispetto al suo cavallo di battaglia, il rinnovamento, è stato superato da Natalie Kosciuscko-Morizet che è apparsa più credibile. Non certo una disfatta totale, perché come detto la sfida è stata molto equilibrata, ma è stato l’unico candidato apparso danneggiato, cosa che ha sportivamente riconosciuto.

d-Cos’è mancato? Il dibattito si è sviluppato attorno a tre temi principali: economia, sicurezza e identità francese. Due argomenti sono mancati: l’Europa e l’affaire Bygmalion. Quest’ultimo mai citato dai candidati (per chi arriva adesso ne avevo parlato brevemente nelle settimane scorse). L’Europa sarà uno dei temi dei prossimi dibattiti (ne sono in programma altri due, più un terzo che avrà luogo tra il primo ed il secondo turno), mentre con ogni probabilità i candidati hanno evitato di affrontare i guai giudiziari di Sarkozy perchè dopotutto l’affaire Bygmalion mette in cattiva luce tutto il partito e non solo l’ex presidente della repubblica. L’unico momento di tensione è stato quando Le Maire ha chiesto di rendere pubblica la fedina penale a tutti i candidati e Fillon ha domandato ironicamente: “immaginate De Gaulle rinviato a giudizio”? La provocazione è stata gestita abbastanza bene da Sarkozy.

e-L’unica  vera sorpresa è stata Jean Frédéric Poisson, presidente dell’unione cristiano democratica, di cui trovate qui la descrizione insieme con gli altri 7 candidati. Poisson, unico non iscritto al partito Les Républicains, era quasi sconosciuto al grande pubblico e quindi ha suscitato un grande interesse (durante il dibattito il suo nome è stato il più cercato in Francia su Google). Ha ottenuto il  37% di opinioni favorevoli subito dopo il dibattito ed è sembrato piuttosto a suo agio e per nulla intimidito dalla notorietà dei suoi avversari. Si è distinto per le sue posizioni poco allineate agli altri (vuole abolire i matrimoni gay, ma si è detto contrario al divieto dei Burkini), e per sua fortuna non è stato costretto ad approfondire temi su cui ha posizioni piuttosto estreme: è famoso per la sua posizione di sostegno ad Assad e a Donald Trump, ritiene l’Islam non compatibile con la repubblica, è molto conservatore sui temi della famiglia. Può diventare ministro in caso di vittoria del centro-destra alle presidenziali? Questa è la domanda circolata sui social e sui giornali tra venerdì e sabato.

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Detto ciò, quanto possono essere determinanti i dibattiti? Poco, la storia insegna che le tendenze dei sondaggi difficilmente vengono invertite dai dibattiti, semmai confermate. Hollande era in vantaggio prima dei dibattiti alle primarie del PS nel 2011 e poi ha vinto; Bersani era in vantaggio rispetto a Renzi alle primarie del PD del 2012 e poi ha vinto. Insomma non dovrebbe cambiare molto. Certamente però, i dibattiti costituiscono una grande vetrina per due motivi: il partito ne esce molto rafforzato sia economicamente (d’altronde si paga 2 euro per votare e in due turni ci si aspettano 7-8 milioni di persone) che politicamente (oltre che del libro di Hollande in Francia al momento non si parla d’altro); sono poi un’occasione per i candidati più piccoli: grazie alla grande audience è facile farsi conoscere meglio dal grande pubblico, e utilizzare la notorietà acquisita in futuro. Per esempio, Manuel Valls con il suo 5% alle primarie PS del 2011 è stato prima ministro dell’interno e poi Primo Ministro. Per molti (specialmente Le Maire e Natalie Kosciusko-Morizet per ovvie ragioni d’età) c’est ne qu’un début.

Per oggi è tutto, a domenica prossima!

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Presidenziali 2017

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