Provo a mettere un po’ d’ordine nei fatti di oggi, per quello che vale.
A me sembra (sempre per quello che vale) che si stiano confondendo due piani, diversissimi e sovrapposti in maniera strumentale da Mineo, Civati e così via. Perché sostenere di essere stato epurato, con la logica conseguenza di far apparire Renzi e la sua segreteria come dei dittatori, tirando il ballo la violazione del divieto di mandato imperativo è una stupidaggine. Mentre lanciare un campanello d’allarme su una riforma che si ritiene nasca male e continui peggio, è una cosa normale e legittima.
Ora per la prima questione, il nostro ordinamento è molto chiaro. Riguardo il divieto di mandato imperativo, ex art 67 Cost. va notato che i costituenti si riferiscono alla Camera di appartenenza. E ci mancherebbe altro. Le commissioni parlamentari invece sono un’altra cosa, la loro funzione è quella di facilitare il lavoro dei Parlamentari che, a causa del loro elevato numero, non potrebbero proficuamente discutere in assemblea. Esse rispecchiano la proporzione dei gruppi parlamentari, veri attori (piaccia o no) della vita del Parlamento.
Proprio questa posizione di primazia assegnata ai gruppi parlamentari dalla Costituzione, in sede di composizione delle commissioni si traduce nell’art 21 c. 1 del regolamento del Senato. “Ciascun Gruppo, entro cinque giorni dalla propria costituzione, procede, dandone comunicazione alla Presidenza del Senato, alla designazione dei propri rappresentanti nelle singole Commissioni permanenti di cui all’articolo 22.” Sono dunque i gruppi, non i singoli parlamentari a decidere chi va in quale commissione. A conferma della centralità della scelta del gruppo, viene l’art. 31 c. 2 del suddetto regolamento “Ciascun Gruppo può, per un determinato disegno di legge o per una singola seduta, sostituire i propri rappresentanti in una Commissione, previa comunicazione scritta al Presidente della Commissione stessa.”
La ratio delle due norme è chiara, tra le altre cose si vuole evitare che le minoranze ostacolino il lavoro del gruppo in commissione. Perché il luogo dove vengono tutelate le minoranze è l’aula, tramite la possibilità di prendere la parola per annunciare il proprio voto contrario a quello del gruppo di appartenenza, e tramite l’art 72 Cost. che prevede: “il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della Commissione richiedono che sia discusso e votato dalla Camera stessa”. In questi casi dunque, la discussione si sposta in aula, dove tutto è più trasparente.
Sostenere di essere vittima di un’epurazione antidemocratica in nome della costituzione-più-bella-del-mondo, vuol dire non conoscerla e sfruttarla a proprio piacimento.
Discorso a parte va fatto nel merito della riforma costituzionale di cui si discute. La bozza Chiti a mio modo di vedere (per quello che conta), è ottima e andrebbe presa in massima considerazione, mentre il testo portato in commissione da Maria Elena Boschi ha una serie di problemi molto seri (primo tra tutti la non elettività). Però la democrazia è quel sistema dove si discute, si media, si cerca un compromesso e alla fine si decide. E se anche viene bocciato un testo che tu ritieni migliore, e passa un testo peggiore, non puoi gridare al golpe. Il massimo che puoi fare è assumerti la responsabilità e votare contro in aula.
Aggiungo una cosa. Se il mio partito vota una legge contro un principio che ritengo fondante per le mie idee politiche, compio una scelta dignitosa: lo abbandono. Se il mio partito vota una riforma costituzionale che rende “meno democratica” l’Italia, se il mio segretario: “dalla Cina, rinverdendo la tradizione bulgara, rivendica la decisione di ieri, che inizialmente era stata attribuita a Zanda e al gruppo del Senato” (sentenziò Civati) lo abbandono e lo combatto. Perché c’è una frattura insanabile tra ciò in cui credo e il gruppo che contribuisco a rappresentare in Parlamento e nel paese. L’auto sospensione è una scelta vigliacca, un vorrei ma non posso che solleva un polverone, ma non risolve nulla.
Credo che il riferimento all’art. 67 sia stato causato dalla pretesa, avanzata con scarsa eleganza da un membri del governo, che tutto il Pd desse evidenza “plastica” della propria compattezza (richiesta che, casomai, andava avanzata dal Segretario o dal capogruppo) sulla proposta di riforma dell’esecutivo.
Il senatore Mineo si riteneva incaricato dal proprio partito di adoperarsi in Commissione per trovare un accordo il più ampio possibile sulla riforma del Senato. A questo doveva servire il dibattito svolto in Commissione e a questo serviva il lavoro svolto fino a quel momento dalla Presidente Finocchiaro… poi, improvvisamente, c’è stato un “richiamo all’ordine”: la posizione del Pd era diventata quella del governo, senza alcun ulteriore tentativo di mediazione.
A me pare del tutto comprensibile che l’improvviso atto di forza del governo, che stava prevaricando il ruolo del Parlamento e rischiando di compromettere quanto fino a quel momento costruito, abbia causato la reazione negativa del senatore Mineo. Doversi “allineare” ad un cambio di strategia così completo e repentino, per “disciplina di partito”, senza neppure una spiegazione, è parsa anche a me una mancanza di rispetto per l’autonomia di un parlamentare eletto. E’ questo il punto politico, che tutto sommato ha poco a che vedere con la questione regolamentare (se Mineo aveva diritto o no di restare nella Commissione). E’ questo che ha fatto reagire gli altri senatori e lo stesso Civati.
Penso che una rottura nel Pd sia assolutamente nefasta; ma penso anche che il segretario dovrebbe dialogare maggiormente con i suoi parlamentari, in particolare con quelli “dissidenti” e usare toni meno mortificanti e spregiativi verso di loro
Ho già spiegato, nel post, che la decisione di rimuovere Mineo dalla commissione è venuta dal capogruppo, come previsto dai regolamenti parlamentari che (piaccia o no) sono scritti appositamente per una situazione del genere.