Diciassettesima settimana della newsletter sulle presidenziali francesi. Arriva ogni domenica anche sulla vostra email, ci si iscrive cliccando qui.
Le notizie sono moltissime, ed è complicato riuscire a spiegare tutto senza rendere la newsletter lunghissima e forse ad un certo punto anche noiosa. Per cui oggi affronteremo solo i socialisti, rimandando le notizie sugli altri candidati. Com’è accaduto per le primarie dei repubblicani, la settimana prossima riceverete due newsletter, una sabato e una lunedì, avremo quindi modo di affrontare per bene anche il resto.
1-Manca una settimana al primo turno delle primarie
Giovedì i socialisti hanno tenuto il loro primo dibattito. L’audience è stata di 3,8 milioni di telespettatori, 18% di share; sono due milioni in meno rispetto al primo dibattito dei repubblicani, visto da 5,6 milioni di persone con il 26,3% di share. Il dibattito è stato meno seguito anche rispetto al 2011, durante le primarie che incoronarono François Hollande. In quel caso si registrarono quasi 5 milioni di telespettatori.
Il confronto è stato molto lungo e francamente un po’ artificiale. Come analizzato in precedenza, i programmi sono molto diversi, eppure i candidati hanno accuratamente evitato di attaccare gli altri, tendendo più a recitare una serie di piccoli monologhi che a dialogare con chi avevano di fianco. Per farvi capire il clima, alla prima domanda Manuel Valls ha iniziato a rispondere chiarendo subito di “non avere nemici né avversari stasera”, immediatamente seguito dai vari appelli all’unità di tutti gli altri. Il momento più polemico è stato forse quando Benoit Hamon ha criticato il progetto di décheance de nationalité (la possibilità di privare della cittadinanza francese i condannati per terrorismo), facendo reagire in modo molto sorpreso Manuel Valls (che però si è limitato a qualche smorfia, senza replicare direttamente).
Il paragone con le primarie e i dibattiti dei repubblicani è naturale, ed è difficile da sostenere. I candidati della destra erano politici di peso: oltre ai due ex primi ministri (Fillon e Juppé) e un ex Presidente della Repubblica (Sarkozy), anche i cosiddetti candidati minori avevano ricoperto ruoli di estrema rilevanza, tutti ministri più volte tranne Jean-Frédéric Poisson. I quattro candidati socialisti vengono dalle varie minoranze, nessuno ha mai rappresentato la parte più importante del PS: non è facile operare la famosa “sintesi” se hai costruito tutto il tuo percorso politico su posizioni di minoranza. Nelle scorse settimane ci si chiedeva quanto questa postura avesse danneggiato l’inizio della campagna elettorale di Manuel Valls, che aveva parlato molto di unità e preso posizioni poco coerenti rispetto ai suoi punti di forza, rinnegando alcune scelte prese quando era primo ministro (l’utilizzo della fiducia, che in Francia è uno strumento molto controverso, su tutte), e faticava a far valere il suo ruolo di primo ministro. Allo stesso modo le posizioni del passato e la storia personale danneggiano Montebourg e Hamon, entrambi incapaci di rappresentare un candidato maggioritario.
La mancanza di François Hollande, tra l’altro, si è fatta sentire. Senza un candidato molto controverso e che suo malgrado calamitasse l’attenzione dei media e degli altri candidati il dibattito è stato meno dinamico e interessante; mentre gli elettori di centrodestra potevano farla finita con Sarkozy, ai simpatizzanti della gauche non è data la possibilità di voltare veramente pagina rispetto ad una stagione politica. Certo, Valls rappresenta in parte il bilancio di Hollande, ma nel sistema francese il presidente è una sorta di “monarca repubblicano” e attaccare il suo primo ministro non è la stessa cosa: per un elettore poco interessato l’idea di andare a votare in una consultazione per eliminare politicamente Hollande può avere un senso, non si può fare lo stesso ragionamento per Valls.
Che dire poi dell’entusiasmo? La riuscita delle primarie si basa sull’entusiasmo, sulla promessa di cambiamento (come fu per Hollande nel 2011 e com’è stato per Fillon a novembre). In questo caso nessuno è entusiasta, perché queste primarie, pensate per François Hollande, sono diventate un congresso del PS per designare un candidato in grado di evitare l’implosione della storica gauche de gouvernment. Il messaggio filtrato sinora è abbastanza chiaro, e lo hanno integrato persino i vari candidati: difficilmente da queste elezioni interne verrà fuori il probabile prossimo presidente; la partita, come visto, è un’altra. Infine, da non sottovalutare, non è in gioco il destino politico di nessuno, non ci troviamo di fronte all’ultima chance com’è stato per Juppé, Fillon e Sarkozy. I tre repubblicani erano obbligati a vincere le primarie; la sconfitta significava il ritiro dalla vita politica. Per i candidati socialisti, tutti intorno ai cinquant’anni, è molto più difficile parlare di carriera finita a prescindere dal risultato. È dunque chiaro che l’approccio è diverso, in questo caso.
Ma forse il più grande problema del dibattito è stato la mancanza di chiarezza nelle prospettive. Nessuno ha avuto la capacità di porre con forza il tema di cos’è oggi il Partito Socialista, dove vuole andare e perché solo il suo progetto è in grado di riportare la sinistra all’Eliseo; nessuno ha osato affrontare le profondissime divisioni ideologiche in campo. Se è vero che le fratture nella destra erano più di natura personale che politica, visti i trascorsi difficili e le varie incomprensioni, la sinistra è segnata da visioni del mondo del lavoro, delle questioni di sicurezza e dell’Europa difficilmente conciliabili. Ciononostante non si sono visti attacchi duri anche quando ce ne sarebbe stata l’occasione, specialmente su alcune scelte di Manuel Valls o su alcune proposte degli altri candidati. Nessuno ha avuto il coraggio di discutere con franchezza: esattamente l’atteggiamento che ha fatto naufragare il quinquennio di Hollande, ostaggio delle incomprensioni e ambiguità ideologiche della sua maggioranza.
La scelta di evitare il confronto su questi temi viene probabilmente dalla necessità di non mostrare un partito socialista a sua volta diviso in una sinistra già spaccata in tre, vista la presenza ed il relativo successo di Mélenchon e Macron. La strategia rischia però di disinteressare ancor di più un elettorato che ha ormai interiorizzato la sconfitta. Su Mediapart Hubert Huertas pone bene la questione: “il partito socialista è pronto ad affrontare le contraddizioni che lo fratturano oppure le nasconderà sotto il tappeto?”
2-Cosa dicono i Sondaggi?
Ne commentiamo due, il primo è stato effettuato subito dopo il dibattito, il secondo invece è di ieri ed è stato realizzato tra l’11 e il 13 gennaio, quindi prima e dopo il dibattito.
A-Montebourg è stato il più convincente

Come vedete Arnaud Montebourg è considerato il candidato più convincente dall’insieme dei telespettatori. Questo è un dato importante, siccome finora la sua campagna elettorale non è stata molto entusiasmante, come vedremo a breve. L’altro dato molto interessante è quello tra i simpatizzanti di sinistra, più motivati ad andare a votare domenica prossima: Benoit Hamon è il candidato più convincente, nonostante una prestazione non particolarmente entusiasmante, come ha lui stesso ammesso il giorno dopo.
Perché dico che il dato è interessante? Perché nelle ultime settimane abbiamo osservato una dinamica favorevole alle sue idee e alla sua candidatura; questo sondaggio la conferma. Allo stesso modo Montebourg in terza posizione tra i simpatizzanti conferma la difficoltà che incontra l’ex ministro dell’economia rispetto alla piattaforma del suo rivale, evidentemente più credibile per gli elettori della sinistra PS che sicuramente non voteranno Manuel Valls.
B-Le intenzioni di voto
La prima cosa da notare è che l’interesse verso le primarie è cresciuto, anche se di poco, rispetto alle rilevazioni effettuate prima del dibattito.

Per quanto riguarda le intenzioni di voto, Valls si conferma favorito (ma un altro sondaggio lo dava perdente al secondo turno), e Hamon conferma la sua popolarità tra i simpatizzanti di sinistra, arrivando molto vicino a Montebourg tra i simpatizzanti del PS. Insomma, i giochi sono apertissimi.

3-Un po’ di considerazioni sui tre principali candidati
A-Valls si è comportato bene
Il grande rischio di Manuel Valls era diventare il bersaglio delle critiche di tutti gli altri candidati: unico ad aver partecipato fino in fondo al bilancio di Hollande, bilancio contro cui si sono candidati Hamon e Montebourg, che all’inizio speravano di affrontare il Presidente uscente con una campagna molto aggressiva. Invece, come visto prima, nessuno ha basato la propria strategia sul “tutto tranne Valls”: l’ex primo ministro è uscito indenne da questo punto di vista, e anzi ha utilizzato la domanda sul “come considera la presidenza Hollande in una sola parola” rispondendo in maniera decisa e più efficace degli altri: “fierezza. Sono fiero di aver servito il paese durante un periodo difficilissimo: la lotta al terrorismo. Non dimentichiamolo mai.
Questa risposta ha consentito poi a Valls di battere forte sui suoi temi storici, cioè sicurezza e identità, dove è riuscito a ritagliarsi uno spazio preminente vista anche la sua responsabilità di governo passata. È andato relativamente in difficoltà sui soggetti economici, specialmente sulla contestata legge del lavoro che Hamon e Montebourg hanno detto di voler abrogare, ma tutto sommato poteva andargli molto peggio. Possiamo dire di aver visto l’ex primo ministro più a suo agio rispetto a quanto era apparso nelle uscite mediatiche precedenti e deciso nell’imporre la propria statura istituzionale, certamente più strutturata di quella dei suoi concorrenti. Certo, non è stato brillante o particolarmente trascinante, ma d’altronde non lo è stato nessuno.
B-C’è spazio per un paragone Hamon-Fillon?
Dal punto di vista della dinamica il paragone può esserci. Se andiamo a vedere la progressione nei sondaggi, lo spazio che viene dato alle sue idee, alla sua coerenza, e alla sua capacità di parlare alla sinistra del partito allora sì, effettivamente ci sono delle somiglianze. Come visto la sua apparizione televisiva è stata apprezzata; i sondaggi post-dibattito contano relativamente in termini elettorali, possono però darci un’indicazione abbastanza precisa sulla dinamica, sul sentimento che Hamon riesce a suscitare. L’ex ministro dell’istruzione ha però un problema, che si è visto nella sua partecipazione al programma Émission Politique dell’autunno scorso e che è riapparso nel dibattito di giovedì: non ha statura presidenziale, come conferma una delle domande del sondaggio analizzato prima, posta a chi aveva appena guardato il dibattito.
E qui sta forse il paradosso: se queste primarie fossero pensate per scegliere un potenziale presidente della repubblica, allora una mancanza del genere conterebbe molto. Ma ad un’eventualità del genere non credono nemmeno i socialisti (poi può cambiare tutto, ma al momento è davvero molto difficile vedere un altro socialista all’Eliseo in primavera). Se invece è un buon capo dell’opposizione che in queste due domeniche gli elettori del partito andranno a scegliere, allora il difetto potrebbe contare molto meno. La sua sfida è rendere in qualche modo credibile la sua proposta faro, quella del reddito universale, che per ora lo ha caratterizzato e ha anche catalizzato le critiche durante il dibattito. Ha poco tempo per farlo, e il format dei dibattiti non lo aiuta: una campagna così corta potrebbe penalizzarlo.
C-I problemi di Montebourg
Arnaud Montebourg sembrava essere lo sfidante più accreditato. Nei sondaggi che circolavano quando si credeva che Hollande avrebbe partecipato alla competizione era molto alto, in alcune rilevazioni era addirittura vincente. La sua campagna però stenta a decollare: le proposte sono di sinistra classica, cioè alzare la spesa pubblica e fare “piena occupazione” con investimenti. A ciò aggiunge la retorica sul patriottismo economico e contro le banche, oltre alla critica alle politiche di austerità vere “responsabili della perdita di potere d’acquisto e della disoccupazione”. Su questi temi, ancora più di Benoit Hamon, Montebourg è coperto da Mélénchon, che in questi mesi ha monopolizzato l’attenzione dei media per quanto riguarda la sinistra radicale. Infine sta soffrendo la dinamica di Hamon, che pur venendo da un’area politica molto simile, ha avuto il merito di mettere in piedi una proposta davvero innovativa. La rilevazione Elabe effettuata subito dopo il dibattito è quindi un’ottima notizia, nei prossimi dibattiti sarà con ogni probabilità molto più aggressivo.
Per oggi è tutto, a sabato prossimo!
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