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Di cosa parliamo oggi?
Il lungo libro-intervista a Hollande pubblicato settimana scorsa è con ogni probabilità il colpo di grazia alla candidatura del presidente. Hollande non è mai stato così lontano dal ripresentarsi. Chi ne trae vantaggio? Dalle prime reazioni sembra che ad approfittare direttamente della situazione possano essere Mélenchon e Macron, ultime figure credibili rimaste al centrosinistra (aspettando le mosse di Manuel Valls, attuale primo ministro). In maniera indiretta ne approfitterà anche Alain Juppé: più i due ex presidenti si mettono nei guai (Hollande e Sarkozy sembrano avere un particolare talento nel farlo) più i francesi avranno voglia di qualcuno che “rimetta ordine in casa” come spesso dicono. E gran parte della strategia del sindaco di Bordeaux si fonda sulla credibilità e sull’esperienza.
1-Jean Luc Mélenchon, l’outsider
Mélenchon è il leader della sinistra radicale francese. È nato politicamente nel Partito Socialista, aderendo sin da subito alla corrente più di sinistra. Dopo essere stato ministro dell’istruzione tra il 2002 e 2004 durante il governo di Lionel Jospin, ha rappresentato la minoranza di sinistra sino alla decisione di abbandonare il partito nel 2008 per fondare il Front de Gauche, unione delle varie anime che compongono la galassia alla sinistra del Partito Socialista. Per il Front de Gauche è stato candidato al primo turno delle presidenziali del 2012, arrivando all’11% e non riuscendo a qualificarsi per il secondo turno. Dagli anni ’70, cioè dalla fondazione del Partito Socialista, la sinistra radicale francese si è divisa in una serie di partiti (Lotta Operaia, Partito Comunista, Lega Comunista) che insieme si sono sempre attestati tra il 10 e il 15% al primo turno, senza però mai riuscire ad accordarsi per una candidatura unitaria (a quanto pare la tendenza alla scissione non è una patologia solo italiana). Dal 2012, Mélenchon è invece riuscito a rappresentare la sinistra radicale in una lista unitaria ottenendo dei buoni risultati non solo alle presidenziali ma anche alle elezioni locali degli ultimi anni.
Ciò non è bastato a governare città o regioni di un certo peso, e fino a pochi mesi fa Mélenchon era in difficoltà: il partito comunista ha abbandonato il progetto unitario concludendo l’esperienza del Front de Gauche; il Front National è ormai diventato il primo partito tra la classe operaia , tradizionale bacino della sinistra. La situazione disastrosa del Partito Socialista, prevedibile ma non nelle dimensioni raggiunte nelle ultime settimane, rilancia invece le sue ambizioni: sostituire il Partito Socialista e la sua dirigenza come formazione egemone della sinistra. A Lille, dove ha lanciato la sua campagna elettorale settimana scorsa, Mélenchon ha posto con forza il tema dell’unità, rivolgendosi sia ai comunisti che ai socialisti:”ho militato tutta la vita con dei socialisti e con dei comunisti. Certo che mi mancano”.
I sondaggi sono particolarmente favorevoli: è considerato il politico che meglio incarna i valori di sinistra, e in tutte le rilevazioni sulle intenzioni di voto al primo turno è dato al terzo posto, con il 15%, dietro Alain Juppé e Marine Le Pen. Solo in caso di candidatura congiunta di Nicolas Sarkozy per il centrodestra e Emmanuel Macron come indipendente, sarebbe quarto. Questo grazie a un posizionamento chiaro: Mélenchon combina la sua volontà di cambiare profondamente il sistema di potere politico francese alla critica feroce dell’economia globalizzata. Con un discorso a tratti speculare a quello del Front National, il suo obiettivo è cercare di rimanere egemone a sinistra nei prossimi mesi, per presentarsi come unica possibilità per raggiungere il secondo turno. Al momento è abbastanza improbabile vedere tutto il centrosinistra francese unito nella candidatura di Mélanchon, ma visto il quadro confusissimo ogni possibilità è da tenere in conto. In questo senso sono interessanti le parole di Jean Christophe Cambadelis, segretario del Partito Socialista: “serve un’alleanza dei socialisti, dei radicali, degli ecologisti, dei sindacalisti e delle associazioni”. Con Hollande praticamente fuori dai giochi sarà difficile per i socialisti trovare una figura competitiva per perdere dignitosamente (forse Valls, ma lo vedremo), e Mélenchon potrebbe diventare il male minore.
2-Macron è in marcia
Emmanuel Macron, di cui avevamo già parlato, continua a intensificare le sue dichiarazioni e i suoi incontri. Come procede la costruzione del suo movimento?
A-Ha rilasciato una lunghissima intervista al settimanale Challenges, dove ha chiarito alcuni punti del suo programma e del suo progetto politico. Ha, ancora una volta, chiarito la sua posizione: “non sono membro del Partito Socialista, ma sono di sinistra. I socialisti non hanno il monopolio della sinistra. Essere di sinistra è una storia, un immaginario politico, delle convinzioni, delle indignazioni, una visione”. Ha inoltre ribadito di non essere ancora candidato, spiegando che la decisione verrà presa tra dicembre e gennaio, probabilmente per conoscere il vincitore delle primarie del centrodestra.
A proposito di centrodestra, c’è un passaggio molto interessante dell’intervista riguardo la figura e le idee di Alain Juppé, favorito alle primarie del centrodestra. Macron ha ammesso di sentirsi vicino al sindaco di Bordeaux su alcuni temi:”non è meno vero che ho con Alain Juppé delle convergenze su quello che dev’essere la vita in società”, e visto che le primarie dei repubblicani sono tra una destra “identitaria e molto conservatrice” à la Sarkozy e una destra “orleanista, liberale, sociale, aperta all’Europa” incarnata dal sindaco di Bordeaux, non è difficile scegliere da che parte stare. Addirittura Juppé viene giudicato come esponente di una “destra progressista”, che guarda al futuro del paese. Questo esternazioni hanno dato vita a speculazioni: è fantapolitica immaginare Macron come primo ministro di Juppé? Al momento sì, ma come detto il quadro è confuso: tra 6 mesi potrebbe essere cambiato tutto e l’ipotesi diventare meno astratta. Per ora rimane una suggestione.
L’intervista è stata realizzata prima dell’uscita del libro di Hollande, ma Macron mostra di conoscere bene le pratiche dell’inquilino dell’Eliseo quando dice che questa è stata “la presidenza dell’aneddoto”. L’ex ministro dell’economia utilizzerà senz’altro nelle prossime settimane la débâcle di Hollande per sottolineare le sue ambizioni: essere un presidente della repubblica più credibile, più degno della funzione.
B-Il secondo avvenimento degno di nota è stato il discorso che Macron ha tenuto a Montpellier dove, per la prima volta, ha affrontato i temi della laicità e dell’identità francese, legando chiaramente il tutto alla religione islamica. Su questo l’ex ministro dell’economia si gioca molto, sinora aveva evitato di affrontare il tema che è uno dei più importanti della campagna elettorale, probabilmente per sviluppare una piattaforma credibile e ragionata. “Dobbiamo fare in modo che i francesi di cultura musulmana siano più fieri di essere francesi che musulmani” ha chiarito, e bisogna evitare le generalizzazioni perché “Daesh non è l’islam”. Se è vero che per l’ex ministro dell’economia “la religione in Francia non è mai un problema in sé” allo stesso tempo ha sottolineato la necessità di essere implacabili nel sostegno ai “combattenti della laicità, dei diritti delle donne e della repubblica”.
In ultimo, secondo Macron è un “dovere morale” accogliere i rifugiati, la Francia deve rappresentare un orizzonte di speranza per chi scappa dalla guerra. Queste parole sono ancora più pesanti se si confrontano alle confidenze di Hollande nel suo libro-intervista. Il presidente aveva detto che in Francia “ci sono più migranti di quanti ce ne dovrebbero essere”, una posizione quantomeno ambigua che ha sollevato grandi proteste da parte del suo partito.
3-Notizie sparse
–Settimana scorsa mi ero soffermato sulla buona performance di Poisson al dibattito dei repubblicani, sottolineando come il candidato fosse stato avvantaggiato dall’assenza di domande scomode su alcune sue posizioni estreme, ad esempio il sostegno a Donald Trump. Ecco, ha detto che Hillary Clinton è “sottomessa alle lobby sioniste”, poi si è scusato in modo maldestro dicendo di essere stato frainteso perché non intendeva essere antisemita: “avrei dovuto usare gruppi di pressione al posto di lobby”. Molti hanno fatto notare che invece il suo è un classico caso di “antisemitismo in buona fede”, non per questo meno condannabile. Natalie Kosciusko-Morizet, altra candidata alle primarie del centrodestra, ha scritto una lettera alla commissione che organizza le primarie per chiedere se una posizione del genere sia compatibile con la carta che i candidati hanno firmato. La questione sarà esaminata il 26 ottobre.
-In uno dei tanti passaggi folli del suo libro-intervista (per chi arriva ora ne abbiamo parlato diffusamente settimana scorsa) Hollande si è lasciato scappare che sono stati fatti degli assassinii mirati, ordinati personalmente da lui ed eseguiti dalla DGSE, l’agenzia di spionaggio francese. Il fatto in sé non scandalizza: operazioni top secret portate avanti dai governi per difendere l’interesse nazionale e conseguire obiettivi strategici esistono da sempre. Ma appunto, le operazioni top-secret. Questo ennesimo scivolone è stato molto criticato da Juppé, che come detto è avvantaggiato dal pressappochismo del presidente. Il sindaco di Bordeaux è stato tra l’altro ministro degli Esteri, oltre che primo ministro. Intervistato da France 2 mercoledì mattina ha detto (a metà tra l’incredulo e l’indignato) “pretendo prima di tutto, anche se credo sia ormai troppo tardi, che il presidente della repubblica assuma la sua funzione in maniera degna. In quanto capo dello Stato non si fanno queste cose, bisogna mettersi in testa che la trasparenza assoluta diventa pericolosa per la sicurezza delle nostre democrazie.”
Per oggi è tutto, a domenica prossima!
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