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È il febbraio del 2016, Emmanuel Macron è il giovane e brillante ministro dell’economia di François Hollande, unico volto popolare in un governo al capolinea e in conflitto continuo con la società francese. Il giovane ministro è ambizioso e comprende che esiste un vuoto politico da colmare: la Francia è pronta per un grande cambiamento, per una nuova avventura politica al di fuori delle logiche dei due principali partiti, stanchi e sfibrati da anni di faide interne. Così Macron inizia discretamente a organizzare incontri con politologi e sondaggisti: vuole valutare quanto una sua candidatura alle presidenziali sia praticabile.
In quel febbraio è ricevuto da molti esperti, come mi ha raccontato uno di loro, tutti con la medesima lista di “motivi per cui è impossibile farcela”, motivi che chi segue questa newsletter da un po’ conosce bene: mai eletto, senza partito, senza esperienza, senza soldi, rappresentante di una posizione politica, quella centrista, mai stata maggioranza nel paese. Alla lista a lui opposta Macron esclama, quasi sorpreso: “sì, ma tutte queste cose le sapevo già!”, e allo stupore del politologo di turno replica subito, con un lampo di follia nello sguardo “mais c’est le moment”, è il momento, o lo faccio adesso o non lo faccio più, il 2022 è troppo lontano. C’est le moment per fondare un partito nuovo, candidarsi in autonomia e conquistare l’Eliseo contro ogni pronostico e contro ogni ragionevolezza.
La scommessa era ardita, perfino incosciente per un trentottenne ai primi passi in politica, all’inizio di una promettente carriera vista la capacità di tessere relazioni, il brillante percorso nel settore privato, la notorietà acquisita grazie ai ruoli pubblici. La scommessa era già stata persa da François Bayrou, oggi al suo fianco, che nel 2007 aveva dato l’impressione di poter spezzare il bipolarismo socialisti-gollisti ma alla fine si era dovuto arrendere ad un ottimo quanto inutile 18,5 per cento; la scommessa era cominciata senza grande clamore nell’aprile del 2016 in una piccola sala con 500 persone ad Amiens, la sua città natale, una sorta di riunione di famiglia, con gli amici di sempre, qualche compagno di scuola, qualche curioso per “il figlio dei Macron che oggi è ministro e domani chissà”, e oggi continua a Porte de Versailles, con 1000 giornalisti accreditati, migliaia di persone in festa, gli occhi del mondo su di lui. La scommessa è stata vinta, EM, Emmanuel Macron, En Marche! è al secondo turno, è favorito, può vincere, può conquistare l’Eliseo dopo aver rotto tutte le regole della quinta repubblica tranne, forse, una: la presidenziale è l’incontro di un uomo con il popolo, non un affare tra partiti. Non esiste elezione più verticale di questa, Macron l’ha interpretata alla perfezione.
Sullo sfondo, il disastro dei socialisti, al 6,3 per cento, pericolosamente vicini al “piccolo candidato” Nicolas Dupont-Aignan che sfiora il 5 per cento, e il naufragio dei repubblicani, traghettati verso la disfatta da François Fillon e vicini all’implosione, stretti come sono tra l’estrema destra di Marine Le Pen e il “grand rassemblement” che animerà Emmanuel Macron per governare. E, infine: siamo sicuri che le primarie siano una buona idea?
(Dei tanti punti deboli di Macron ne parliamo domenica, ché qui non c’è spazio!)
Marine Le Pen è nella storia
Forse non vincerà Marine Le Pen, forse è vero che, come ha spiegato Brice Teinturier, è matematicamente e politicamente impossibile che il Front national vinca le elezioni il 7 maggio. Eppure Marine, la candidata della rose bleue, è l’altra grande trionfatrice di questo primo turno incerto e imprevedibile. Ieri sera si è chiusa la prima fase di un cammino cominciato nel 2011, l’anno zero del frontismo depurato, della dédiabolisation: lo sdoganamento è compiuto, un fatto epocale come il Front national al ballottaggio è derubricato a non-notizia, nessun grande giornale titola con sorpresa tranne l’Humanité, il duello con Marine Le Pen è un fatto, scontato. Marine Le Pen è legittimamente all’interno del sistema politico francese, detta i temi del dibattito, si appoggia sull’altra rivoluzione, quella macronista, antagonista perfetta per caratterizzare il suo progetto.
La candidata del Front national ha partecipato ai dibattiti tv senza che nessuno sottolineasse la sua estraneità ai valori comuni della République; ha reso ineluttabile e quasi normale essere lì, a giocarsi il ballottaggio per la carica che fu di de Gaulle, Giscard d’Estaing e Pompidou; può sorridere vedendo la debolezza del barrage repubblicano cui volta le spalle Jean-Luc Mélenchon, che non dichiara il proprio voto mettendo sullo stesso piano il Front national e En Marche!, lo stesso Mélenchon che dopo il disastro del Partito Socialista di Lionel Jospin e l’arrivo di Jean Marie Le Pen al ballottaggio nel 2002, chiese di votare per Chirac, andò in depressione e smise di fumare; lui che di pacchetti al giorno ne consumava non uno, non due, ma tre.
È per questo che ieri, nel feudo di Hénin-Beaumont, i frontisti festeggiavano come se avessero vinto nonostante i risultati non eccezionali che vedono un sostanziale arretramento rispetto alle regionali 2015, quando il partito arrivò al 27 per cento sulla scia di una dinamica elettorale senza precedenti. Si festeggia la legittimità, la capacità di essere stati al centro del dibattito, di averlo a tratti dettato, di aver, tra le altre cose, preteso e ottenuto che venisse rimossa la bandiera europea dallo sfondo dell’intervista “istituzionale” di Marine Le Pen a TF1. L’ambizione, nemmeno troppo nascosta, è prendere il posto della destra tradizionale; è diventare la nuova destra, nazionalista e sociale, che può avere come punto di riferimento il nume tutelare di quella quinta repubblica che ieri sera è crollata senza appello: de Gaulle, il generale sempre presente nei discorsi di Marine, e presente anche ieri nel suo commento a caldo dei risultati.
Il secondo turno resta per il Fronte una prova molto difficile, come alle regionali del 2015, quando arrivò in testa al primo turno in moltissime regioni, ma perse tutti i ballottaggi. Arrivarci rincorrendo, con una dinamica in flessione, rende il tutto ancor più complicato. Per vincere ha una sola strada: rendere il ballottaggio un referendum anti-establishment. La regola delle elezioni a due turni in Francia è la seguente: al primo turno si sceglie, al secondo si elimina. Questo ha voluto dire l’eliminazione costante del Front national, al secondo turno sempre penalizzato dal famoso barrage repubblicano, la coalizione di tutti i partiti contro il mostro lepenista. L’occasione, per Marine Le Pen, è presentare Macron come la quintessenza di quel sistema che una parte dei francesi vuole abbattere. Popolo contro élite, piccolo agricoltore contro banchiere, globalizzazione contro Francia, questa è l’unica strada che può tentare Marine Le Pen. Ne parleremo meglio, anche e soprattutto dopo i dibattiti televisivi che si terranno in queste due settimane. Dibattiti che, en passant, Jacques Chirac e Jean Marie Le Pen non animarono mai, perché nel 2002 con il Front national non si discuteva, perché non si legittima ciò che non si riconosce: “non si può accettare la banalizzazione dell’intolleranza e dell’odio”.
Veniamo ai numeri
Queste sono le mappe (elaborate dal Point) divise per dipartimento che confrontano i risultati del 2012 con quelli del 2017. Come potete notare c’è una sostanziale sovrapposizione del risultato di Hollande con quello di Macron e di Sarkozy con quello di Marine Le Pen con la rilevante eccezione del nord est, dove il Front national è agilmente sopra il 30 per cento. In questo contesto è interessante il voto di Parigi che, come vedete, ha premiato Macron ed ha visto l’arretramento di Marine Le Pen, che addirittura fa peggio del 2012.
Pazzesca la percentuale identica Hollande/Macron
I primi studi sulla sociologia del voto (la referenza è il sondaggio Ipsos) confermano la differenza marcata tra gli elettorati dei due candidati che si affronteranno al ballottaggio. Emmanuel Macron è il candidato degli ottimisti, di chi ha vinto la sfida della globalizzazione, di chi è più agiato e vive nelle grandi città; Marine Le Pen risponde invece alla Francia che è rimasta indietro e chiede protezione, ha un livello di reddito e di istruzione meno elevato, è pessimista su quanto succederà domani.
La domanda vuol dire, letteralmente, “come ve la passate con ciò che guadagnate?” Come vedete il 43 per cento di chi arriva a fine mese “difficilmente”, ha votato Marine Le Pen, il 32 per cento di chi arriva a fine mese “facilmente”, ha votato per Emmanuel Macron. Una spaccatura netta e profonda.
La domanda è “rispetto alla vostra generazione, come credete che vivranno le giovani generazioni future?” Anche qui c’è una grande spaccatura tra chi pensa che le cose andranno meglio e vota per Macron, 35 per cento, e chi pensa che invece andranno peggio e vota per Marine Le Pen, 25 per cento.
In questo ultimo grafico potete vedere il voto per categoria. Marine Le Pen fa il pieno tra gli operai, 37 per cento, e gli impiegati, 32 per cento, mentre Macron è il più votato tra i quadri, 33 per cento, e nelle professioni intermedie, 26 per cento.
-Breve punto della situazione alle 9.30, ora in cui invio la newsletter, i candidati sconfitti si sono espressi così: Fillon, Hamon e Arthaud voteranno e faranno votare per Macron, Poutou, Mélenchon e Dupont-Aignan non si sono espressi.
Fatemi chiudere con una considerazione personale. Se sono riuscito a raccontarvi queste elezioni in modo utile è perché ho studiato moltissimo, ho letto, chiesto pareri, ascoltato conferenze su youtube, guardato talk show e interviste senza smettere mai. Ma soprattutto ho parlato con le persone, ho ascoltato le loro paure e le loro aspirazioni, le loro ossessioni e le loro speranze; ho litigato con parecchi militanti, qualche addetto stampa un po’ stronzo, con i ritardi della SNCF e i miei, ché sono una frana con le scadenze; ho preso i fischi a quasi ogni comizio di Fillon e Le Pen, con candidato e sostenitori che urlavano contro la “stampa di regime”. In tutto ciò, ma lo sapete e lo avete capito, mi sono divertito moltissimo.
Insomma, se questa newsletter ha avuto un piccolo successo è perché mi ha consentito di fare quello che i giornali tradizionali non fanno più e non fanno fare ai loro corrispondenti, alcuni bravissimi e sprecati. In quasi tutti i comizi dove sono andato (ne ho contati ventisei, da gennaio ad oggi) ero l’unico italiano, stessa cosa alle conferenze stampa, alle riunioni pubbliche dei militanti. In televisione a parlare di Francia ci sono persone che hanno messo piede solo al Marais (magari dieci anni fa) e utilizzano ciò che sta accadendo qui per parlare di Italia, del tweet di Salvini sull’attentato e #ForzaMarine, di Renzi che copia En Marche! e fa In Cammino. Succede perché è sempre stato così, nessuno si è mai posto il problema e se nessuno lo pone il dibattito resta noioso e inutile così com’è. Mi pare giusto che questa piccola comunità di 1324 persone cominci a porselo e ad essere più esigente con chi fa informazione così come lo è, giustamente, con me, che la settimana scorsa ho sbagliato a scrivere de Villepin e sono stato, giustamente, redarguito. So che sono iscritti parecchi direttori di giornali, radio e tv: il problema ponetevelo anche voi.
Infine il tweet geniale della serata, con i sondaggi che ci hanno preso al millimetro. A Gabriele, che cura una newsletter sulla politica inglese (e iscrivetevi no? Che tra due mesi si vota!), è venuta l’idea geniale di usare l’hashtag #maratonamaselli per la serata di ieri. Siamo finiti in Trend Topic, quindi grazie davvero a tutti!
Ah, ultima cosa: il 28 aprile esce il nuovo numero di IL-Idee e lifestyle del Sole 24 Ore. Ci trovate anche un mio pezzo, ci vediamo in edicola!
Per oggi è tutto, noi ci vediamo mercoledì a Torino al circolo dei lettori con Lorenzo Pregliasco di Youtrend, giovedì a Milano alle 18.30 alla libreria Temporibus Illis con Lia Quartapelle e Giuliano da Empoli, venerdì a Roma alle 17 al LOFT della Luiss con Simone Massi.
La newsletter torna, come sempre, domenica!
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